di Roberta Pedrotti
Leggi la recensione della prima di Le siège de Corinthe
L'evento musicale di questo XXXVIII Rossini Opera Festival è stato, senz'altro, la prima esecuzione di Le siège de Corinthe in edizione critica, con la scoperta di musica inedita che mai era stata eseguita prima d'ora. Il curatore dell'edizione, Damien Colas, ha illustrato le caratteristiche dell'opera in una ricca conferenza introduttiva, nella quale, alla luce dei suoi studi intorno alla genesi del Siège, si sono potute approfondire le fonti drammaturgiche e ideologiche e del libretto di Maometto II e di tutti gli adattamenti, ma soprattutto dei nuovi elementi, per la prima opera a tutti gli effetti francese di Rossini. Alla storiografia più o meno fantasiosa e alla letteratura ispirata dalla figura di Mehmet II (1421-1481), si sono affiancate le cronache della rivolta greca contro la dominazione turca negli anni '20 del XIX secolo, con il vivo coinvolgimento destato nelle arti, nella poesia, nel teatro. Parimenti, il rapporto di Le siège de Corinthe con l'attualità ne accrebbe il valore simbolico, tanto che l'opera influenzò profondamente il teatro musicale a venire (non ultima la caduta di Troia messa in musica da Berlioz) e fu scelta per essere rappresentata a Parigi durante l'assedio del 1870.
Abbiamo chiesto al prof. Colas di approfondire per i nostri lettori alcuni aspetti del suo lavoro e, con grande cortesia e disponibilità, ha risposto ad alcune domande su Le siège de Corinthe.
L'edizione critica di Le siège de Corinthe è attesa da anni: basti pensare che nel 2000 il ROF presentò l'opera nella revisione “preparatoria dell'edizione critica”. Ci può illustrare brevemente il panorama delle fonti, il loro rapporto con il sistema teatrale ed editoriale parigino e le difficoltà incontrate nella stesura di questa edizione?
Questa nuova edizione è un progetto completamente nuovo, lanciato nel 2014, realizzato tra il 2015 e il 2016, e non ha niente a che vedere con la precedente produzione del Siège de Corinthe, che era basata su una semplice revisione dell’edizione a stampa Troupenas. Per la nuova edizione critica, ho basato il mio lavoro sull’integralità del materiale esecutivo dell’Opéra di Parigi, nel quale ho dovuto rintracciare, sotto l’aspetto definitivo che corrisponde alla versione accorciata del 1835, gli strati più antichi, nascosti dietro cuciture e collettes [parti coperte con applicazioni di altri fogli, ndr]. Sono così riuscito ad aprire tagli fatti molto presto, e riproporre un testo dell’opera in accordo con il libretto della prima esecuzione, pubblicato da Roullet nel 1826.
I punti più controversi, nel 2000, sembravano essere la presenza o meno del cantabile nella cavatina di Mahomet, la posizione del coro “L'Hymen lui donne” e un galop nei ballabili del secondo atto (e, per esempio, già nell'incisione al festival di Wildbad si opta per soluzioni diverse dalla prima produzione pesarese). Come sono state risolte queste questioni? Quali altri problemi critici si sono posti?
Su questi tre punti, le particelle e il libretto di Roullet concordano. Il cantabile di Mahomet, derivato da Maometto II, è stato rimpiazzato da un recitativo iniziale, perché Dérivis, primo interprete del ruolo, non poteva cantare nello stile italiano. Invece quando subentrò Dabadie, il recitativo fu a sua volta abbandonato per reintegrare il cantabile originale. La ballata di Ismène fa parte del divertissement, e si trova dunque, non all’inizio dell’atto II, bensì prima dei ballabili e della preghiera musulmana. Infine, ci furono cinque ballabili previsti da Rossini, i primi due sono stati tolti dieci giorni della prima, e nemmeno orchestrati. Questi primi due ballabili saranno pubblicati in appendice.
È corretto dire che, per certi versi, il Maometto II veneziano funge da trait d'union fra la prima stesura napoletana e Le siège? La comparazione fra queste tre opere cosa può dirci sul metodo compositivo e sulla creazione della drammaturgia musicale rossiniana?
No. Si è sempre saputo che, in mezzo all’atto II esiste una specie di frontiera invisibile tra una prima parte, che corrisponde a un semplice rifacimento del Maometto II napoletano, e un’opera completamente nuova, che integra echi dell’attualità politica in Grecia. Preparando l’edizione, mi sono reso che c’era una ragione cronologica in tale cambiamento di percorso. Il rifacimento è stato preparato in fretta, nell’autunno 1825, poi abbandonato nei primi mesi di 1826, per ragioni poco chiare. Troppe erano, ovviamente, le difficoltà (traduzione in francese, derivazione dei pezzi di Calbo, mezzosoprano en travesti che non faceva parte della tradizione francese). Quando il progetto fu ripreso, verso aprile 1826, Rossini e i suoi collaboratori ebbero più tempo per finire il lavoro, e decisero di integrare nell’opera due episodi della Guerra d’indipendenza greca. In primo luogo l’allocuzione del vescovo Germanicos di Patras, considerato come inizio simbolico della rivolta, nel 1821, e in secondo luogo l’« affare delle mine », che scandalizzò l’opinione pubblica. Come gli ultimi abitanti di Missolungi, i greci superstiti nella cittadella di Corinto si suicidano collettivamente alla fine dell’opera.
Sappiamo che le edizioni discografiche “storiche” dell'opera in traduzione italiana (quelle con protagoniste Tebaldi o Sills) sono ricche di arbitri, interpolazioni, tagli, sostituzioni. Anche nel XIX secolo l'opera circolò oggetto di manomissioni simili?
Sì. Era una pratica comune all’epoca. Philip Gossett, nel suo libro Divas and scholars, ha parlato a lungo della produzione di Thomas Schippers a New York, descrivendo l’improbabile versione che fu proposta, un misto del Siège, della traduzione italiana L’assedio e del Maometto II. Il terzo atto, in particolare, a poco a che fare con l’opera originale. Ma si faceva così nell’Ottocento, spesso per seguire i desideri dei cantanti, e Gossett descrive pure, in altre sezioni del suo libro, come La cenerentola fu completamente rovinata a Parigi con tali pratiche.
A Pesaro nel 2017 si è ascoltata della musica inedita. Ce ne può parlare? Pensa che potrà entrare nella prassi esecutiva di quest'opera – a tutt'oggi rarissima nelle programmazioni – anche fuori dal contesto di un festival specialistico?
Ci sono più di 470 battute inedite nella nuova edizione critica. Si tratta, per lo più, di passi derivati dal Maometto II, che Rossini aveva pensato, in un primo tempo, di tenere intatti, e che furono tagliati molto presto, perché sono già assenti nell'edizione Troupenas. Temevo un po’ che l’opera diventasse troppo lunga con la riapertura di tanti tagli. Invece funziona bene, anzi meglio, perché le strutture musicali ritrovano la loro logica, la loro architettura interna, e l’ascoltatore può seguire meglio le intenzioni musicale e drammaturgiche del compositore. Un esempio: nel terzetto del matrimonio, all’atto III, «Céleste providence», mancava la strofa iniziale di Néoclès. Con la reintegrazione di tale strofa, il terzetto è completo, si tratta di una struttura a canone di grande effetto perché ogni ripresa si fa oggetto di variazioni. Con un tempo «andante assai», non troppo lento, diventa fluida: la musica è incantevole, ma non indugia e va sempre avanti. Tra le altri grandi differenze, c’è naturalmente la preghiera di Pamyra, all’atto III, «Juste ciel», con un pertichini di Ismène. L’aria è in realtà un duettino con coro. E il finale III è completamente nuovo, con le parti corali che ho potuto recuperare nel materiale esecutivo. Mentre Pamyra dice che tutti i suoi compatrioti sono morti per difendere le donne, si sentono voci greche, in lontananza, cantare «Ô patrie!». Si tratta della realizzazione della profezia di Hiéros. Anche se tutti i greci muoiono durante l’assedio, un giorno a venire la Grecia resusciterà. Ed è a questa resurrezione futura, ultimo momento della profezia, che si assiste in scena.
Si è confrontato con gli interpreti, direttore, regista e cantanti, durante la preparazione di questo Siège?
Non ho avuto alcun contatto con l’équipe della regia. Ho proposto al maestro Abbado di lavorare con lui durante la produzione, ma non è stato possibile. Ho la più grande ammirazione per il suo lavoro: è grazie a lui che ho scoperto la sottigliezza e la raffinatezza di passi orchestrali di Rossini che, in precedenza, non avevano colpito la mia attenzione. Per esempio il preludio orchestrale alla cavatina di Tancredi. Ho scoperto la produzione la sera della generale, e sono rimasto bocca aperta davanti al lavoro dell’orchestra condotta da Abbado. L’opulenza del suono, la scelta dei tempi, lo splendore degli assolo, in particolare durante i ballabili, la fluidità dei numeri. Sarebbe un sogno per me lavorare con Abbado un giorno. Magari in futuro…