di Anna Costalonga
Nata in provincia di Piacenza, Margherita Torretta, dopo gli studi ai Conservatori di Piacenza e Milano e alla Lake Como International Piano Academy, ha sviluppato una carriera pianistica internazionale: stabilitasi a Londra, si esibisce in tutta Europa, in Giappone e negli Stati Uniti. Prima di indirizzarsi principalmente alla musica, aveva studiato danza classica e tuttora si interessa anche alle arti figurative e alla scrittura. Nel 2018 ha collaborato al progetto “Behind The Scars” della fotografa britannica Sophie Mayenne raccontando la sua vicenda umana e artistica segnata, anche nel fisico, da un grave incidente (https://behindthescars.co.uk/ https://margheritatorretta.com/mystory). Nel 2020 è uscito il suo primo CD, dedicato alle sonate di Scarlatti.
Ripercorriamo ora insieme la sua storia e il suo modo d'intendere l'arte e l'interpretazione.
Ti ricordi il momento preciso in cui ti sei detta «No, basta, devo essere una pianista»?
Si, c'è stato nella mia vita un momento preciso in cui ho deciso di intraprendere questo difficilissimo percorso. Fin da bambina la musica e l'arte in tutte le sue forme hanno rappresentato un importante canale di espressione quotidiana. Ho intrapreso lo studio della danza classica da giovanissima e mia madre mi ha trasmesso l'amore per la musica in quanto lei stessa suonava amatorialmente il pianoforte. In casa avevamo un organetto elettrico e un verticale, oltre che a svariati LP di musica classica e non solo. Sono cresciuta ascoltando le sinfonie di Beethoven e i grandi miti della musica italiana come Guccini, De Gregori, Dalla e De Andrè. Da mia nonna invece ho ereditato la passione per la sartoria e già da molto piccola mi vedevo comoda in abiti lunghi e piuttosto eccentrici, mi sono appassionata alla moda e sognavo di creare io stessa abiti da sera, tanto che mi divertivo a disegnare svariati modelli su un quaderno che ancora oggi custodisco a casa dei miei genitori. L'idea di diventare una pianista professionista non era in cima alla lista, fino a quando, in un momento assai doloroso della mia adolescenza (avevo circa 18 anni), ho dovuto fare i conti con un grave problema di salute, che mi ha costretto a non camminare per diverso tempo. In quella fase il pianoforte e lo studio della musica hanno cominciato a trasformarsi in una preziosa ancora di salvezza. Pormi un obiettivo così grande mi ha dato la forza di superare un vero e proprio dramma che certamente ha rivoluzionato la mia intera esistenza. Quella improvvisa illuminazione è arrivata suonando le note della meravigliosa canzone Rimmel di Francesco De Gregori, immortale poesia che mi ha regalato la chiarezza e certezza di ciò che dovevo essere nella vita adulta.
Pianista a Londra. Ccom’è la vita di un pianista classico, anche tu sei stata un’italiana all’Estero? È proprio inevitabile per gli artisti italiani stabilirsi all’estero? Cosa ti ha dato Londra?
La vita di un pianista classico, ma come credo sia qualunque vita del mestiere d'artista in generale, è estremamente faticosa (non che qualsiasi altro lavoro non comporti sacrifici, sono figlia di un artigiano e di un'insegnante e di sacrifici nella mia famiglia ce ne sono sempre stati molti) ma la più grande sfida con cui un musicista deve fare i conti è “il riconoscimento”.
Per riconoscimento si intende l'essere visti, apprezzati e valorizzati dagli altri, dettaglio senza il quale non si può lavorare. Investire su un cammino di questo genere significa prendersi il rischio di non “essere riconosciuti” , almeno nell'immediato, e quindi dover lavorare senza essere pagati, studiare ed esercitarsi per infinite ore al giorno, lavorare su qualcosa di astratto, di non tangibile - quel qualcosa che troppo spesso viene considerato superfluo ed inutile al sociale.
Significa avere estremo senso del dovere e amare la solitudine.
Il musicista deve allenare il proprio corpo, quindi lasciare che il tutto faccia il proprio corso, coltivando la disciplina, la pazienza e la resilienza.
Per me affrontare tutto questo è stato ovviamente naturale ed inevitabile, e nel lungo termine ha certamente portato molte soddisfazioni.
Alla domanda se è necessario trasferirsi all'esterno, rispondo no.
Ognuno può crearsi il proprio spazio nel luogo in cui si trova, anche se devo dire che in Italia la situazione è particolarmente complessa. Anni fa ho avvertito l'esigenza di espandermi altrove, poiché nel luogo in cui mi trovavo non riuscivo appunto ad essere sufficientemente riconosciuta.
Ho scelto Londra, poiché, dopo averci suonato qualche anno prima, ho ricordato un'energia pazzesca propagarsi in ogni angolo della città.
È stata un'esperienza incredibile. Ho avuto la possibilità di stringere relazioni importanti che mi hanno aiutato a fare un salto qualitativo, non solo nel mio percorso di pianista, ma anche nel mio percorso di donna.
Di certo vivere all'estero, però, non è così semplice e idilliaco come può sembrare.
Spesso mi sono sentita dire : “Fortunata tu che vivi all'estero!”.
Ecco, evidentemente non si sa di cosa si stia parlando.
Non siamo a casa nostra e ci è richiesto di integrarci con una cultura differente: quindi, psicologicamente, tutto è più difficile.
In Inghilterra il fronte musicale è molto valorizzato. Lavorare con quello che so fare è stato alquanto facile e immediato, ma non nego la fatica che mi è costata in questo processo di inserimento. Gli italiani sono famosi per essere un po’ esterofili, così in genere, quando ci si afferma all'estero, poi si lavora più facilmente anche a casa.
Sei tornata in Italia quest’anno, però. Perché?
Sono tornata in Italia perché quello che volevo raggiungere e assorbire da fuori lo ho ottenuto. Ora credo di poter vivere un po' ovunque, e dato che sono profondamente legata alla mia terra e alle mie radici, è in Italia che vorrei rimanere.
Preferisco stare a casa mia, sapendo che dovrò tornare a fare i conti con tutta una serie di problematiche che ben conosciamo. L'Italia, però, rimane il paese più bello del mondo, per me. Indubbiamente, la terribile situazione di pandemia ha stravolto priorità ed esigenze di tutti quanti, e nel mio caso ha probabilmente solo accelerato un qualcosa che era già in atto, ma di cui non ero forse totalmente cosciente.
Come è nato Scarlatti - 20 Sonatas, il tuo ultimo disco? E perché proprio Domenico Scarlatti? Come ti sei avvicinata a questo compositore?
Il mio viaggio nel mondo di Domenico Scarlatti è iniziato molto tempo fa. L'insegnamento più importante che il mio maestro William Grant Naborè mi ha trasmesso è stato: “Non devi diventare una pianista. Devi essere un'artista!”
Ricordo bene quelle parole, mentre ero seduta al bellissimo pianoforte Steinway all'International Como Academy concentrata sulle pagine del Carnaval op.9 di Robert Schumann. Ho sempre desiderato “dipingere” la mia tela musicale, facendo delle le mie dita lo strumento creatore di una tavolozza di colori. Quando ero più giovane amavo suonare opere di grande virtuosismoe amavo far scorrere velocemente le mani da un lato all'altro della tastiera, senza però focalizzarmi sui piccoli dettagli.
Un giorno il mio maestro mi ha suggerito di lavorare su alcune sonate di Domenico Scarlatti. Questi brevi e apparentemente semplici ritratti hanno conferito un'immensa libertà alla mia espressione musicale e artistica, poiché ogni singola nota e singola pausa chiede di essere celebrata.
Per questo doppio disco ho selezionato le venti sonate che mi sono piaciute di più, scegliendole in base alla tonalità, al diverso stato d'animo che esprimono, allo stile, al tocco e all'articolazione. Ogni sonata è un piccolo mondo, una piccola storia, una piccola poesia.
Ho ascoltato molte registrazioni delle sonate di Scarlatti di importanti interpreti del XX secolo, ma anche di pianisti contemporanei, senza però trovare una vera fonte di ispirazione.
Adoro l'interpretazione di Clara Haskil, così come trovo molto interessante quella di Pletnev, Lucas Debargue e Federico Colli, ma ammetto che la maggior parte dei dischi che ho acquistato mi hanno dato l'idea di qualcosa di eccessivamente asciutto e statico, privo di cambiamento di tocco o articolazione, e di conseguenza, senza emozioni.
Da tempo l'interpretazione delle sonate di Scarlatti è stata fraintesa, e questa esegesi errata è presente ancora oggi.
Clementi, Moscheles e Czerny suonavano le sonate di Scarlatti puramente come brani virtuosistici, ma quando lo stupore per quel virtuosismo è passato di moda, nessuno ha approfondito la vera arte del compositore, lasciando a noi un'idea alquanto superficiale di quei pezzi meravigliosi.
Solo dopo tanto tempo, grazie alle ricerche di musicologi italiani, abbiamo avuto la possibilità finalmente di scoprire l'anima vera e piena di contrasti di Domenico Scarlatti, il cui lavoro è stato totalmente influenzato dal folklore spagnolo e italiano. L'Italia, più di altri paesi, ha un'enorme tradizione lirica e del repertorio operistico, ecco perché i pianisti italiani possono sentire e afferrare davvero profondamente l'elemento teatrale dell'opera di Scarlatti.
Le lunghe pause nelle sonate di Scarlatti sono spesso ignorate così come l'elemento teatrale. Noi pianisti siamo privilegiati poiché il pianoforte ci dà l'opportunità di sfruttare una vastissima capacità sonora. Il folclore arabo-andaluso e la libertà del Cante Jondo sono spesso sostituiti da un elegante, statico stile preclassico. Ogni singolo tema, in realtà, è il personaggio di una storia, ognuno con la propria personalità; le diverse sezioni rappresentano il levarsi del sipario; le pause improvvise e le modulazioni inaspettate sono solo trucchi infallibili di un teatrante che sa benissimo come mantenere l'attenzione del pubblico, e indubbiamente le lunghe pause sono generatrici di tensione emotiva.
Le sonate devono essere recitate, esattamente come un attore di teatro.
Troveremo drammi, fuochi d'artificio, svolte di eventi. Dobbiamo quindi sentirci liberi di rallentare, oppure accelerare, non aver paura di suonare con forza gli accordi della mano sinistra, o di suonare le melodie cantabili con un legato quasi romantico. Come possiamo ignorare le lunghe pause, o suonare una sonata con il metronomo o mantenere la stessa articolazione dall'inizio alla fine?
Ricordiamo anche che Domenico Scarlatti compose una produzione vocale oltre a quella strumentale. Ha scritto più di sessanta cantate basate sulla “teoria degli affetti”, trovando modi diversi per trasmettere le varie passioni ed emozioni umane attraverso musica. La chiave per la corretta interpretazione del repertorio di Scarlatti è studiare attentamente la sua intera produzione musicale.
Come stai vivendo la pandemia? Come è per te questo stare a casa forzato?
Al momento tutto il mondo musicale e artistico è fermo. Questa decisione, come abbiamo potuto leggere dai giornali, ha suscitato non poche polemiche.
Oltre alle problematiche di natura materiale ed economica per noi artisti, sorgono gravi danni di carattere psicologico per il pubblico, che in questa tragica realtà viene privato della possibilità di svago e quindi della possibilità di evadere dalla propria quotidianità.
Il rapporto dell'Associazione Generale Italiana dello Spettacolo ha reso noto un unico caso di positività tra gli spettatori, successivamente alla riapertura del 15 giugno. Quest'unica positività è stata riscontrata su un totale di oltre 340 mila spettatori per 3 mila spettacoli. Vorrei ricordare una frase di Claudio Abbado quando disse che “La cultura è un bene comune primario come l'acqua; i teatri, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”.
La sensazione che il mondo della cultura sta vivendo è quello di totale abbandono e sconfitta.
I miei concerti sono stati ovviamente cancellati, non suono su un palco dallo scorso marzo e tutto ciò mi fa terribilmente soffrire. Ero abituata a prendere un volo aereo quasi ogni settimana e lo stare ferma all'improvviso è stato destabilizzante. Mi trovavo in Australia ad Adelaide, proprio mentre hanno cominciato a verificarsi episodi inquietanti in Italia, come le lunghe colonne di mezzi militari a Bergamo, impiegati per trasportare le bare delle vittime covid.
Mi trovavo dall'altra parte del mondo e guardavo attraverso lo schermo del cellulare uno scenario di guerra a pochi chilometri da casa mia. Mi sembrava un film d'orrore. Avrei solo voluto tornare a casa dalla mia famiglia, ma non sapevo nemmeno se sarei riuscita a prendere un volo di ritorno.
In poche ore i miei concerti sono stati annullati e ho lasciato il territorio australiano poco prima che le frontiere venissero chiuse.
A tutt'oggi non so quando potrò ricominciare ad esibirmi.
Attendo di partire per una tournée in Cina il prossimo anno, ma al momento nutro ben poche speranze a riguardo.
Continuo a studiare. Al momento mi sto dedicando con piacere allo studio di alcune sonate di Beethoven e ai preludi di Chopin. Mi sono imbattuta nei Pêchés de Vieillesse di Rossini e non escludo possa essere oggetto di lavoro del mio prossimo disco.
Sto insegnando ai miei studenti sparsi per il mondo, ovviamente online, e sto inoltre ultimando il mio romanzo, la mia prima creazione letteraria.
Puoi dirci già come si intitola e di che cosa parla?
Si intitola “Rimmel” ed è un romanzo di formazione. È una celebrazione alla vita ed è ispirato a una storia vera, la mia storia, sebbene per necessità narrative molte situazioni sono state modificate o inventate. Ho sempre scritto molto fin da piccolissima e pubblicare un romanzo è per me un altro sogno che si avvera. In questi mesi ho voluto vivere questo stare a casa forzato come una preziosa opportunità, come un eccezionale momento di riflessione e quindi creazione. Non sono sola in questo percorso, ma sto lavorando a quattro mani con Anna Codega, poetessa e donna straordinaria. Ho deciso di scrivere questa storia perchè il mio è stato un percorso accidentato, in cui momenti ed eventi avversi hanno prodotto rallentamenti e addirittura cambi di rotta. Vorrei farmi portatrice di un preciso messaggio: credere nelle proprie visioni e intuizioni, avere una profonda fede nella vita ed essere consapevoli della “magia”di cui ognuno di noi è stato provvisto fin dalla nascita.
La protagonista è una ragazza vivace, piena di interessi e di tutte le tensioni tipiche dell'adolescenza, come la ricerca dell'amore. A diciott'anni è finalmente pronta per coltivare i suoi talenti, ma all'improvviso un terribile incidente interrompe bruscamente ogni progetto. Dopo mesi di ospedale, Sveva, così si chiama la protagonista nel libro, si trova a dover fare i conti non solo con un corpo che non è più come prima, ma anche con esigenze e sguardo sulla realtà diversi. L'indole artistica preme forte nel suo spirito combattivo, e il cambio di rotta la conduce verso un'altra strada, quella del pianoforte, catapultandola improvvisamente in un mondo quasi opposto a quello precedente.
Nel romanzo compaiono molti personaggi, tra cui i familiari, gli amici e i fidanzati, primo fra tutti Leonardo, amore che entra ed esce dalla vita di Sveva molte volte, quasi per una beffa del destino. Ciascuno avrà reazioni diverse alla nuova condizione di Sveva, qualcuno si allontanerà, altri invece la accompagneranno nel nuovo percorso.
È un insieme di ritratti psicologici che si intrecciano con quello della protagonista , spesso riflessi di dinamiche complesse. Anche il mondo dell'invisibile ha una parte importante in questo romanzo, così come i diversi ambienti dove si svolge la trama, dal piccolo paese di provincia fino a New York e alle grandi città di mezzo mondo.