L'Aida dopo la tempesta
di Andrea R. G. Pedrotti
Una tromba d'aria ritarda l'inizio e danneggia alcuni elementi scenici di Aida, che torna comunque inesorabilmente a emozionare il pubblico dell'Arena. Nel cast la classe esperta di Hui He e Ildikó Komlósi, la comunicativa di Ambrogio Maestri e il debutto nell'anfiteatro di Yusif Eyvazov, ottimo Radames. Sempre d'effetto alcune immagini, ormai simbolo stesso dell'opera a livello intenazionale, ma l'allestimento storico del 1913, nella regia di Gianfranco De Bosio, sa ormai troppo di maniera.
VERONA, 25 giugno 2016 - Fra i simboli di Verona tutti conoscono Romeo e Giulietta e l’Arena, ma se esiste un’opera simbolica dell’anfiteatro scaligero, questa è Aida. Nonostante una breve, ma violenta tromba d’aria con annessa una solenne grandinata si sia abbattuta sulla città, i quasi tredicimila presenti non hanno desistito, formando code per l’accesso che si prolungavano per tutta l’ampiezza della piazza, sino alla Gran Guardia.
Purtroppo il maltempo ha lasciato qualche segno e il conseguente danneggiamento di quattro delle otto colonne previste dalla scenografia dell’allestimento di Gianfranco De Bosio. Le squadre di tecnici hanno comunque saputo svolgere il proprio lavoro al meglio, riuscendo a ricomporre la scenografia e limitando il disagio d’un inizio posticipato della rappresentazione. Ciò che ne ha sicuramente guadagnato è stato il colpo d’occhio, poiché una maggior oscurità ha permesso ai presenti di godere ancor più del meraviglioso spettacolo delle candeline accese, sotto l’approvazione benevola dell’ala.
L’impostazione registica e visiva dell’edizione storica, basata su quella inaugurale del 10 agosto 1913, ricorda da vicino la nascente arte cinematografica, con le tecniche comunicative che l’avrebbero fatta da padrone sui grandi schermi dell’epoca, fino a esser tipiche del genere che sarebbe stato definito del Peplum.
Nel 1913 era una novità, che oggi, pur con alcuni effetti cromatici splendidi, sa di eccessiva maniera, anche se non caricaturale, come invece il Nabucco cui assistemmo lo scorso anno [leggi la recensione]. Ormai questa messa in scena ha senso d’esistere in qualità di reperto da non scordare e da mantenere vivo, magari con l’inserimento di alcune recite nel mezzo di una produzione splendida come fu quella di La Fura Dels Baus [leggi la recensione], che si prefissava di rendere emotivamente l’effetto di una novità, quale poteva essere per il pubblico areniano del 1913 un’Aida eseguita all’aperto, con l’ausilio di grandi masse impensabili per un teatro di tradizione.
Nel corso del primo quadro le quattro colonne superstiti vengo poste sapientemente in modo che possano occupare al meglio l’ampio palcoscenico, con l’ausilio di alcuni bracieri. Il principio non vede, in quasi tutte le produzioni di Aida, molta dinamicità, e le cose mutano di poco anche in brani d’assieme come “Su! del Nilo al sacro lido”, con una postura del coro fin troppo marziale. Discorso simile per la scena “Mortal, diletto ai Numi, a te fidate” e il finale “Nume, custode e vindice”, entrambi memorabili nella versione che inaugurò la stagione 2013 [leggi la recensione del dvd]. Le coreografie di Susanna Egri sono ben eseguite, anche se appaiono poco in linea con la drammaturgia e all’atmosfera del rito.
Nel secondo atto abbiamo l’unico autentico momento di stasi drammaturgica del capolavoro verdiano, anche per l’intervento di una danza di mori non bella coreograficamente; quindi, specialmente per l’uscita di scena dei bambini, si vanifica l’intimità della dichiarazione di rivalità fra Amneris verso Aida, quando la prima giunge sottilmente a carpire la certezza dell’amore della schiava etiope per Radames.
Il trionfo in questa versione è forse l’immagine più nota al mondo di uno spettacolo lirico, con trombe al vento, cavalli ed elementi scenici manieristici in massimo grado. Ci piace, tuttavia, sottolineare l'effetto molto gradevole delle ballerine ad agitare nastri variopinti.
Il terzo atto ha tutto ciò che sarebbe necessario: la riva del Nilo, imbarcazioni egizie, giunchi e il tempio di Iside in lontananza. Bello il quarto atto, con una costruzione centrale fissa, che fungerà anche da fatal pietra, sovrastata da un baldacchino di teli colorati a formar una sorta di tenda.
Il ruolo eponimo era interpretato da Hui He, una veterana dell’Arena di Verona, che abbiamo avuto modo di apprezzare più volte in ruoli verdiani e pucciniani. In assoluto la sua prova non può dirsi negativa, anche se nella prestazione del soprano cinese abbiamo notato un certo affaticamento vocale e alcune imprecisioni (specialmente nel concertato secondo atto) negli attacchi durante le scene d’assieme. La classe, comunque, permane immutata, così come la rotondità del timbro e ci consente di ascoltare una bellissima “Qui Radamès verrà! ... O patria mia”
La rivale sulla scena di Aida, Amneris, era incarnata dal mezzosoprano ungherese Ildikó Komlósi, alla quale non si può certamente criticare la classe, lo stile e l’eleganza, anche se l’emissione appare troppo spesso vacillante per tenuta del suono. Molto bella la sua interpretazione della scena del giudizio, poiché, insistendo sul registro acuto, il mezzosoprano si è trovato sicuramente più a suo agio, con un controllo maggiormente sicuro dello strumento.
Ambrogio Maestri (che la sera prima aveva interpretato Don Pasquale alla Wiener Staatsoper) si mantiene sui livelli che conosciamo, grazie a una prestazione apprezzabile, ben consona al gusto del pubblico areniano, grazie a una stentorea accentazione e emissione sicura nello squillo.
Migliore del cast è stato Yusif Eyvazov, sicuramente uno dei più efficaci Radamès ascoltati negli ultimi anni in Arena. Ciò che ha impressionato maggiormente è stata la freschezza vocale con cui il tenore azero ha affrontato l’intero ruolo, senza dar mai segno di cedimento alcuno. I registri sono uniformi, l’emissione centrata e pulita, come impressionante la facilità di squillo e proiezione in acuto. Molto bella l’esecuzione di “celeste Aida”, con il Sib in diminuendo secondo la scrittura verdiana. Tuttavia ciò che abbiamo preferito della sua interpretazione sono stati il fraseggio, l’accentazione appropriata e la personalità nell'incipit del duetto con l’amata “Pur ti riveggo, mia dolce Aida...” e nel terzetto successivo, nel pronunciare “Sogno, delirio è questo”, senza scordare la bella sonorità di smorzature e mezzevoci (che correvano benissimo in Arena) nella scena finale e specialmente nella frase “Non rivedrò più Aida\ Aida, ove sei tu?” Bene anche scenicamente nell’aggirarsi fra i giunchi del Nilo, rendendo mobile la staticità dell’impianto registico. Perfetta la dizione, che consente di non perdere nemmeno una parola del libretto di Antonio Ghislanzoni.
Completavano il cast il bravo Rafal Siwek (Ramfis), Carlo Cigni (Il Re), Antonello Ceron (Un Messaggero). I primi ballerini del corpo di ballo della Fondazione Arena, coordinato da Gaetano Petrosino, erano Amaya Ugarteche, Alessia Gelmetti, Evghenij Kurtsev e Antonio Russo.
Dal podio Julian Kovatchev dirige in modo del tutto simile a quello che abbiamo avuto modo di ascoltare e recensire su questa stessa testata nel 2014. Una concertazione senza particolari spunti di personalità, ma abbastanza precisa nella conduzione di un’orchestra numerosa e difficile da gestire, vista la dimensione dello spazio che ormai non gli crea particolari problemi, anche se non possiamo esimerci dal notare qualche scollamento fra buca e palcoscenico nelle grandi scene corali e d’assieme. Nel complesso manca un autentico scavo drammaturgico e i bassi (orchestrali e corali) non sono sfruttati a dovere, specialmente nella scena del giudizio, quando andrebbero sottolineati il tormento di Amneris e l’oppressione per l’impotenza nei confronti della tragedia imminente della quale s’era resa, in parte, colpevole.
Il coro (non molto numeroso, rispetto al solito) diretto da Vito Lombardi affronta la serata con sicurezza e colore uniforme
Come chiosa finale dobbiamo segnalare l’entusiasmo del pubblico, anche se i lunghi cambi scena previsti dalla regia, affievoliscono di molto il pathos e la continuità del dramma, tramutando l’opera in una serie di quadri, per la maggior parte di grande effetto visivo, ma fin troppo slegati fra loro e quasi a sé stanti.
foto Ennevi