Martina Gresia, giovanissima vincitrice di concorsi internazionali, a soli 25 anni si è trovata a debuttare nei panni di Norma a Brescia, sostenendo ben otto delle dieci recite della tournée fra i teatri lombardi e il Verdi di Pisa. Una produzione che ha riscosso un successo straordinario e ha portato alla ribalta le qualità del soprano romano, voce importante, ricca di armonici, morbida e duttile, chiarissima nella dizione, sempre attenta al fraseggio. In vista degli impegni del 2023, dopo l'esperienza di Norma, le abbiamo chiesto di raccontarsi.
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Brescia, Norma, 30/09-02/10/2022
Da promettente nuova voce, di quelle di cui nei concorsi si comincia a dire “da tenere d'occhio” a rivelazione acclamata in una parte mitica come Norma! Raccontaci un po' chi è Martina Gresia fino a questo debutto a Brescia.
Martina è una ragazza che sin da piccola voleva cantare e che giorno dopo giorno vive il suo sogno rendendolo un pezzettino alla volta realtà. Non provengo da una famiglia d’arte o di appassionati d’opera, ma la musica ha, da sempre, fatto parte di me, è stata la mia nonna materna la prima a riconoscere una “voce particolare” e ad esortarmi, insieme ai miei genitori, a iniziare gli studi musicali. Subentrano, a questo punto, altre due figure molto importanti: i miei insegnanti, che tuttora mi seguono e monitorano la mia evoluzione, Nunzia Santodirocco e Massimiliano Damato; li ho conosciuti che avevo poco più di dieci anni, grande fortuna, io volevo “fare la cantante da grande”, e loro, dopo una risata divertita, tra scherzo e concretezza, lezione dopo lezione mi hanno plasmata, insegnandomi le basi musicali, il pianoforte e il canto; ma è più di questo, un percorso del genere ti insegna la disciplina, la dedizione, il saper rinunciare allo svago e al divertimento per un resoconto che arriverà poi, e giungere ad avere la fortuna di lavorare facendo ciò che si ama, esprimendo l’essenza più pura di ciò che si è.
Ho iniziato concorsi e audizioni a diciannove anni, il debutto è arrivato poco dopo: il 26 agosto 2018 all’Arena di Verona per il Verdi Opera Night, ventenne, senza aver mai calpestato prima un palcoscenico. A volte l’incoscienza è “gran pregio”, e sicuramente, in quella serata-evento, ne ho avuta molta, insieme a coraggio e tanto amore per la musica. È stata un’esperienza che mi ha forgiata e che non dimenticherò mai.
Da lì, sono arrivate altre opportunità ed esperienze meravigliose, il debutto nella Bohème come Mimì nel circuito dei teatri toscani, l’apertura dell’Abdrazakov Fest ad Ufa, l’Ecuba a Martina Franca, l’approdo al Teatro Petruzzelli di Bari, che è stata la prima Fondazione a credere tanto in me da affidarmi un ruolo principale e che ogni anno mi sta offrendo meravigliosi debutti come Adina nell'Elisir d’amore, Donna Anna nel Don Giovanni e il prossimo anno l’opportunità di riprendere la mia amata Mimì. A marzo, poi, ho esordito al Teatro Lirico di Cagliari con Adina, dove tornerò nel 2023 debuttando come Micaela in Carmen e quest’estate, per la prima volta, ho vestito i panni di Mrs Alice Ford in Falstaff con Bryn Terfel nel ruolo del titolo, grazie all’Orchestra della Magna Grecia, che mi sta offrendo splendide occasioni tra cui, il debutto dei Vier Letze Lieder di Strauss e vari concerti con importanti nomi del panorama lirico.
E poi? Come hai affrontato questo debutto e cosa ha significato per te?
Dopo la vittoria di quest’anno al Concorso Lirico Internazionale AsLiCo, per il ruolo di Donna Anna, il direttore artistico del Teatro Sociale di Como, Giovanni Vegeto, mi propone, avendo già cantato il Don Giovanni a Bari, di provare questo immenso ruolo in sostituzione all’altro. Si trattava di una produzione che partiva dal Teatro Grande di Brescia e che avrebbe fatto approdo nei teatri del circuito lombardo e al Verdi di Pisa; c’era bisogno di una Norma per tre delle dieci recite totali della produzione, e lui credeva che io potessi essere in grado di farlo. Poi, in corso d’opera, le mie son diventate otto recite, e ammetto che è stata una di quelle esperienze che ti fortificano e temprano, anche perché, essendo l’imprevisto sempre dietro l’angolo, mi sono ammalata subito dopo la prima di Brescia e ho dovuto purtroppo cancellare la seconda, per poi riprendere dalle tappe successive, ovviamente ancora convalescente. Ma il privilegio di poter essere lì a dare voce ad uno dei ruoli più belli mai composti, l’adrenalina, il supporto delle persone a me care, dei miei colleghi e delle direzioni artistiche dei teatri in cui di volta in volta approdavo mi hanno dato la forza di continuare con tenacia le date della tournée lombarda. E sono contenta di aver portato a termine il percorso, sentendo ad ogni recita emozioni nuove, sfumature e dettagli che di volta in volta prendevano vie diverse e creavano magia.
Non capita tutti i giorni di avere a che fare con un’opera del genere a venticinque anni, è una sfida enorme, ma io, da sempre, adoro le sfide. Ho aperto lo spartito, e pagina dopo pagina mi innamoravo sempre di più della meraviglia che Bellini è riuscito a creare: c’è così tanto da comprendere nel profondo, così tanto da ammirare, sul quale soffermarsi e a cui dare valore.
Un debutto di questo tipo ti pone di fronte a ovvi timori: in primo luogo affrontarne la difficoltà musicale e tecnica, ma non solo, a livello psicologico, il costante paragone con le Dive del passato, che hanno portato alla gloria questo ruolo, facendo in modo che Norma diventasse IL caposaldo del Belcanto, e rendendo “Casta Diva”, una delle arie più celebri e note di sempre. Per iniziare l’opera con quest’aria c’è bisogno di tanto sangue freddo, e per me è probabilmente una delle parti più ostiche: un po’ per la tessitura, che paradossalmente trovo più comoda nella versione scritta in origine, un tono sopra, un po’ per l’aspettativa che si crea nel pubblico, che è qualcosa che si percepisce addosso durante tutta l’introduzione musicale, in quegli attimi, così delicati. C’è bisogno di profonda concentrazione, si è pervasi da un senso di onnipotenza e totale vulnerabilità, ed è appunto in questo contrasto ossimorico così netto la complessità principale di questo affascinante e immenso ruolo.
Quali sono state le insidie principali, i momenti in cui subito ti sei trovata a tuo agio e quello che pensi potrà più crescere nel tempo?
Vocalmente, la parte, l’ho sin da subito sentita mia, ed io non mi fermo mai alle prime impressioni. Adina, per esempio, ha avuto bisogno di più tempo per essere compresa dalle mie corde vocali, Norma no, era lì, che sin dalle prime letture sembrava scritta per la mia voce, ed ero felice, mentre studiavo, di sentirmi a casa.
La cosa che mi entusiasma dell’aver avuto la possibilità di debuttare così presto questo ruolo è che avrà modo di crescere con me, perché non è uno di quei debutti giovanili che sai che presto abbandonerai per passare ad altro, bensì, Norma, se ce ne saranno le occasioni, potrà sempre fare parte di me, ed avere un’infinità di evoluzioni, accompagnate dalle esperienze di cui la vita mi arricchirà.
È stato importante essere in un cast con un'età media molto bassa e composto quasi esclusivamente da debuttanti in quest'opera?
Aver potuto lavorare in questa produzione con colleghi giovani e che, come me, debuttavano quest’opera, è stato coinvolgente, c’era un clima di unione e crescita; abbiamo fatto, in primis, con il nostro direttore d’orchestra, il m° Alessandro Bonato, e il m° Richard Barker, che al pianoforte con gusto ed esperienza ha aiutato tutti noi, un lavoro minuzioso su accenti, parola, ricerca delle sfumature da cui ogni personaggio è caratterizzato. Poi, sul palco con la regista Elena Barbalich reso, in questo elegante allestimento di Tommaso Lagattolla, ciò che in musicale avevamo iniziato a creare.
Pensi di essere stata un po' incosciente? Lo rifaresti?
Se penso di essere stata un po’ incosciente?! Certo, un pizzico o più di incoscienza deve far parte di un artista, secondo me è necessario per chi decide di fare questo lavoro. Le scelte che ho fatto sino ad ora sono state sempre ben ponderate e ho la fortuna di avere persone che mi sostengono e indirizzano verso la strada che crediamo più giusta. Questa era un’opportunità davvero grande e importante, una di quelle che capitano assai raramente nella vita, ed io ho deciso di coglierla. D’altronde credo che questo mestiere sia il connubio tra occasioni e tempismo, con l’aggiunta di quel pizzico di coraggio e incoscienza che servono per affrontarle. Quindi sì, lo rifarei, come rifarei ogni cosa, perché mi ha portata qui ed ora.
Quindi, esiste un “momento giusto” per un debutto? Come lo si riconosce? E il ruolo giusto? Come studi una nuova partitura?
Come dicevo questo mestiere è fatto di occasioni, che bisogna valutare e capire se è il momento di cogliere al volo o scartare per motivi che possano essere dovuti, per esempio, al repertorio o alle tempistiche di preparazione. Detto ciò, si è fortunati se il “momento giusto” coincide con il ruolo giusto. Spesso il percorso è fatto di sfide che ci mettono alla prova, soprattutto all’inizio, quando i teatri ancora non conoscono le vere caratteristiche della nostra vocalità. Sta in questo, secondo me, la riuscita o meno di una carriera: nel saper scegliere in base al benessere della propria voce sin dall’inizio, perché il corpo non mente, bisogna soltanto fermarsi ad ascoltarlo.
Un ruolo giusto lo si riconosce, a volte subito, a volte con un po’ di pazienza e costanza nello studio. Io credo moltissimo nel potere della tecnica, che può quasi tutto. Anzi, penso che uscire dalla comfort zone aiuti persino, anche se fatto solo per ricerca di sensazioni nuove o allenamento. Non a caso, uno dei personaggi che trovo più distanti da me tra quelli affrontati sino ad ora è anche quello che mi ha dato più consapevolezza e solidità nell’affrontare poi un repertorio che credo più vicino a quella che è la mia voce, e sono fiera di questo perché è anche un ruolo che mi ha dato moltissima soddisfazione, parlo di Adina dell'Elisir d’amore.
Quando studio una nuova partitura innanzitutto ne cerco e comprendo il contesto storico, se ne ha uno, leggo le fonti letterarie da cui è tratta, dopodiché passo alla lettura del libretto e infine alla musica. Uno, due ascolti dell’opera, magari di più edizioni, una “classica” e una più recente, poi mi dedico totalmente allo spartito, lo analizzo in ogni sua piccola parte, cercando di dare un senso ad ogni accento, ad ogni dinamica, parola, punto…
E quando non riesco a trovarne il significato oggettivo, ne trovo uno mio cercando di farlo comprendere anche all’ascoltatore.
In effetti oggi farei fatica a immaginarti come Adina e, d'altra parte, ora immagino che starai ricevendo molte proposte. Fra tante opportunità, ci sono anche dei rischi a cui hai detto no? Come stai indirizzando ora il tuo repertorio e la tua carriera? Cosa deve fare un soprano giovane ma dalla vocalità importante per individuare le parti giuste e non bruciarsi?
Ho detto tanti “no” sino ad ora, perché la mia è una voce che può trarre in inganno e che in audizione, avendo poco tempo a disposizione per conoscerla e comprenderla. Spesso crea pareri discordanti: mi sono stati proposti ruoli molto leggeri, ruoli molto pesanti, ma alla fine le scelte fatte mi hanno portata sempre nella direzione che credevo più sana per lei, che è quella di un lirico pieno, giovane, con agilità.
Norma ha segnato il mio percorso, indubbiamente non credo che altri Elisir compariranno sulla mia strada, e lo dico a malincuore perché ci sono davvero affezionata, però voglio comunque procedere con cautela, rispettando i tempi di una voce che maturerà ancora e che affronterà un repertorio più pesante con la giusta consapevolezza e con l’appropriato bagaglio tecnico: “non ho fretta”.
Il mio repertorio comprende ruoli d’agilità, come qualche Rossini serio, o le regine donizettiane che mi piacerebbe tanto avere l’opportunità di cantare; poi ruoli da lirico puro come Mimì, per esempio. Ad oggi vorrei iniziare anche qualche primo Verdi e sicuramente non abbandonare Bellini.
Probabilmente un soprano giovane dalla vocalità importante deve trovare il giusto equilibrio tra ruoli, seppur complessi, che mettano a fuoco le sue caratteristiche e ruoli che non siano esageratamente acrobatici, e che la facciano sentire a proprio agio senza troppi sforzi. Secondo me, è questo il modo per non bruciarsi e non farsi male, ma al contempo iniziare ad imporsi nell’ambiente per quello che si è.
Ho rivolto le prime domande alla cantante. E la ragazza di venticinque anni come affronta l'inizio della carriera e una vera e propria tempesta di responsabilità ed emozioni qual è stata la Norma lombarda? Riesci a fare anche la tua vita normale?
È tutta la vita che aspetto questo momento, certamente la tempesta di responsabilità porta con sé forti stress e ansie, ma poi, quando si è lì, sul palco, a fare ciò che si ama, per cui son stati fatti tanti sacrifici e un’infinità di lezioni, passa tutto, ed è impagabile l’emozione che si vive ogni volta.
Chi decide di fare questo mestiere non sa cosa significhi vivere una “vita normale”, si è sempre in viaggio, il più delle volte lontani dalla famiglia, dagli affetti, praticamente sempre soli a vedersela con le proprie “croci e delizie”; ed è difficile trovare qualcuno che capisca, qualcuno che supporti e sopporti queste situazioni. Per quanto riguarda me “Galeotta fu Norma”: è stata lei a farmi conoscere l’amore, perciò, è stato infine proprio il mio lavoro a dare il più bel contributo alla mia vita privata.
Quali sono stati gli incontri artistici e umani più importanti nel tuo percorso teatrale e musicale?
Gli incontri umani e artistici più importanti nel mio percorso teatrale e musicale sono sicuramente tra i già citati, insieme a qualcun altro: i miei insegnanti, di cui uno dei due, durante il percorso intrapreso, ha aperto un’agenzia lirica ed ha iniziato a seguirmi anche dal punto di vista lavorativo, Antonio Pergolizzi, il mio korrepetitor, con cui ho da sempre preparato audizioni, concerti e ruoli da debuttare, che oltre ad essere una guida artistica è una persona meravigliosa, la Casting Manager del Teatro Petruzzelli di Bari, Elena Rizzo, che è stata una dei primissimi a credere in me, Giovanni Vegeto, direttore artistico del Teatro Sociale di Como, che insieme ad Alessandro Trebeschi, segretario artistico del Teatro Grande di Brescia, mi ha affidato l’immensa opportunità che è stata la produzione di questa Norma. Ultimo ma non per importanza, il mio ragazzo che, seppur da poco tempo, mi ha sostenuta in maniera encomiabile durante l’intera tournée lombarda e che lo fa ogni giorno, instancabilmente.
Infine, non posso inserirli tra gli incontri, ma non posso non citarli: i miei genitori che mi hanno da sempre supportata, psicologicamente e monetariamente negli studi e nel percorso.
Quali sono i tuoi prossimi debutti, i tuoi obiettivi più vicini e, perché no, quelli a cui punti da raggiungere più avanti nella tua carriera?
I miei prossimi impegni per ora sono tre, tra questi un debutto in un nuovo teatro e il debutto di un nuovo ruolo. In marzo sono entusiasta di riprendere Norma, questa volta, al teatro Comunale di Bologna, poi, in estate tornerò al Teatro Lirico di Cagliari debuttando Micaela in Carmen, e a dicembre La bohème, nei panni di Mimì, al teatro Petruzzelli di Bari. Uno dei personaggi che mi piacerebbe tanto fare un giorno non troppo lontano è sicuramente Anna Bolena, che trovo di immenso fascino e intensità: metterei questo tra gli obiettivi più vicini. Tra quelli a cui punto da raggiungere più avanti nella mia carriera, invece, inserisco ogni eroina verdiana: amo infinitamente Lady Macbeth e Abigaille, che tengo a parimerito sul podio dei miei sogni. Al contempo, non posso non citare Tosca, altro ruolo che mi renderebbe grata e soddisfatta di questo incredibile e pazzo mestiere.
Grazie, un grande in bocca al lupo per tutto!