di Vincenza Caserta
Dopo la scomparsa nel 2018 del suo maestro, Claudio Scimone, Giuliano Carella è stato nominato direttore musicale dei Solisti Veneti nel 2019 e nel 2020 direttore artistico. Gli abbiamo chiesto un bilancio su quest'esperienza.
Lei ha raccolto l’eredità artistica di Claudio Scimone come direttore dell’orchestra dei Solisti Veneti. Ad alcuni anni dall’inizio di questo percorso cosa ci racconta relativamente a questa esperienza?
A distanza di cinque anni dalla scomparsa del maestro ci sono due diversi sentimenti che coesistono: per prima cosa gratitudine e ammirazione; poi sembrava che con la morte di Scimone si fosse esaurito il percorso dei Solisti Veneti. Il fatto che anche con i musicisti sia stato possibile seguitare questo percorso è motivo di grande felicità. Da cinque anni a questa parte sono più di centocinquanta i concerti tenuti dai Solisti Veneti.
I Solisti Veneti rappresentano ormai un pilastro storico per l’interpretazione della musica barocca. Lo scorso anno è stato proposto integralmente L’estro armonico, recentemente Il cimento dell’Armonia e dell’Invenzione Op 8. Quale aspetto di Vivaldi in queste esecuzioni l’ha sorpresa maggiormente?
Vivaldi è relativamente una sorpresa: ero allievo del maestro Toso per il violino, fu lui a presentarmi Scimone ed iniziai a studiare con lui frequentando sempre il barocco. Dopo tanti anni di repertorio lirico e sinfonico ritengo una gioia tornare al barocco. Credo che sia straordinaria la modernità del lascito vivaldiano, appartenente al repertorio più importante della nostra tradizione. Se dovessi dunque parlare di sorpresa su Vivaldi direi che è la modernità presente nella sua musica.
Recentemente con i Solisti Veneti è stato impegnato in un interessante progetto con Nicola Piovani, con un’opera scritta per i Solisti, Tre fenomeni. Quali caratteristiche possono essere d’aiuto a un musicista nell’avvicinarsi al repertorio contemporaneo?
Parlando dell'attualità di Vivaldi si può tracciare un parallelismo con Piovani, grandissimo per le colonne sonore e Premio Oscar per La vita è bella. La modernità legata all'immagine in questo caso: possiamo dire che l'approccio sia lo stesso, bisogna essere al passo con i tempi e il fatto che proprio Vivaldi abbia ispitato questi tre concerti scritti da Piovani lo conferma e fa sì che anche l'approccio diventi lo stesso.
Quest’anno per la prima volta si è aperta la via verso una nuova collaborazione con il Coro della Fenice, in occasione di una ricorrenza importante legata a Puccini. Come valuta questa esperienza?
È qualcosa di estremamente importante questa collaborazione perchè lavorano assieme sul territorio e con sinergia due prestigiose istituzioni come la Fenice e i Solisti Veneti. La finalità di questo sodalizio per la commemorazione pucciniana rende ancora più importante questo momento. La collaborazione tra i Solisti Veneti e l'OPV per la produzione del Barbiere di Siviglia, in scena il 10 dicembre a Treviso e il 19 e 31 dicembre al Teatro Verdi di Padova, ci fa capire quanto in questo momento storico possa essere importante l'arte come occasione di incontro. La musica diventa quindi una reazione a ciò che accade nel mondo.
L’orchestra dei Solisti Veneti è formata da validi artisti che si alternano spesso nelle parti solistiche. Come riesce a valorizzare le capacità artistiche di ciascun interprete?
I Solisti Veneti sono una famiglia, un gruppo di amici, sono tutti solisti di grandissimo livello che suonano assieme, non potrebbe dunque esserci nome più adatto. Loro stessi valorizzano questo repertorio e opere come l'Estro Armonico o Il cimento dell'armonia e dell'invezione lasciano spazio ai vari solisti, come anche i Concerti di Tartini e quindi ciascuno può esprimere le proprie qualità.
Lei ha diretto numerose opere liriche, che pondono di fronte a una complessità maggiore per il rapporto con il teatro e la molteplicità di elementi coinvolti. In quale, tra le opere che ha diretto, ha sentito meglio realizzarsi una “magica connessione” tra i vari elementi?
Sono trentasette anni che dirigo l'opera e mi avvicino ormai ai centoventi titoli di repertorio: credo che sia necessario entrare nella giusta sintonia con quello che si sta facendo, quindi l'opera più bella artisticmente è quella che si sta facendo in quel momento.
Che differenza di atteggiamento c’è da un punto di vista musicale e intellettuale tra il dirigere un’opera lirica e la musica cameristica e sinfonica?
Nella carriera di un direttore d'orchestra credo sia fondamentale affrontare sia l'opera sia il repertorio sinfonico, sia quello cameristico. Ogni disciplina trasmette qualcosa all'altra, i respiri musicali, ad esempio, sono fondamentali in qualsiasi repertorio. Disciplina e dedizione sono fondamentali per il nostro lavoro e la stessa cosa vale per il repertorio lirico e sinfonico. I grandi solisti, che studiano moltissimo, possono dare un esempio. Il direttore d'orchestra affronta le problematiche tecniche in modo diverso nelle varie formazioni, diventando come una lente prismatica che funziona al contrario. Siamo abituati a vedere la lente prismatica che scompone in vari elementi, invece il direttore d'orchestra raccoglie le caratteristiche umane, musicali, picologiche e di sensiilità di tutti i musicisti e trasforma il tutto in un sentire comune.
Siamo ben lontani dalle figure autoritarie che si imponevano sull'orchestra in modo dittatoriale. Se pensiamo alla vivissima vita musicale che c'è in Germania: in quel contesto se un direttore viene invitato si è già in recita, senza prove. In questi casi il gesto diventa comunicazione immediata e sorprendente, come avviene con la Filarmonica di Vienna, con la quale si realizza la magia che, dopo un attimo di studio reciproco con questi musicisti straordinari, diventa un'esperienza di sguardi e una comunicazione affascinante.
Per concludere, come definirebbe il mestiere del musicista e l'impegno a dar vita a composizioni anche complesse evidenziandone gli aspetti più vicini all’animo umano?
Schopenhauer, grande appassionato di musica, la definisce com e "filosofia delle idee inespresse", quindi la chiave è questa: l'opera è più profonda ma diversa proprio perché c'è un testo che la definisce. Penso davvero che la musica sia l'essenza delle cose che fortunatamente si percepiscono al di là di qualsiasi esemplificazione pratica. Io da socratico "so di non sapere", la musica appartiene al nostro essere, alla nostra sensibilità ed è incredibile la sua capacità descrittiva sia verso i sentimenti più profondi sia verso gli ideali più alti o più bassi. Mi ritengo fortunato nel poter fare questo mestiere, che ho sempre desiderato fare.
Vincenza Caserta