di Andrea R. G. Pedrotti
Mihaela Marcu, giovane soprano romeno, appassionatasi al canto lirico quasi casualmente, ha le sue prime esperienze teatrali nel coro dell’Opera Nazionale di Timisoara e, dopo aver vinto una borsa di studio dalla CEE Musiktheater di Vienna per il triennio 2007-2009, diventa solista nello stesso teatro, avendo modo di debuttare ruoli di Puccini, Mozart, Donizetti, Bellini, Bizet, Verdi, Franz Lehár e Johann Strauss II. Si è esibita più volte in teatri di Brasile, Italia, Romania, Belgio, Olanda, Germania, Austria e Francia. E’ stata allieva di Alida Ferrarini
Lei ha cominciato giovanissima lo studio del canto e della musica, che cosa la ha spinta ad avvicinarsi a questo mondo?
Non vengo da una famiglia di artisti, musicisti o gente di teatro, però quando penso alla ragione per quale oggi faccio questo e alle prime emozioni della mia infanzia, posso dire che la musica ha sempre fatto parte dalla mia vita. Mi viene in mente proprio ora che, quando avevo quattro, anni mio padre stava guardando una partita di calcio e, cambiando canale, capitò casualmente su una Traviata che mi colpì nel profondo. Mi ricordo benissimo di aver goduto non solo della musica, ma anche dell'aspetto teatrale e visivo. Sarebbe presuntuoso dire che la mia vocazione sia nata quel giorno, ma questo ricordo mi è rimasto particolarmente impresso e significa ancora molto per me oggi. Rammento, inoltre, di avere sempre cantato a casa o in chiesa.. Il canto è lamia vita da sempre. Più tardi ho scoperto il piacere della recitazione, piacere e impegno che oggi nella mia vita artistica ha la stessa importanza dell'aspetto vocale, non solo perché amo entrare in un personaggio, trasmettere delle emozioni con la voce e la musica, ma anche perché ritengo che il teatro sublimi la musica stessa e che all'epoca del cinema e della televisione il pubblico non può più accettare dei cantanti che non siano anche attori. La cosa bella della nostra arte è dover essere bravi in entrambi gli aspetti.
Che ricordo serba della sua insegnante, Alida Ferrarini, scomparsa proprio un anno fa, il 26 giugno del 2013?
Alida è stata molto importante per me. La sua esperienza parlava da sola, avendo avuto una carriera di altissimo livello in teatri di fama internazionale. Inoltre a livello di tecnica mi ha aiutato a sviluppare la voce , e mi ha insegnato a conoscerla meglio e, quindi, a stare attenta. Cercava sempre il carattere naturale della vocalità senza mai gonfiare i suoni.
Oltre che come specialista del teatro lirico, lei è considerata anche un’ottima interprete del repertorio dell’operetta, una forma di spettacolo assai impegnativa, non meno del melodramma. Trova sia giusto proporre nele stagioni d’opera anche spettacoli d’operetta? Quali elementi differenziano la preparazione delle due forme teatrali?
Ringrazierò sempre il cielo di avere avuto la fortuna, da giovane solista, di interpretare anche l'operetta. Ritengo che sia la migliore scuola possibile per una cantate che poi voglia affrontare l'opera: non è assolutamente un repertorio minore, anzi, richiede un grande impegno e delle qualità sicuramente più varie che non quelle necessarie per affrontare l'opera. Anni di operetta ti danno una disinvoltura naturale in scena che è utilissima nel prosieguo della carriera. E' un repertorio difficile, alternare il canto con il parlato non è facile e per niente naturale. Non è un genere che "funziona da solo", senza un buon livello di recitazione non ne viene fuori il valore e lo spettacolo non riesce. Nell'operetta, a parte certi momenti particolari, non c'è l'appoggio della musica che crei le atmosfere; occore essere "veri" per convincere il pubblico e trasmettere emozioni per le quali non basta la melodia. È la scuola dell'umiltà e della personalità in scena.
La recitazione deve essere curata come nel teatro di prosa, e spesso le operette sono tradotte nelle lingue dei paesi dove sono rappresentate. Come si trova in questo caso a dover studiare, e poi recitare, le parti parlate in diverse versioni?
Fa parte del nostro mestiere dover studiare dei ruoli in diverse lingue. È sempre una difficoltà di non cantare in originale, perché la prosodia non funziona automaticamente sulla musica. La scrittura in generale si allontana dal testo originale e può perderne il vero significato, per seguire le necessità di una traduzione ritmica. Ma in contraccambio il pubblico capisce ciò che si dice, quindi per la partecipazione e l'aspetto teatrale è un guadagno. Comunque qualsiasi lavoro e nuova esperienza è utile per un artista.
Lo scorso marzo ha avuto modo di interpretare con grande successo il ruolo di Hanna Glawari al Teatro Filarmonico di Verona, con la regia di un maestro come Gino Landi, presentando la giovane vedova pontevedrina con notevole efficacia scenica e vocale.
Ho interpretato spesso Hanna Glawari in Romania e, grazie a questo ruolo, sono stata riconosciuta, nel 2011, come miglior artista del mio Paese. Poi l'ho cantata in Belgio, Olanda e anche in Germania, ovviamente in tedesco. La lingua interferisce sul colore della voce. C'è un grande e importantissimo lavoro da fare per trovare molteplici colori differenti e corretti.
Recentemente si è distinta come soprano lirico belcantista dalla linea di canto morbida ed elegante: pensa di continuare a indirizzarsi verso autori come Mozart (dopo aver perfezionato la parte di Fiordiligi nei tre anni trascorsi a Vienna), Bellini, Donizetti e qualche ruolo di Verdi, o la sua voce potrebbe indirizzarsi anche verso altri orizzonti? Ha in previsione dei debutti?
La mia voce si sta ingrandendo, ma amo il repertorio che sto facendo: Giulietta di I Capuleti e i Montecchi mi va perfettamente e la ricanterò presto alla Fenice di Venezia e ad Atene. Sempre alla Fenice debutterò L'elisir d'amore e Adina dovrebbe essere un ruolo molto adatto a me. Poi dovrò prepare la Juliette di Gounod e la Manon di Massenet, che oltre all'aspetto musicale geniale è un ruolo completo artisticamente che richiede un impegno teatrale di attrice che corrisponde alla mia natura, così come La traviata che ho appena rifatto all'opera di Marsiglia. Violetta dà sempre delle emozioni uniche. Difficile non amare il proprio mestiere, anche se a volte è duro.
Col teatro Filarmonico di Verona ha portato la sua Giulietta belliniana fino al Teatro di Muscat: che esperienza è stata? Qual è l’approccio di paesi come l’Oman al Teatro lirico italiano?
Capuleti è stato un esperienza meravigliosa. Un gruppo di artisti che avevano lo stesso approccio del mestiere, la stessa energia, lo stesso ritmo. Non è sempre così. Il maesto Carminati conosce tutto di questo repertorio e aiuta sempre i cantanti. Debuttare questo ruolo così pericoloso con lui è stata una grande opportunità. A livello registico c'è stato un impegno enorme e nuovo. Il maestro Bernard ha delle idee molto chiare, fa un lavoro musicale, e insiste sull'energia dell'interprete, cosa adatta alle mie caratteristiche di artista. All'inizio pensavo che non sarei stata in grado di fare una regia così impegnativa fisicamente, ma dopo mi sono resa conto che è riuscito a creare un personnagio fortissimo, e che, finalmente, mi supportava anche nel canto. Quando il direttore e il regista creano un atmosfera di lavoro del genere, collaborando simbioticamente, allora l'esperienza diventa unica. L'avventura in Oman è stata molto bella: era una trasferta dell'Arena dove si è creata un clima molto particolare. Il teatro è una meraviglia, con una bellissima organizzazione e la gente è molto accogliente e dolce.