di Roberta Pedrotti
Dopo la nomina a direttore musicale dello Sferisterio di Macerata abbiamo chiesto a Francesco Lanzillotta qualche considerazione generale sul lavoro del musicista oggi e in particolare sui suoi progetti nel nuovo incarico.
Francesco Lanzillotta, da qualche anno alla ribalta come una delle bacchette più interessanti dell’ultima generazione. Ma la tua carriera ha radici più profonde: ci puoi parlare un po’ della tua gavetta come direttore e della tua formazione e attività come compositore?
Posso dire di aver fatto la gavetta, vera, dura. Quella in cui ti ritrovi in teatri sul Mar Nero a dirigere Tosca senza neanche una prova, con cantanti che non hai mai visto e un’orchestra che fino a due ore prima stava provando un programma sinfonico per il giorno successivo. Sono esperienze che ti formano e ti insegnano a risolvere problemi musicali nel momento in cui li stai affrontando.
La mia attività come compositore, mia passione primaria, è sempre stata poliedrica; da una parte il genere cosiddetto "contemporaneo", dall’altra la musica leggera, colonne sonore, musiche per balletti, musical e canzoni. È un’esigenza a cui non posso rinunciare. La composizione è un bisogno interiore, un’energia che ti esplode dentro se non la fai sfogare. Sono un onnivoro, sento il bisogno di fare musica a 360 gradi, di suonare, dirigere, comporre, di occuparmi di ogni genere: sinfonico, lirica, pop, rock, etc...
Diverse persone mi dicono che non devo fare troppe cose. Io rispondo che, con tutto il rispetto, so quanto e cosa devo fare, perché conosco ciò di cui ho bisogno. Siamo in un'epoca storica in cui si sente lanecessità di etichettare le persone per catalogarle e non correre il rischio, così, di non comprenderle. Un’epoca in cui bisogna “specializzarsi”; chi ha deciso che la specializzazione è positiva? Specializzarsi, in musica, vuol dire spesso aderire a una ideologia musicale, nulla di più orrendo e coercitivo. Ognuno deve essere libero di andare dove la propria anima lo porta. Quando mi chiedono quale periodo storico preferisco dirigere rispondo che bisogna parlare di compositori non di epoche. Se uno ama Donizetti deve per forza amare Bellini? E se uno dirige bene Feldman perché non può essere altrettanto bravo con Verdi? Sarebbe opportuno capire invece che dirigere Haydn aiuta a dirigere Stravinskij.
Hai appena concluso la tua esperienza come direttore principale della Filarmonica Toscanini, ora ti appresti a ricoprire il ruolo di direttore musicale per un festival estivo che si svolge in un grande spazio aperto, là dove proprio secondo Toscanini, “si dovrebbe giocare solo a bocce”. Quali sono i tratti di continuità e le distanze fra queste due esperienze? Come vedi la specificità dello Sferisterio e in quali direzioni intendete lavorare con la direzione artistica e la sovrintendenza?
Sono due esperienze molto diverse; il ruolo di Direttore Principale di un’istituzione sinfonica ti permette di lavorare con l’orchestra durante i programmi che scegli personalmente, ma non puoi gestire e organizzare l’attività della stessa che invece compete alla direzione artistica.
La carica di direttore musicale, invece, mi permettere di avere la possibilità di scegliere titoli, cantanti, direttori e registi, in accordo, naturalmente, con Luciano Messi e Barbara Minghetti con i quali ho un rapporto speciale, veramente speciale. Tengo a dire che queste non sono frasi “istituzionali”: si è creato un gruppo di lavoro incredibilmente coeso. Lo Sferisterio ha un’identità ben definita a cui il grande lavoro di Francesco Micheli ha dato enorme risalto. La magia del luogo ti rapisce, avvolge chi ci lavora, sotto la pelle senti questa energia che scorre attraverso il colonnato, fra le sedie della platea, nella buca d’orchestra, su quel meraviglioso palco. La bellezza del luogo ti influenza e ti rende più felice: ecco che il lavoro trae tutti i benefici di questo stato di grazia.
La direzione è quella di un gruppo di lavoro in cui ogni decisione viene discussa per arrivare alla miglior soluzione possibile; la divisione dei nostri compiti è molto chiara, ognuno porta la propria esperienza e le proprie capacità per creare un gruppo decisionale il più completo possibile.
Oltretutto questa nomina arriva nel momento più incredibile della mia vita, la nascita di mia figlia ci ha regalato solo un mondo pieno di colori sgargianti e bellissimi.
Lo scorso anno hai debuttato con grande successo al Rossini Opera Festival. Quale può essere il rapporto fra le due grandi istituzioni che polarizzano l’attività musicale marchigiana in estate? La tua presenza a Macerata può essere un ostacolo o un vantaggio per un tuo eventuale ritorno a Pesaro?
Prima di tutto dobbiamo pensare a quanto sia incredibile che in una regione esistano due Festival così importanti. Le Marche sono uniche da questo punto di vista: c’è sete di cultura, di musica, voglia di guardare avanti, innovare, c’è coraggio e passione. La gente ti ferma per strada per parlare della recita della sera prima, c’è sempre un bicchiere di vino da condividere. Insomma, ci si dà del tu. È evidenteche due Festival così importanti in due città così vicine potrebbero far pensare a rivalità e lotte intestine; chiedete a chiunque e vedrete che, non solo non esiste nulla di tutto ciò, ma, anzi, c’è rispetto e stima reciproca.
Non posso negare che Pesaro sia stata un’esperienza esaltante, avevo la percezione di trovarmi nel posto giusto al momento giusto. L’opera in questione [Torvaldo e Dorliska, ndr] era decisamente complessa: indovinare la cifra stilistica ha richiesto a tutti un lavoro molto profondo. Ho sempre avuto, tuttavia, la sensazione che sarebbe andata bene perché avevo molto chiara la strada da percorrere. È stata un'esperienza bellissima... e spero con tutto il cuore di poter tornare in futuro!
Vedi possibile un rinnovamento del repertorio in uno spazio come quello dello Sferisterio? Quale pensi sia il futuro per contesti come questo e l’Arena di Verona nel panorama artistico attuale?
Dipende cosa significa rinnovamento. Chi è chiamato a gestire la programmazione artistica deve tener conto del posto in cui si trova; l’intelligenza sta anche nel capire l’identità di un luogo per cercare di migliorarele caratteristiche di quest'ultimo. Bisogna individuare potenzialità dormienti e risvegliarle attraverso idee e fantasia. Io ho ben chiara quale debba essere la strada nella programmazione e ne parliamo costantemente con Luciano e Barbara. Ovvio che bisognerà poi confrontarsi anche con un consiglio di amministrazione che più che mai è attento, per ovvi motivi, a tutto ciò che concerne l’aspetto economico.
Per parlare dell’Arena di Verona dovrei conoscere nel dettaglio la situazione.
Detto questo ogni Festival ha una sua identità e storia, difficile fare un discorso generale.
Oltre a essere compositore in prima persona, sei un appassionato interprete del repertorio meno frequentato del XX secolo. Come vedi la situazione per la musica del '900 e del 2000? Il Lauro Rossi, per esempio, è già un teatro votato proprio a rarità e prime assolute: hai progetti o auspici particolari in questo senso?
Sinceramente? La situazione italiana per ciò che riguarda il repertorio del secolo scorso è sconfortante. Nell'ambito del genere "contemporaneo" siamo indietro anni luce rispetto al mondo musicale d'oltralpe. Sai cosa disse Martucci ai genitori di Casella? Più o meno “Mandatelo a studiare in Francia, qui siamo troppo indietro”. Erano i primi del ‘900... la situazione non è cambiata, anzi! Il ‘900 è stato il secolo in cui tutte le barriere (non solo musicali, ben inteso) sono state disgregate; ognuno era libero di inventare la propria estetica, il proprio personale linguaggio. Così sono nati Stravinskij, Ravel, Bartók, Šostakovič, Britten, Schönberg, per non parlare di tutte le generazioni di compositori italiani; quante volte riusciamo ad ascoltare la produzione dodecafonica di Stravinskij? Tanz Suite di Bartók? Un sopravvissuto di Varsavia di Schönberg? Quante volte avete avuto la possibilità di ascoltare la musica di Martucci, Sgambati, Salviucci, Petrassi etc.? Non parliamo del repertorio lirico! Abbiamo avuto i più grandi operisti della storia, e improvvisamente un morbo nel secolo scorso ha colpito tutti i compositori italiani privandoli della capacità di comporre opere? Il discorso è veramente lungo e dovremmo ripercorrere la storia del ‘900 per capire i motivi di programmazioni così statiche. Vogliamo dire che il ragionamento che porta a non rischiare, usando l’alibi del pubblico come barriera dietro la quale nascondersi, è assolutamente esiziale? Il nostro mestiere ha però un’etica:non si può costruire una professione come questa pensando solo all’aspetto carrieristico. Noi abbiamo il dovere di sostenere i compositori di oggi.
Abbiamo il dovere di far conoscere al pubblico ciò che ignora. Anche se, dato e non concesso, dirigere Malipiero non dà la stessa visibilità della Quarta Sinfonia di Brahms.
Al Lauro Rossi abbiamo delle idee che ancora non posso rivelare ma mi entusiasmano molto.
Nel 2018 debutterai a Dresda con Rigoletto. Cosa pensi che dovremmo prendere soprattutto ad esempio dalle istituzioni internazionali con le quali hai avuto a che fare? Cosa, viceversa, nel sistema musicale italiano ritieni una caratteristica da valorizzare e diffondere? Qual è il tuo punto di vista sul mondo attuale della musica, e dell’opera in particolare, fra difficoltà amministrative, dibattiti annosi su crisi e innovazioni, rapporto con nuovi media e nuovo pubblico?
È un discorso un po’ articolato: la qualità media delle produzioni in Italia è di ottimo livello e ha uno stile preciso. Dobbiamo, però, essere capaci di esportare questo know how e questo stile oltralpe, creando un modello italiano individuabile e riconosciuto.
Mi sento di dire senza ombra di dubbio che l’Italia sta vivendo uno dei momenti più floridi per quanto riguarda le sue forze emergenti; questo concerne strumentisti, cantanti, registi e direttori d'orchestra. Non credo esista un altro paese con giovani così preparati e in grado di fare questo mestiere ai livelli più alti. Questi sono i nostri “prodotti” da diffondere. Bisognerà vedere come il mercato lascerà crescere il talento di ognuno, ma le potenzialità di base sono enormi.
Le difficoltà amministrative sono molte e non solo da noi. Sono un grande ostacolo ma vedo che, lentamente, le cose stanno migliorando.
Per quanto riguarda l’innovazione faccio un semplice esempio: oggi sarebbe possibile e avrebbe senso eseguire Mozart come si faceva cinquanta anni fa? Il mondo va avanti, si evolve,si arricchisce ecosì l’esperienza interpretativa. Questa non può adagiarsi su ciò che fu fatto in passato, su quella che oggi chiamiamo "tradizione", anche se questo significa non essere compresi.
Ricordiamoci che non esiste nessun manuale che definisca “giusta” un’esecuzione. La soggettività dell’ascolto influenza il nostro giudizio che si arricchisce di nuovi parametri con il passare del tempo. Come è giusto che sia.
Il rischio e la ricerca sono due elementi essenziali del nostro lavoro.
Grazie e buon lavoro!