di Roberta Pedrotti
Mentre fervono i preparatavi per il Rossini Opera Festival 2016, il primo che lo vedrà ufficialmente in carica come direttore artistico, Ernesto Palacio - alla luce dell'esperienza maturata come raffinato interprete prima, abile scopritore di talenti poi - ci racconta il suo impegno al servizio della gloriosa istituzione pesarese, i suoi progetti, le linee guida nella scelta degli artisti, ma anche le contingenze legate agli spazi, al budget, alla programmazione.
Fra un mese si aprirà il XXXVII Rossini Opera Festival, il primo che la vedrà in carica a Ernesto Palacio come direttore artistico, successore di Alberto Zedda. Già si parla di un'edizione da record, con un'altissima richiesta di prenotazioni fin dai primi minuti di prevendita. Una bella soddisfazione!
Sì, c'è una grandissima richiesta, alcuni spettacoli sono esauriti, ma chi volesse fare un tentativo non deve disperare, perché qualche possibilità c'è ancora.
Questa è la mia prima stagione in carica come direttore artistico, ma molte situazioni erano già stati stabilite in precedenza da Alberto Zedda. Logicamente non tutto era già deciso: mancavano alcuni dettagli, altri erano in via di conferma o ancora da definire, ci siamo consultati, ma mi sono trovato d'accordo con le soluzioni del mio predecessore, che del resto già apprezzavo quando mi confrontavo con lui in qualità di agente. Il mio contributo è consistito nell'inserimento del gala Flórez 20 in ricordo del debutto di Juan Diego a Pesaro vent'anni fa, ma che io vedo come celebrazione dello stesso Rof, che ha avuto il coraggio di scommettere su un giovane e di lanciarlo in una carriera che dura da due decenni ai massimi livelli. Un omaggio al Rof come fucina di talenti, dunque, perché Flórez non è certo l'unico grande artista nato a Pesaro. Inoltre il concerto Rossinimania di quest'anno è una mia idea: si tratta di una sorta di gara fra pezzi rossiniani e altri accostabili per titolo, testo o caratteristiche musicali e composti da cantanti dell'epoca di Rossini. Logicamente sappiamo bene chi sarà il vincitore, ma penso che l'ascolto sarà davvero interessante, anche perché molti di questi pezzi sono assolutamente inediti e per di più affidati a giovani usciti dall'Accademia Rossiniana con Carmen Santoro al pianoforte: credo che sarà una bella cosa.
C'erano, inoltre, ancora dei ruoli da assegnare e ho potuto, così, portare Erwin Schrott come Selim nel Turco in Italia o Antonino Siragusa e Pretty Yende in Ciro in Babilonia, così come tanti altri artisti per i ruoli più piccoli.
Talora – e naturalmente io non sono affatto d'accordo – si sente parlare del progetto del Rof come di un'esperienza a termine, delimitata dalla ripresa di tutti i titoli dimenticati o in attesa di edizione critica del catalogo rossiniano. Cosa risponde a questo tipo di affermazioni?
Si tratta di affermazioni molto superficiali. Penso si possa definire un vantaggio vero e proprio il fatto che il Rossini Opera Festival ha una caratteristica particolare, forse unica al mondo: la collaborazione con una Fondazione – in questo caso la Fondazione Rossini – che si occupa di studiare e recuperare le partiture. Non siamo noi a occuparci di questo aspetto, ma la Fondazione che, per esempio – lo dico in anteprima – ci permetterà per il prossimo anno di programmare Le siège de Corinthe in un'edizione critica diversa dal testo che venne messo in scena nel 2000 [annunciato allora come “Revisione della fonte Troupenas, preparatoria alla edizione critica” ndr.]. Tutto questo lavoro fa si che tutto quel che si rappresenta abbia un sostegno filologico molto specifico, ma il festival resta un festival dove si propongono e ripropongono opere. Altrimenti dovremmo dire che, poiché tutte le opere di Puccini sono state eseguite, non ha senso che esista il Festival di Torre del Lago, e come questo tanti altri. Il nostro scopo non era far ascoltare tutto una volta e poi chiudere i battenti; il festival continuerà a esistere, come esiste, per esempio, sempre il Festival di Bayreuth, con titoli che ricorrono ma scegliendo i cantanti, i direttori, i registi, gli artisti dei nostri tempi perché di volta in volta sia il loro contributo a fare la differenza, a rendere particolare un allestimento.
Altrimenti, una volta che si fa La traviata è inutile rivederla e risentirla… e invece non è assolutamente così, la mia idea è diversa! Mi costa dirlo, ma ho la sensazione che molti invidino il successo del Rossini Opera Festival e avanzino altre proposte e obiezioni: io ho già risposto in diverse occasioni che quando a Bayreuth si farà un'opera di Verdi forse anche noi potremmo pensare a fare qualche altra cosa! Voglio dire, si perderebbe l'identità che caratterizza il Rof, quando per la qualità e la quantità delle opere di Rossini val la pena di continuare su questa strada, anzi: in questo momento mi sto occupando delle prossime programmazioni e mi piacerebbe fare di più, anche cinque titoli d'opera in un anno e altre cose ancora… Certo, c'è da rispettare un budget, non tutto è possibile: vorrei riprendere il Tell, La gazzetta e tante altre cose, tante opere e tanti successi che meriterebbero di tornare presto in scena, ma sono consapevole che si debba ragionare concretamente.
Il Rof si avvicina ai quarant'anni di vita. Un primo decennio di fermento, riscoperte, miti del belcanto, dagli anni Novanta il debutto di molte stelle delle nuove generazioni e il consolidarsi del meccanismo formativo dell'Accademia, ma anche una sempre maggiore attenzione teatrale, con i grandi spettacoli di Vick e il debutto di Michieletto, per esempio. Quale sarà il segno del suo impegno per il Festival?
Il Rof ha conosciuto dei momenti gloriosi lungo tutta la sua storia, anni Ottanta, Novanta, Duemila… Penso che la linea da seguire sia quella dei grandi spettacoli, per cui vorrei puntare su registi validi provando anche altri nomi, cercando un respiro internazionale. Ben vengano Michieletto e Martone, o Vick, che italiano non è ma a Pesaro è di casa, ma anche invitare altri nomi in voga; devo dire, tuttavia, che in questa ricerca si incontrano le maggiori difficoltà, perché avrei contattato un'infinità di registi importanti, che però sono liberi dal 2021 in poi o dal 2022 in poi, oppure con i quali è difficile prendere accordi. Senza fare il nome, posso citare un importante regista che sarebbe venuto volentieri a Pesaro, senonché pretendeva che artisti e coro cantassero in voce a tutte le prove di regia e poi voleva anche scegliere lui il cast: ma allora a cosa serve il direttore artistico, anche senza considerare che la compagnia era già stata scelta? Insomma davanti a certe difficoltà bisogna fare a meno di questa persona, mentre altri invece verranno e ne sono contento.
Questo per quanto concerne l'aspetto visivo dello spettacolo. Quanto all'ascolto, vorrei assolutamente privilegiare le stelle di oggi, sempre nei limiti del possibile. Anche qui senza fare il nome, potrei fare l'esempio di un artista che ho contattato per invitarlo al Rof ma mi ha risposto che d'estate preferisce riposare, che non ama lavorare con il caldo ecc. E allora, pazienza! Un altro è il caso di un'artista impegnatissima durante il periodo del festival, per cui forse si riuscirà a organizzare una partecipazione a un concerto, per quanto mi sarebbe piaciuto tanto avesse potuto fare anche un'opera. Insomma non tutto quello che si vuole si riesce a ottenere, però non rinuncio a cercare di coinvolgere il più possibile le voci importanti di oggi, guardando comunque sempre con molta attenzione anche a quello che viene dall'Accademia Rossiniana. Basta guardare il programma di quest'anno per trovare tanti artisti che provengono proprio dall'Accademia, no? Abbiamo dato una grossa responsabilità alla protagonista della Donna del lago, Salomé Jicia, allieva dello scorso anno, e abbiamo inserito anche tanti altri, come Cecilia Molinari, Ruth Iniesta. Isabel Gaudì, Matteo Macchioni o lo stesso Marko Mimica, che già l'anno scorso ha avuto un ruolo importante dopo essere uscito dall'Accademia. Ecco, per quanto riguarda le voci voglio guardare ai grandi artisti affermati e ai giovani di valore, perché non basta frequentare l'Accademia per avere automaticamente un ruolo qui da noi: occorre che un cantante già abbia dimostrato le sue qualità per poterlo presentare nel festival. Questa è una linea generale applicabile anche per i direttori: logicamente reinvitare quelli molto validi già noti, ma chiamare pure volti nuovi, magari provandoli prima nei concerti. Insomma, siamo aperti alle novitài e vogliamo riconfermare chi ha già firmato dei successi qui da noi.
Tenore fra i protagonisti della Belcanto-Renaissance, Talent Scout e agente, direttore artistico del Festival Alejandro Granda a Lima e ora del Rof. Ha vissuto il mondo dell'opera da diverse prospettive, attraverso diverse esperienze: questo come influisce sulla sua attività?
È una storia lunga e tutto è avvenuto per una serie di occasioni, senza che io in realtà abbia mai bussato nessuna porta per ottenere qualcosa. Ora credo, in un certo senso, di aver chiuso il cerchio. Prima, come cantante, posso dire di aver fatto una discreta carriera di ventisei anni; poi sono stato rappresentante di artisti per diciotto anni, sono entrato in una categoria che da interprete avevo, per così dire “odiato”, che avevo considerato un male necessario e che ho cercato di affrontare in un'altra maniera, tant'è vero che tutti gli artisti che ho seguito in questi anni li ho incontrati come illustri sconosciuti. È successo così con Juan Diego Flórez, con Ildar Abdrazakov, con Riccardo Frizza, con Michele Mariotti o con Daniela Barcellona, che un anno dopo l'inizio del nostro lavoro insieme ha avuto il suo grande exploit qui a Pesaro ed è diventata quello che è. L'unico caso in cui ho preso un'artista già affermata è stata Elīna Garanča, ma per il resto ho sempre collaborato con esordienti, se non addirittura studenti di conservatorio, per cui credo di poter dire di aver avuto un buon orecchio per scoprire i talenti.
Oggi mi ritrovo a fare il direttore artistico e penso di poter unire tutte queste esperienze - insieme a quella fatta a Lima – in un bagaglio di informazioni e competenze che spero potranno rendermi all'altezza di fare ciò di cui il Rof ha bisogno.
A proposito di Lima, anche lì, con l'Atahualpa di Pasta, ha avuto modo di lavorare con rarità e riscoperte.
In quel caso è stato necessario un impegno speciale perché non esisteva la partitura e abbiamo dovuto far orchestrare uno spartito per canto e piano [leggi la recensione del CD. e l'intervista a Matteo Angeloni sull'orchestrazione]. C'era curiosità anche per il soggetto che riguarda la storia peruviana e alla fine è venuto un buon lavoro che meriterebbe di essere riproposto in scena, ma bisognerebbe seguire una coproduzione con i paesi latinoamericani e al momento sono già abbastanza impegnato, ma chi lo sa, magari in futuro…
Oltre al citato Siège de Corinthe c'è qualche altro progetto futuro che ci può raccontare o è ancora tutto top secret?
No, non c'è nulla di top secret nel mio modo di fare, caso mai solo prudenza nel dire le cose perché sappiamo che queste possono per diversi motivi cambiare e non vorrei che il ROF dia una impressione di dilettantismo cambiando le programmazioni annunciate! Al momento aspettiamo sapere se potremo contare con il nuovo Palafestival, sembra che vada tutto bene, ma se non sarà così ci sarà comunque sempre la possibilità dell'Adriatic Arena. Diciamo che dobbiamo essere pronti a tutte le evenienze, che abbiamo dei titoli che potrebbero cambiare a seconda delle circostanze per cui non voglio dare troppe anticipazioni. Una cosa certa è che Le siège si farà nel 2017 e probabilmente riprenderemo Torvaldo e Dorliska, logicamente con un altro cast come si usa a Pesaro tranne in casi particolari in cui il titolo sia legato in modo speciale a un cantante. È successo, per esempio, con la Matilde di Shabran, oppure con Sigismondo, che non vorrei rifare senza Daniela Barcellona, o, ancora con Ciro in Babilonia, la cui riproposta è legata alla disponibilità di Ewa Podles. Il terzo titolo del '17 dovrebbe essere un riadattamento della Pietra del paragone di Pizzi, che secondo me è stato uno spettacolo meraviglioso e che varrebbe la pena di ripresentare dopo quindici anni. Queste, però, non sono informazioni ufficiali, sono le idee che abbiamo e su cui dobbiamo lavorare in base alle disponibilità dei teatri e degli artisti per la prossima estate.
Quella Pietra del paragone è difficile da immaginare fuori dagli ampi spazi del Palafestival dove nacque...
Al Teatro Rossini sarebbe impossibile, dovrebbe assolutamente essere al Palafestival o all'Adriatic Arena, ma bisogna anche vedere se si riesce a montarla in contemporanea con Le siège, la cui regia sarà affidata alla Fura dels Baus: quest'estate durante il Festival verranno tutti a vedere gli spazi dove lavoreranno e se alla fine si riuscirà a combinare tutto saremo felici.
Anche noi, sicuramente.