Otello, tragedia rossiniana
di Roberta Pedrotti
L’Ottello che sto scrivendo Sarà Magnifico e Certamente accrescerà la mia riputazione, se però è possibile Sorpassare il Cielo.1
Sto travagliando nell’Ottello Cosa difficile ma sicuro dell’effetto2
Spero avrete sapute Le notizie dell’Opera Immensa Otello andata in scena il 3 del presente che chiasso che capo d’Opera io certamente mi sono superato in maniera che dubito qualche volta di essere L’autore di una cosa tanto Clasica.3
Ora si darà ancora l’Ottello. Opera Clasica e che io preferisco a tutte le mie.4
Così Rossini riferiva alla madre della gestazione e dell'esito del suo Otello, definendolo a più riprese come "classico", termine che potrebbe stupire e fuorviare, ma che offre anche un'efficace ed eloquente chiave di lettura. Innanzitutto aiuta a sgombrare il campo da pregiudizi romanticheggianti influenzati da una reverenza verso Shakespeare che non avrebbe luogo ad estere, vuoi per le fonti dirette del libretto, che s'ispira al dramma inglese attraverso più d'un tramite, vuoi per la statura autonoma di questa trattazione del vero e proprio mito del geloso Moro di Venezia. Proprio invocando questo status di mito, in realtà, Stendhal criticava il testo del marchese Berio di Salsa: oltre che dalla musica, a suo dire, l'opera era retta dal ricordo di Shakespeare, cui si deve l'elevazione a mito del soggetto, ma proprio rammentare i versi inglesi condannava senza appello, a suo dire, quelli italiani. Tuttavia, già il teatro classico insegna il valore della trattazione sempre rinnovata d’un mito universalmente noto, che non per questo deve mancare in originalità e profondità artistica.