L'uscita per Naxos degli ultimi CD dell'integrale dei Péchés de vieillesse rossiniani, nel centocinquantesimo dalla morte del Pesarese, è l'occasione per conversare con il pianista Alessandro Marangoni, anima artistica dell'iniziativa, della produzione cameristica e degli ultimi anni del grande compositore.
Nel centocinquantesimo dalla morte di Rossini porta finalmente a compimento l'impresa dell'incisione integrale dei Péchés de vieillesse. Una mole di musica notevolissima: ci può dare una panoramica generale sull'organizzazione e la tipologia di queste composizioni nel corpus rossiniano e sui principi che avete seguito nella pianificazione della raccolta di CD?
Una mole sorprendente di musica! Rossini diceva: “la mia musica fa furore!” e certamente aveva ragione, perché fa furore anche oggi. Il corpus dei Péchés de vieillesse comprende circa 200 pezzi, divisi in 14 volumi. Ai brani ufficiali del catalogo rossiniano si aggiungono 20 inediti che in questi anni di ricerche ho ritrovato in giro per il mondo. La maggior parte di questi sono per pianoforte solo, ma c’è anche una ricca produzione cameristica per violino, per violoncello, corno, cori e molti brani per voce e pianoforte o duetti. Esistono brani con organici inusuali come ad esempio La Nuit de Noel per basso solista, coro, armonium e pianoforte. Non è stato semplice “impaginare” le tracklists delle uscite discografiche, così come non ho potuto seguire l’ordine dei volumi rossiniani perché alcuni sono più lunghi, altri più corti; inoltre spesso il contenuto degli Album è troppo eterogeneo dal punto di vista degli organici strumentali o vocali per cui l’ordine di uscita dei CD ha previsto prima i Péchés per pianoforte solo e in seguito abbiamo accorpato il resto un po’ per genere, seguendo comunque, ove possibile, l’ordine del catalogo rossiniano. In corso d’opera poi, come dicevo, ho scoperto inediti, come ad esempio un ulteriore Mi lagnerò tacendo donatomi dall’amico Philip Gossett proprio poche settimane prima di morire; le prime incisioni assolute si trovano nelle ultime uscite pianificate da Naxos. In tutto sono 13 CD (in cui ci sono 2 doppi-cd): un lavoro avvincente, che mi ha appassionato molto e riempito di stupore.
Ancor oggi si tende a parlare del “silenzio rossiniano” succeduto al Guillaume Tell, eppure si tratta solo di un silenzio teatrale. Peraltro, non era così inusuale per un compositore della sua generazione, dopo la frenesia dell'attività operistica in giovane età, passare poi la seconda parte della vita dedicandosi ad altri impegni (per esempio la musica sacra o l'insegnamento), né sono mancate, con le controversie contrattuali con l'Opéra e lo Stato francese, ragioni pratiche e oggettive per interrompere la produzione per le scene, oltre ai problemi di salute fisica e mentale che afflissero Rossini. Avendo lavorato così intensamente sulle musiche dei suoi ultimi anni, che idea si è fatto del “silenzio rossiniano” e, più in generale, della personalità e dei tormenti di Gioachino?
Un silenzio direi assordante! Si è parlato molto di questo “stop” nella produzione di Rossini, ma lo studio sistematico, approfondito e l’analisi dei Péchés sono avvenuti solo in tempi recenti. Egli non aveva nessun interesse a pubblicare questi pezzi, scriveva per suo piacere e anche per dare sfogo alla continua e irrefrenabile ispirazione che quotidianamente faceva materializzare su foglietti sparsi qua e là per casa queste gemme preziose, molte delle quali sono autentici capolavori.
“Scrivo perchè non posso farne a meno” scriveva Rossini a Max Weber. Si è detto e ipotizzato molto su questo periodo della sua vita: non esiste un solo motivo per il quale egli lasciò il teatro, si tratta di un insieme di cose, non da ultimo un motivo economico (Rossini era un abile calcolatore, non poteva rinunciare di certo al vitalizio offerto dal governo francese in cambio di non scrivere più per nessun teatro che non fosse il Théâtre des Italiens, che però non commissionò più nulla al Nostro). Si è detto che era pigro: si forse lo era, o si atteggiava ad esserlo ma era anche afflitto dalla sofferenza di una salute precaria, una malattia venerea di cui si vergognava e che gli procurava parecchi fastidi, tanto da minare in maniera grave il suo umore. Credo che mai come nella musica di questo periodo della sua vita Rossini metta a nudo la sua umanità, i suoi sentimenti più profondi, la sua intimità, con i difetti (che egli stesso ironizzava), le sofferenze e la grandezza di un uomo che aveva avuto tutta la gloria e gli onori e che ora fa i conti, spesso oppresso dal mare oscuro, con la vita e con il “buon Dio”, accudito e amato da Olympe, che per il Maestro era tutto. Sono convinto che abbia avuto anche un avvicinamento alla fede, ad una fede genuina, ad una confidenza con il Mistero. E il “buon Dio” (così gli si rivolge in quel capolavoro assoluto che è la Petite Messe Solennelle), strabiliato dai suoi bellissimi peccati, gli ha scontato molto Purgatorio, facendolo entrare nella gloria con la scorciatoia.
Il Guillaume Tell fu guardato come una “Bibbia” dai giovani compositori romantici italiani, e non solo. Nei Péchés troviamo straordinarie anticipazioni di Sostakovic', Stravinskij o Satie. Come si iscrivono questi pezzi in rapporto al loro tempo, all'atteggiarsi a passatista di Rossini e al suo essere anche un compositore di “musica dell'avvenire senza saperlo”?
Senza dubbio quella dei Péchés è musica dell’avvenire. Rossini dedica proprio un pezzo, Specimen de l’avenir, con grande ironia, a quelle che sono le tendenze dell’estetica musicale europea di quegli anni. Possiamo pensare a un Satie ante-litteram nel modo in cui Rossini fa uso dell’ironia e dell’autoironia, quando racconta storie sarcastiche affidando il racconto a didascalie che fanno parte della partitura, come in Un petit train du plaisir, o addirittura affida al pianista il canto di canzoncine popolari francesi imitando il verso del pappagallo, come in Le raisins (che fa parte del Album IV dei Péchés). Anche nell’uso dell’enarmonia egli si dimostra all’avanguardia: non solo abbraccia l’estetica romantica, avvicinandosi molto al pianismo di Chopin e di Liszt, ma si spinge oltre, sempre utilizzando le categorie del gioco e del beffardo, che talvolta invece lasciano il posto alla meditazione e allo slancio poetico, sempre con una grande attenzione al suono del pianoforte, in una concezione pienamente romantica o che riscontreremo nel primo Novecento. Credo che ne fosse assolutamente consapevole: l’ancoraggio al passato è più nella forma, ma il limite a cui tendeva era senza dubbio quello di un orologio della storia proiettato in avanti, a volte in maniera profetica.
Alcuni pezzi dell'ultimo Rossini sono celeberrimi, altri molto meno, alcuni sono perfino degli inediti in prima incisione assoluta. Se dovesse indicare una rosa di pagine che considera particolarmente significative, quali sarebbero? E perché?
Le pagine significative sono numerose e i motivi per cui lo sono altrettanto. Ci sono anche alcuni capolavori: ad esempio Une caresse à ma femme, brano dolcissimo in cui nella scrittura pianistica riconosciamo il gesto della carezza dell’amante alla sua amata, così come nella parte centrale brillante e a tratti violenta vediamo il litigio tra i due amanti, per lasciar spazio nel finale al ritorno della carezza e dell’amore (per la sua Olympe?). Abbiamo già citato Un petit train du plaisir, brano innovativo e assolutamente geniale in cui si racconta la storia di un viaggio in treno di alcuni ricchi parigini; il treno deraglia, ci sono morti e feriti con una sorpresa finale, “il dolore acuto degli eredi”, che invece di essere un finale mesto e funebre è una polka sfrenata… molti brani per voce e pianoforte sono delle autentiche gemme preziose, per ispirazione, temi e scelta dei testi. Un altro esempio è la Tarantelle pur sang avec la traversée de la procession, una tarantella napoletana di grande virtuosismo pianistico che per due volte viene interrotta da una processione religiosa (coro e armonium) al suono di una clochette, con il coro che intona un inno a San Gennaro. Altri brani cameristici alternano il grande lirismo al virtuosismo strumentale, come Une larme per violoncello e pianoforte, che ho inciso col grande Enrico Dindo: uno dei temi più belli di Rossini, con variazioni di grande difficoltà ed effetto. Si potrebbe andare avanti a lungo…
Nello specifico, se i pezzi vocali trovano frequente e gradita ospitalità dei recital dei cantanti e se anche diverse pagine pianistiche godono di una certa popolarità, meno frequentate sembrano le opere per altri organici strumentali da camera, per duo, trio o quartetto. Come si approccia Rossini a questo genere? Che legame c'è, e quale differenza, fra il suo scrivere per una destinazione teatrale, sacra e cameristica? E fra il suo far duettare e dialogare voci o strumenti (penso soprattutto alle due versioni di una stessa aria, Romèo per tenore e pianoforte o Allegro agitato per violoncello e pianoforte)?
Si nota un certo intimismo nella musica da camera di Rossini, mi verrebbe da dire che è un po’ un mondo (rossiniano) a sé. Egli aveva tra i suoi amici i più grandi strumentisti dell’epoca: penso a Franz Liszt che frequentava casa Rossini, a Gaetano Braga o a François Servais per il violoncello, naturalmente i più grandi virtuosi del belcanto. Direi che quasi ogni suo brano da camera richiede uno sforzo virtuosistico notevole, virtuosismo di agilità di note o di tipo espressivo. A parte forse Une larme, gli altri pezzi sono purtroppo poco eseguiti: tra cui il bellissimo Un mot à Paganini, che ho inciso con il grande Massimo Quarta, o le terribili variazioni per corno che sono di grande difficoltà, ai limiti dell’eseguibilità se suonate al tempo giusto (cosa che ha fatto magnificamente Ugo Favaro nel nostro CD). Non c’è mai però un’esibizione fine a se stessa o per strappare l’applauso perché questi pezzi Rossini non li ha pensati per essere eseguiti nelle grandi sale da concerto e nei teatri, bensì da suonarsi tra le mura domestiche, per il diletto degli amici convenuti e per la gioia di fare (o ascoltare) musica insieme, in attesa di una bella e consistente cena. Possiamo dire che la dimensione cameristica è anche un po’ “sacra” per Rossini: l’intimità dell’amicizia è sacra, forse è ormai l’unico scopo della vita, spesso tormentata, di Gioachino. Il “sapore” operistico senza dubbio è sempre presente come una sorta di leitmotiv ontologico, soprattutto in molti brani vocali o nei duetti, anche se Rossini sconfina certamente più verso uno Schubert che un Mozart. È curioso fare il confronto tra Roméo, su testo di Émilien Pacini e Allegro agitato per violoncello e pianoforte, di cui non ci è pervenuta la parte pianistica, che si può ricostruire prendendo quella composta per Roméo, identica, corrispondente alla prima sezione (Allegro agitato), e quella di Une Larme per la parte cantabile.
L'autoimprestito si riconosce anche in queste pagine, fra riminescenze, ritorni e rielaborazioni di temi comuni. Che idea della poetica e della retorica musicale rossiniana emerge dai Péchés in tal senso? E, citando un caso in cui il riferimento è esplicito e, direi, univoco come la Marche et reminiscence pour mon dernier voyage (con una struttura che ricorda un po' i Quadri di Musorgskij, con il suo concatenarsi di episodi e transizioni) cosa pensa della selezione e dell'uso che Rossini fa di propri temi teatrali? È possibile considerarlo un testamento affettuoso nel quale riconoscere ciò che l'autore stesso ritiene più significativo?
Citavo prima Roméo, appunto, come esempio acclarato di autoimprestito. Ci sono temi e frammenti che ritornano spesso. Rossini era assalito da questi temi, spesso molto brevi, con i quali confezionava una dedica magari di otto battute a qualche madmoiselle (spesso un Mi lagnerò tacendo) e in seguito con lo stesso tema costruiva un preludio per pianoforte o un quartetto vocale. Egli voleva forse anche mostrare che era in grado di scrivere tante cose diverse a partire da un’idea ispiratrice, non tanto per ego esibizionistico ma per esaltazione dell’alto valore poietico che la musica porta in sè: la sua stessa musica, soprattutto nell’ambito di forme brevi, era per lui fonte di ulteriore ispirazione in un certo senso, facendo scaturire più mondi possibili, spesso alternativi.
Ha citato il geniale brano tratto dal Album IX, Marche et reminiscence pour mon dernier voyage: solo Rossini avrebbe potuto pensare un brano per il suo funerale! Ormai vicino alla fine della sua vita terrena, Rossini sente la necessità di ripercorrere per sommi capi i capolavori che aveva scritto per il teatro, non senza la solita autoironia. Questo brano è infatti un pot-pourri che riecheggia temi celeberrimi delle sue opere, inframmezzati da un episodio dal ritmo alquanto bizzarro: accordi di sedicesimi staccati ai quali segue sempre un accordo di due quarti con una pausa nel mezzo che conferisce un ritmo zoppicante. Dunque dall’Andantino mosso iniziale si stagliano alcuni frammenti d’opera: nell’ordine Tancredi, La Cenerentola, La donna del lago, Semiramide, Le Comte Ory, Guillaume Tell, Otello, Il barbiere di Siviglia, per finire con un autoironico, straordinario «Mon portrait» sul quale Rossini pone l’indicazione «grazioso e leggero» (che intelligenza in questa così fanciullesca ironia!). In chiusura la traslitterazione musicale di alcuni comportamenti del Maestro: «allons», su ritmo di marcia; «on ouvre», accordi stanchi, che vanno piano piano fermandosi e scemando in un pppp quasi inudibile; «j’y suis» seguito da una sarcastica ultima battuta che riporta la didascalia «Requiem».
Da pianista, invece, ci parla più precisamente del rapporto di Rossini con lo strumento e di come collocherebbe l'opera rossiniana nel panorama della musica pianistica e cameristica del XIX secolo? Se i programmi monografici dedicati a Schubert, Chopin, Debussy abbondano, è assai difficile trovare tanto spazio per Rossini nei concerti dei suoi colleghi.
Il pianoforte di Rossini è assolutamente identificabile, è come non è nessun altro, fortemente connotato, non ti puoi sbagliare. Può essere solo Rossini, anche se senza dubbio sono presenti molte influenze nella sua scrittura pianistica: senz’altro possiamo ritrovare Chopin, Liszt, Mendelssohn, persino Schubert e Brahms. Con uno sguardo fisso al classicismo, Rossini amava Bach e spesso si metteva al pianoforte e suonava Clementi. Ebbene si, il nostro Clementi, il padre del pianoforte, dal quale Gioachino ha attinto nella sua scrittura pianistica e anche oserei dire nella sua concezione estetica: il pianoforte di Rossini è il pianoforte del futuro, è già proiettato nelle sonorità romantiche e tardo romantiche, addirittura anticipa il Novecento! Il passato, il barocco, il classicismo, sono il fondamento, a volte anche sbeffeggiato e ironizzato, ma secondo la mia opinione Rossini abbraccia pienamente quelle che sono le tendenze estetiche, espressive, tecniche del pianismo romantico europeo. Sappiamo tra l’altro che spesso Franz Liszt faceva visita a Rossini e suonava i suoi Péchés, alcuni dei quali davvero mettono a dura prova il virtuosismo del pianista che li suona, con ottave, glissandi di ottave, terze, seste, accordi ecc. Il suo non era di sicuro un pianoforte timido e riservato, solo per accompagnare arie vocali “alla Tosti”, ma un pianoforte sinfonico, in cui l’autore esplora tutta la tastiera e pretende con maniacale precisione una tavolozza di colori davvero enorme.
Purtroppo la storia del pianoforte e dell’interpretazione conta pochissimi pianisti rossiniani: proprio in questi giorni parlavo di questo con la grandissima Maria Tipo, con cui ho avuto la fortuna e l’onore di studiare e anche lei concordava sul fatto che bisogna far conoscere questo repertorio pianistico, anche nei conservatori, affinché venga inserito nei programmi da concerto, che spesso si ripresentano sempre identici, con gli stessi brani e gli stessi autori. Ogni volta che presento in pubblico un programma rossiniano, anche monografico, riscuote sempre un enorme successo: ho suonato Rossini un po’ in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina. Alcuni miei allievi portano qualche brano dai Péchés al diploma di pianoforte.
Rossini, e forse soprattutto quello degli ultimi anni, è un personaggio particolarmente enigmatico: l'ambiguità fra maschera, atteggiamento e sincerità, fra ironia, sarcasmo, lirismo e tragedia come si esprime nel Péchés, e crede sia possibile discernere fra questi opposti?
È molto difficile, perché complesso è “quel guazzabuglio del cuore umano” come dice il Manzoni. Ed è così perché il Rossini degli ultimi anni svela se stesso tutto intero, con i suoi abili stratagemmi e i dovuti filtri, ma con la sincerità di un bambino che sfida l’assoluto con la sicurezza del genio super partes, nello splendore della sua libertà.
Au chévet d'un meurant parla del capezzale del padre, la cantata Giovanna d'Arco (che non fa parte strettamente dei Péchés, ma risale comunque agli anni dell'addio al teatro) è dedicata al suo nuovo amore Olympe Pélissier e vede la protagonista volgere il pensiero alla madre lontana e addolorata mentre la figlia si copre di gloria in Francia, L'ultimo ricordo si rivolge esplicitamente a Olimpia, l'idea di musicare il metastasiano Mi lagnerò tacendo forse è stata ispirata da Isabella Colbran, che prima di lui ne aveva tratto un'arietta. Quanto ci può essere di autobiografico nei Péchés de vieillesse e in generale nella produzione cameristica rossiniana?
È proprio seduto al pianoforte che Rossini racconta la sua storia, la sua vita e qui ci svela il suo cuore. C’è molto vissuto nei Péchés perché essi sono l’espressione più pura e intima dell’uomo Rossini. Si potrebbe fare anche un’analisi psicanalitica del percorso dei Peccati di vecchiaia, un viaggio all’interno della complessa ma allo stesso tempo lineare personalità del compositore, che sa toccare diverse corde dei sentimenti, celando ogni tanto attraverso l’ironia quelle che invece egli viveva come sofferenze. Emergono poi chiaramente in alcune composizioni dei chiari rimandi autobiografici, ad episodi o persone che hanno solcato la sua vita come nei brani che lei ha citato. Aggiungerei ad esempio anche un brevissimo À ma belle mère, poche battute per contralto e pianoforte di struggente e profonda commozione dedicate alla mamma che muore. La figura materna è molto importante e riaffiora nei Péchés, quella terrena così come quella celeste: alla Madonna infatti Rossini dedica alcuni tra i più bei brani di questo periodo, penso ad Ave Maria per coro e organo, Ave Maria su due note e citazioni in altre composizioni. La produzione cameristica credo sia il suo ambiente ideale per parlarci di sé, per raccontare l’amore, l’amicizia, le gioie della vita che quasi riescono ad annichilire l’angoscia e la depressione che spesso lo affliggono.
A 150 anni dalla morte di Rossini, secondo lei, quanti luoghi comuni ci sono ancora da sfatare su di lui, quali sono le nuove sfide e i nuovi traguardi da perseguire? E viceversa, quali considera le maggiori conquiste degli ultimi anni di Rossini Renaissance?
Credo sia fondamentale innanzi tutto divulgare le partiture dei Péchés. La Fondazione Rossini di Pesaro ha fatto e sta facendo un lavoro egregio e importante di revisione critica. Sarebbe anche necessario immettere nella grande distribuzione i volumi rossiniani.
Al Rossini Opera Festival in questi ultimi anni abbiamo eseguito l’integrale dei Péchés e questa operazione ha avuto molto successo di pubblico. Molti pianisti però mi hanno contattato e spesso mi chiedono di inviare spartiti dei Péchés de vieillesse perchè sono difficili da reperire. Senz’altro è stato fatto un lavoro enorme sul Rossini operista: il pesarese tiene aperti e riempie i più importanti teatri del mondo, con molti suoi titoli! Ma non basta: è un Rossini che zoppica, incompleto, è solo un aspetto di un genio poliedrico che è da conoscere meglio e tutto intero attraverso i Peccati di vecchiaia.
Conclusa questa impresa monumentale, quali sono i suoi prossimi progetti?
Innanzi tutto una bella cena. Rossiniana, naturalmente! Discograficamente parlando, di recente ho inciso l’integrale per violoncello e pianoforte di Castelnuovo-Tedesco con Enrico Dindo, disco che uscirà nei prossimi mesi e in cantiere ci sono altri progetti concertistici e discografici avvincenti…nel frattempo ho molte richieste di concerti in cui cerco, quando posso, di proporre questo meraviglioso Rossini, che continua ancora oggi a fare tanto “furore”!