di Daniele Valersi
Sarà Markus Stenz a salire, per la prima volta, sul podio dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento martedì 5 marzo a Bolzano (ore 20) e mercoledì 6 a Trento (ore 20.30), nei rispettivi Auditorium, nell’ambito della Stagione Sinfonica della Fondazione Haydn, della quale Direttore Artistico Giorgio Battistelli. Il maestro tedesco dirigerà il Concerto per violino op. 35a di Ferruccio Busoni - solista la violinista Francesca Dego - e la Sinfonia n. 2 op. 61 di Robert Schumann. Entrambi i concerti sono introdotti da un’esibizione del flautista Prashantam, specialista del flauto zen, protagonista dell’ultima delle tre “Ouverture Barbare” inserite in Stagione per avvicinare il pubblico a musiche del mondo portatrici di un messaggio di spiritualità.
Di Francesca Dego è anche uscito da pochi giorni, venerdì primo marzo, un nuovo disco Chandos, il suo sesto per l’etichetta discografica londinese, dedicato a Johannes Brahms e a Ferruccio Busoni, scomparso cent’anni fa,. Accanto alla violinista è protagonista la finlandese di origini ucraine Dalia Stasevska, sul podio della BBC Symphony Orchestra di cui è la Direttrice ospite principale. Per la prima volta i due concerti per violino dei due grandi compositori vengono incisi da due donne e gli appuntamenti con la Haydn saranno i primi in Italia di una serie legata proprio al programma del CD e la vedranno esibirsi all'ottavo mese di gravidanza. A novembre di quest’anno è prevista l’uscita per l’etichetta discografica londinese anche delle Sonate per violino di Busoni, incise dalla violinista italo-americana con la pianista Francesca Leonardi, con la quale ha costruito un sodalizio ventennale.
Alla vigilia del debutto dell'abbinata Brahms Busoni a Bolzano, ci ha rilasciato questa intervista.
Nel suo disco appena pubblicato ha inciso il Concerto di Brahms e quello di Busoni, quest’ultimo in programma per la stagione dell’Orchestra Haydn: vi sono attinenze tra le due partiture?
Domanda facile, ve ne sono tantissime. Busoni si rifà ai grandi capolavori, l’ispirazione si sente e studiandolo scoprivo continuamente nuove cose; non è che abbia voluto emulare Brahms, è piuttosto un omaggio. All’inizio la lunga cadenza, poi il trillo e l’esposizione del tema sono analoghi a Brahms, anche se il Concerto di Busoni è diverso come struttura: con i suoi 23 minuti dura poco più della metà di quello di Brahms, è più simile a quello di Mendelssohn. Busoni incontrò Brahms, che assistette al suo debutto (all’età di 8 anni) e che fu per lui un mentore a distanza, anche se il loro rapporto fu tormentato. Brahms fu sempre fonte di ispirazione per Busoni, che suonò al suo funerale e compose una cadenza per il Concerto per violino, quella che ho scelto per il disco. Busoni era un grande pianista virtuoso, il suo concerto è molto scomodo per il violino, di grande difficoltà tecnica, anche se non si tratta del Busoni retorico, ma di quello leggero, virtuosistico. Il Concerto è dedicato a Henri Petri, allievo di Joachim che era legato profondamente con Brahms: le attinenze tra i due sono molte. Io me ne sono innamorata, l’incisione non ha uno scopo archivistico, tanto per eseguire una pagina di raro ascolto, ma per farlo conoscere al pubblico.
Si tratta di una vera riscoperta di Busoni, visto che uscirà anche il disco con le Sonate per violino e pianoforte: a parte la ricorrenza, che cosa l’ha spinta in direzione di questo progetto?
Principalmente la Seconda Sonata, che lui stesso definì il suo capolavoro e che lo è veramente. A differenza del Concerto, di cui si conta appena una manciata di incisioni, è molto più eseguita e conosciuta, nonché soggetto di molte, bellissime incisioni. È un Busoni diverso da quello del Concerto e anche da quello della Prima Sonata: qui va a fondo nella ricerca e consegue il suo linguaggio più maturo. Per me è stato naturale finire con l’incisione di tutta la sua musica violinistica; il disco uscirà a novembre e comprende anche le Bagatelle, una dolcissima chicca. Il 2024 è l’anno pucciniano e c’è il rischio che l’anniversario di Busoni ne venga offuscato, è per questo motivo che, con il direttore artistico, abbiamo scelto queste date per i concerti, a ridosso dell’uscita del disco; Giorgio Battistelli mi ha chiesto di riservare all’Orchestra Haydn la mia prima esecuzione italiana del Concerto, che suonerò con altre orchestre in diverse occasioni. Una “prima” a Bolzano e Trento ha senso anche per il rapporto della regione con Busoni, al quale è intitolato un concorso di primaria importanza mondiale, oltre che per lo spirito della regione, che pare riflettere la doppia anima di Busoni, un brillante estro di matrice italiana con solide radici germaniche. Credo che come compositore abbia anche sofferto per questa dicotomia.
Lei ha già suonato con l’Orchestra Haydn: ci ritornerebbe anche una terza volta, magari per suonare il Concerto di Brahms?
È stato nel 2008 con il Concerto di Mendelssohn, un’esperienza bellissima. Vi tornerei molto volentieri.
Parliamo ora di violini: lei ha pubblicato un disco suonando il Cannone, lo strumento appartenuto a Paganini e suona regolarmente un Francesco Ruggeri del 1697: ci illustra le personalità di questi due strumenti?
Ho suonato diversi strumenti antichi, tra questi il Guarneri del Gesù appartenuto a Ruggero Ricci, ho questo privilegio. Incontrare un violino è incontrare un grande collega, sono strumenti che richiedono grande esperienza nel manovrarli, che vanno capiti, ascoltati, che hanno bisogno di un certo tipo di cavata. Il legno del violino assorbe le vibrazioni di chi l’ha suonato e porta con sé questo retaggio; suonando un violino si può capire se è stato adoperato come si deve oppure torturato. Suonare il “Cannone”, appartenuto per quarant'anni a Paganini, è stato liberare il suo spirito, che è impresso in ogni fibra. Lo strumento è stato restaurato, ma non rimesso a nuovo, si tratta di un restauro volto a mantenerne la personalità; è stato incredibile trovarsi a suonare lo strumento che conserva i segni dell’uso, i graffi impressi dalla mano di Paganini. Paganini aveva molti strumenti, molti Stradivari che collezionava e spesso rivendeva; fu lui a chiamarlo “il mio cannone”, per la potenza e la pienezza del suono: sarebbe uno strumento grande anche a prescindere dall’appartenenza. I violini sono meglio conservati se suonati regolarmente, ma non sono eterni; vi è la diatriba tra liutai e violinisti sul lascito, sul quanto e come debbano essere suonati. Attualmente il Cannone viene suonato per non più di cinque minuti dal vincitore del Concorso “Paganini”, io sono stata davvero fortunata ad averlo avuto a disposizione. Il Ruggeri mi ricorda un bellissimo Guarneri che ho suonato; mi ritengo onorata di averlo, è come incontrare l’anima gemella: sono io la sua violinista, non lui il mio violino, io sono solo di passaggio. È distante dal Cannone anche cronologicamente, li separa una cinquantina d’anni. È uno strumento lunatico, spesso imprevedibile, che reagisce ai cambiamenti di clima, di umidità, di ambiente. Spesso ci arrabbiamo l’uno con l’altra. È un rapporto che dura da dieci anni e la conoscenza approfondita di uno strumento così lunatico è un grande valore aggiunto.
Facendo riferimento al suo libro Fra le note. Classica: 24 chiavi di lettura, come può essere meglio diffusa e capita la musica classica, al giorno d’oggi?
La classica dovrebbe fare parte dell’educazione di una persona, ma questo aspetto manca, almeno in Italia. Io vivo a Londra e nel Regno Unito, ma anche in Germania, la musica classica viene studiata a scuola. Non tutti diventano dei musicisti, ovviamente, ma, una volta finita la scuola, se si vede una locandina con i nomi di Brahms, Čajkovskij o Debussy si sa con certezza di cosa si tratti. Invece l’educazione musicale è del tutto fortuita, dovuta alla buona volontà di qualche insegnante coscienzioso e appassionato oppure a dei genitori musicofili, altrimenti non c’è niente. Se la massa vuole altri generi musicali, è anche vero che nel mondo sono sempre più numerosi i giovani che seguono anche la classica, di pari passo con gli appassionati. Il libro ha un taglio volutamente divulgativo, con una parte che riguarda il mio personale percorso, una bellissima avventura. Il mio papà, scrittore e giornalista, mi ha trasmesso l’amore per la lettura e la scrittura; quando studio un autore leggo anche opere letterarie del suo periodo, per me è importante andare a fondo sul rapporto con il contesto storico e culturale, non occuparmi solo delle note: scoprire le arti e gli artisti dell’epoca è vitale. Gli stessi musicisti del passato vivevano in un mondo dove le arti erano collegate tra loro, per cui non si può prescindere da Tolstoij nel trattare Čajkovskij.