29, 31 ottobre ~ 3, 6, 8, 11, 13 novembre 2015
Opera lirica in tre atti
Libretto di Alban Berg tratto dal dramma teatrale Woyzeck di Georg Büchner
Musica di ALBAN BERG
Prima rappresentazione: Berlino, Staatsoper, 24 dicembre 1925
Produzione Teatro alla Scala
Direttore INGO METZMACHER
Regia JÜRGEN FLIMM
Scene ERICH WONDER
Costumi FLORENCE VON GERKAN
Luci MARCO FILIBECK
Coreografia CATHARINA LÜHR
Personaggi e interpreti
Wozzeck Michael Volle / Roman Trekel (11 e 13 nov.)
Tambourmajor Roberto Saccà
Andres Michael Laurenz
Hauptmann Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Doktor Alain Coulombe
1° Handwerksbursch Andreas Hörl
2° Handwerksbursch Modestas Sedlevicius*
Der Narr Rudolf Johann Schasching
Marie Ricarda Merbeth
Margret Marie-Ange Todorovitch
Mariens Knabe Alberto Galli (voce bianca)
Ein Soldat Sascha Kramer*
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
*Allievi Accademia di Canto del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Bruno Casoni
COMUNICATO STAMPA
Date:
giovedì 29 ottobre 2015 ore 20 ~ prima rappresentazione turno E
sabato 31 ottobre 2015 ore 14 ~ ScalAperta
martedì 3 novembre 2015 ore 20 ~ turno B
venerdì 6 novembre 2015 ore 20 ~ turno C
domenica 8 novembre 2015 ore 15 ~ fuori abbonamento
mercoledì 11 novembre 2015 ore 20 ~ turno D
venerdì 13 novembre ore 20 ~ turno A
Prezzi: da 150 a 11 euro
Prezzi ScalAperta: da 75 a 5,5 euro
Infotel 02 72 00 37 44
di Cesare Fertonani
Se c’è un’opera più di ogni altra emblematica del primo Novecento, decisiva nel concentrare le tensioni culturali e le aspirazioni più radicali della nuova musica questa è senza dubbio Wozzeck.
Faticosa, la genesi dell’opera protrae per parecchi anni. Il 5 maggio 1914 Berg assiste a Vienna alla rappresentazione del dramma Wozzeck di Georg Büchner riportandone un’impressione folgorante (benché composto nel 1836-37, il dramma frammentario era stato pubblicato per la prima volta nel 1879 nell’adattamento di Karl Emil Franzos che lo aveva intitolato con il nome del protagonista letto per errore “Wozzeck” anziché “Woyzeck”). Il compositore inizia subito a stendere le prime idee per un’opera su libretto proprio, trovandosi tuttavia costretto ad abbandonare ben presto il progetto, tra l’altro per portare a termine i Drei Orchesterstücke op. 6; con lo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1915 Berg è chiamato alle armi e soltanto due anni dopo avrà modo di tornare a occuparsene seriamente. Ma anche una volta terminato il conflitto, il lavoro procede con lentezza e lunghe interruzioni. Nel 1919 Berg ha concluso il primo atto ma riuscirà a portare a compimento il lavoro solo nel 1921, completandone l’orchestrazione nell’aprile dell’anno successivo.
A questo punto, pubblicata grazie al sostegno di Alma Mahler la riduzione per canto e pianoforte (a cura di Fritz Heinrich Klein), l’opera aspetta solo di essere rappresentata ma, sebbene Berg abbia firmato un contratto con l’Universal Edition, nessun teatro è davvero intenzionato a metterla in scena. Così il compositore accetta l’invito di Hermann Scherchen a prepararne qualche estratto per la sala da concerto: il clamore suscitato dall’esecuzione dei Drei Bruchstücke aus “Wozzeck” a Francoforte sul Meno, il 15 giugno 1924, induce diversi teatri a richiedere la prima rappresentazione dell’intera opera, che però è già stata nel frattempo programmata dalla Staatsoper di Berlino.
Qui, il 14 dicembre 1925, la prima diretta da Erich Kleiber riscuote un considerevole successo a dispetto della campagna di stampa scatenata dalla critica più reazionaria; Wozzeck conoscerà poi ampia diffusione in Europa, almeno sino all’avvento del nazismo, e negli Stati Uniti (nel 1942 c’è anche la prima italiana, diretta a Roma da Tullio Serafin).
Nel rielaborare il dramma, Berg si basò sulla versione di Franzos, a sua volta risistemata (1909) da Paul Landau (quando nel 1921 venne a conoscenza della prima edizione critica, pubblicata l’anno precedente, la composizione era ormai a uno stadio troppo avanzato per poterla utilizzare come testo di riferimento). D’altro canto, le manipolazioni e i travisamenti dell’adattamento di Franzos furono determinanti per la recezione in chiave espressionistica del dramma sino al 1920 e dunque anche per la sua interpretazione da parte di Berg, che mira a focalizzare il mondo di allucinata, tragica alienazione sociale ed esistenziale in cui sonocostretti a vivere – e a morire – Wozzeck e Marie. Il libretto impiega per lo più direttamente il testo dell’edizione Landau, limitandosi a distribuirne le scene (ridotte da ventisei a quindici) in tre atti di cinque scene ciascuno e a introdurre tagli e ritocchi.
L’intento di comporre una musica drammatica che rappresentasse in modo pregnante l’azione scenica senza nel contempo venir meno alle prerogative della sua autonomia indusse Berg a dare al problema formale una soluzione ingegnosa: ovvero concepire l’opera come un sistema di forme chiuse, in cui ciascun atto e ciascuna scena all’interno di ogni atto costituiscono un’unità strutturale indipendente. Dal punto di vista dell’architettura su vasta scala l’atto centrale, il più strettamente elaborato, è incorniciato da due atti che si corrispondono nell’articolazione meno serrata (secondo una sorta di grande forma ABA). Il primo atto, l’esposizione del dramma, presenta i cinque personaggi principali eccetto Wozzeck, delineandone il rapporto che li lega al protagonista, ed è costruito come una serie di pezzi di carattere: una suite per il Capitano (scena 1); una rapsodia per Andres (scena 2); una marcia e ninnananna per Marie (scena 3); una passacaglia per il Dottore (scena 4); un rondò per il Tamburmaggiore (scena 5). Il secondo atto, la peripezia, è una sinfonia in cinque movimenti: forma sonata (scena 1); fantasia e fuga (scena 2); Largo (scena 3); scherzo con due trii (scena 4); rondò (scena 5). Il terzo atto, la catastrofe, consta di sei invenzioni su singoli elementi musicali: un tema (scena 1); una nota (scena 2); un ritmo (scena 3); un accordo di sei note (scena 4); una tonalità (interludio conclusivo); una regolare scansione ritmica (scena 5).
È comunque ovvio che, per Berg, queste strutture rigorose riguardano la forma intrinseca dell’opera, che come tale non deve essere necessariamente colta dal pubblico; d’altronde l’elemento unificante più chiaramente percepibile è dato dalla rete dei Leitmotive, identificati con personaggi e situazioni drammatiche il cui ricorrere sottolinea associazioni e corrispondenze nel corso dell’opera, e dagli interludi. Utilizzando le risorse di un libero linguaggio cromatico denso di allusioni e reminiscenze tonali, di tutte le opzioni espressive della voce (canto, Sprechgesang, parlato), di una straordinaria pluralità di livelli e piani stilistici (inclusa l’ironia e la parodia), Berg realizza un’opera dove l’impressionante complessità è perfettamente commisurata alla più incandescente forza
drammaturgica ed espressiva.
di Andrea Malvano
Che molto del dramma di Wozzeck avvenga lì sotto, nella fossa dell’orchestra, ancor prima che sul palcoscenico, si intuisce anche solo sfogliando la partitura.
Berg sceglie di suddividere l’opera in quindici scene, che rimandano esplicitamente alle strutture formali della grande tradizione strumentale. Verrebbe spontaneo pensare alla musica che invadeva la Vienna delle luccicanti sale da concerto, dei salotti altolocati in cui il Settecento scopriva i fiori più belli del repertorio cameristico. Ma la scrittura di Wozzeck abita in un altro emisfero, quello in cui il passato riappare tra le macerie di un inconscio collettivo che non lascia più spazio alla riflessione razionale e oggettiva. Berg non vuole riprendere con distacco neoclassico le strutture della forma sonata o dell’antico contrappunto; la sua intenzione è quella di individuare nei retaggi della tradizione le radici di una scrittura musicale condivisa da un’intera generazione di compositori: le intime rappresentazioni di un pensiero collettivo stratificato nel tempo. Della Vienna asburgica resta solo più l’anima: Berg la rievoca, la osserva con l’angoscia del tempo moderno, e ne trae suggestioni destinate a rimanere codificate negli strati più inconsapevoli del suo linguaggio musicale. Il primo atto, definito dall’autore “Esposizione”, è formato da cinque pezzi caratteristici: ogni sezione introduce un personaggio nuovo, presentando Wozzeck a confronto con tutti gli attori del dramma. L’apertura è affidata a una suite: Berg costruisce una successione di danze (preludio, pavana, cadenza, giga, cadenza, gavotta, aria, ripresa), alludendo a una delle più diffuse forme strumentali settecentesche. A quell’orizzonte stilistico rimandano l’orchestrazione cameristica, che nelle due cadenze lascia addirittura spazio a interventi solistici (prima la viola, poi il controfagotto), e l’uso di tempi storicamente legati ai movimenti di danza. Il Capitano si muove su un registro isterico e nervoso, come se fosse perennemente in bilico tra la compostezza del suo ruolo e un’irrequietudine esistenziale che nemmeno una divisa riesce ad arginare; Wozzeck, invece, esprime quel desiderio di canto che lo accompagna per tutta l’opera, quel lirismo sistematicamente frustrato che lo rende il più umano di tutti i personaggi. Un denso tessuto di intrecci tematici percorre il loro dialogo, isolando alcune cellule melodiche destinate a divenire ricorrenti nel corso delle scene successive: una luce abbagliante evidenzia l’intervallo di settima maggiore che compare in corrispondenza del «Wir arme Leut» («Noi povera gente») intonato da Wozzeck.
Tre accordi dal sapore inquietante stanno alla base della rapsodia successiva. Andres compare in tutta la sua ingenua baldanza, accompagnato da un fiero tema di marcia: la rassicurante bandiera dietro cui si nasconde chi non ha la sensibilità per porsi interrogativi problematici. Wozzeck dialoga in Sprechgesang, quella tecnica di emissione delle note a metà tra il canto e la recitazione che Arnold Schönberg aveva introdotto a partire dai Gurrelieder. La suaumanità emerge anche da questo aspetto vocale: un declamato che rifiuta ogni forma di artificio, proprio come se volesse alludere alla lingua parlata dalla “povera gente”.
Marie entra in scena sulle note di una marcia militare: una banda interna, dietro le quinte, disegna in lontananza un tema marziale. La sua è una vocalità lirica: melodie intense, sistematicamente soffocate dalla violenza dei personaggi circostanti.
La dimensione irreale del suo universo emotivo le consente di abbandonarsi all’ingenuità di una ninnananna, cullata da un ritmo di siciliana che sembra riesumato da una raccolta clavicembalistica del Settecento. Il suo tema (laa-fa-mi), schiacciato in un intervallo di quarta diminuita, è lo specchio di una personalità imprigionata tra le mura dell’indifferenza collettiva.
Un ulteriore risvolto del registro vocale prende forma con l’apparizione del Dottore: nessuna incertezza, timbro crudo, tagliente, analitico. Il Dottore osserva Wozzeck con distacco e il suo canto procede con freddezza, senza concedersi nessuno slancio lirico. A questo profilo analitico Berg affianca la passacaglia, uno dei procedimenti formali più rigorosi di tutta la tradizione musicale: un tema formato da dodici suoni (particolarmente interessante, visto che la dodecafonia all’epoca della stesura dell’opera non era ancora stata codificata da Schönberg) dà vita a ventuno brevi variazioni, ognuna delle quali è identificata da una precisa fisionomia timbrica. Ma anche in questo caso il passato si adagia su uno strato di sottile inconsapevolezza: le variazioni si succedono con estrema fluidità, rendendo impossibile, all’ascolto, individuare le articolazioni della struttura formale.
Chiude il primo atto un rondò: un tema aspro e grottesco, disegnato da due oboi accoppiati, si ripresenta più volte nel corso della scena, sottolineando la cruda insensibilità del Tamburmaggiore. Per la prima volta Berg abbandona la strumentazione cameristica, per raffigurare con il timbro roboante della grande orchestra l’incontrollabile violenza che domina i
due personaggi.
Il dialogo tra Marie e Wozzeck che apre il secondo atto (Peripezia) rievoca lo schema della forma sonata: un’esposizione composta da tre gruppi tematici, due riprese e uno sviluppo, costituisce il primo dei cinque movimenti di sinfonia proposti da Berg nel secondo atto. La struttura-simbolo dell’antica dialettica tra libertà dell’invenzione e necessità della forma cerca invano corrispondenze con una tensione drammatica che non può trovare una risoluzione: Marie e Wozzeck procedono dritti verso la catastrofe; il loro dialogo è l’emblema di un’incomunicabilità esistenziale. Solo la riapparizione del motivo Wir arme Leut, al culmine dello sviluppo, ha il potere di annichilire qualunque dialettica: la sua epifania è sottolineata da un accordo di do maggiore sussurrato dagli archi, che suona come una coltellata in un contesto sistematicamente atonale. Niente di più straniante: una cellula anomala inserita in un organismo dissonante ci ricorda il destino di Marie e Wozzeck, costretti a vivere in un mondo che non è il loro.
Alla forma più seriosa di tutta la tradizione musicale Berg affianca una delle scene più grottesche di tutta l’opera. Il Dottore, il Capitano e Wozzeck si stuzzicano con battute lancinanti, e la musica scivola in una ruvida fuga, basata su tre distinti soggetti.
La scrittura polifonica è piuttosto rigorosa, ma Berg cerca nel contrappunto uno strumento del dramma: è come se la fuga, inghiottita dalla tessitura strumentale, si trasformasse in un’immagine subcosciente, sforzandosi invano di prendere una forma precisa nella mente dell’ascoltatore.
Un groviglio di interventi cameristici intesse il successivo Largo: Marie e Wozzeck tentano inutilmente di comunicare, ma sono entrambi sopraffatti dalla violenza.
Berg riutilizza l’organico usato dal suo maestro Arnold Schönberg nella Kammersymphonie, con l’intenzione di mettere in scena un dialogo profondamente drammatico tra ensemble cameristico e intera orchestra. Ne risulta un crocevia di tensioni, che trovano uno sfogo nelle parole «Der Mensch ist ein Abgrund» («L’uomo è un abisso»), cui segue un vertiginoso disegno dell’intera orchestra, spento da un agghiacciante colpo di timpani e gran cassa.
Lo spettro dell’assassinio si è ormai pienamente materializzato; e il successivo ribaltamento in una chiassosa scena all’osteria (lo Scherzo) ne accentua i tratti inquietanti. C’è tutto quello che serve per creare un clima spensierato: suadenti ritmi di Ländler, un grazioso valzer suonato da un’orchestrina sulla scena, un coro di soldati che puzza di fumo e di alcool, la serenata di un incauto cantore alle prese con la sua chitarra, la predica tragicomica di un garzone con manie di grandezza. Eppure, proprio come accade negli Scherzi delle Sinfonie di Mahler, niente suona più sinistro di quei suoni di festa. I due organici (sul palco e nella fossa) procedono parallelamente, realizzando una inquietante sovrapposizione di stati emotivi contrastanti (anche Mozart sembra svolazzare su questa scena, rievocando il finale del primo atto di Don Giovanni). L’apparizione del Pazzo ne è l’inevitabile conseguenza, e il silenzio di tutta l’orchestra alla parola “Blut” (Sangue) è più spaventoso di un assordante urlo a pieno organico.
Come il primo atto, anche il secondo si chiude con un atto di violenza del Tamburmaggiore (Rondò marziale). Questa volta a lottare non è più Marie, ma Wozzeck, che tra gli stanchi sbadigli di un coro di soldati in caserma, sfoga la sua rabbia in una vana zuffa tra ubriachi. Ma quando i rumori e la confusione svaniscono nell’ombra, piantato nella memoria del fruitore resta solo l’impatto in pianissimo tra le note cantate dal coro maschile (fa, sola, sol naturale) e il verso spettrale del clarinetto basso (sol #). Difficile immaginare un presagio di sangue più raccapricciante.
È quel suono a rimanere vivo anche quando tutto si spegne in una calma di ghiaccio: 4 battute di pausa in 2/4 che si specchiano fedelmente nelle 2 battute di silenzio in 4/4 su cui si apre il terzo atto.Già dall’apertura silenziosamente a specchio, il terzo atto (la Catastrofe) si presenta come un’immagine rovesciata del secondo. La gaudente sicurezza della classe vincente si ribalta nella spaventosa tragedia della povera gente. Berg, dopo aver affrontato la volgare superficialità del mondo, si concentra su Wozzeck e Marie, sul loro dramma esistenziale; e lo fa scrivendo sei invenzioni musicali, basate su altrettanti soggetti. Si comincia con un’invenzione su un tema: Marie si confronta con la sua problematica spiritualità, e la musica ricorre alla polifonia, da sempre lo strumento più sfruttato dal repertorio sacro. Ma ormai è troppo tardi per una riflessione serena sul trascendente; sulla scena si allungano le ombre della tragedia nelle gravi punteggiature del clarinetto basso, negli inquietanti trilli del corno e nelle contorte melodie degli archi.
Wozzeck non ha più scelta: deve sfogare su se stesso tutta la violenza che il mondo lo ha costretto a reprimere; e la prima vittima deve essere Marie, l’emblema di quella purezza che si annida anche nei sotterranei della sua anima. E così la musica: nessuna scelta, ma una sola nota (un si), che funge da pedale per tutta la scena, continuando a riemergere come un delirio ricorrente. Alla rapidità convulsa dell’assassinio segue una riflessione orrenda: un roboante crescendo dell’intera orchestra trasforma la nota “si” da presagio a rappresentazione dell’assassinio. E anche qui, come nel secondo atto, il successivo ribaltamento in una scena all’osteria non fa che caricare le tinte mostruose del crimine appena consumato. Il riverbero dell’intera orchestra non si è ancora estinto, quando un pianino verticale attacca la sua polka da birreria. Il colpo di scena introduce un’invenzione su una figurazione ritmica, che circola continuamente in orchestra; ma il vero elemento raggelante appare in corrispondenza della rabbiosa canzone di Wozzeck, che si apre con le stesse note della ninnananna cantata da Marie nel primo atto.
Wozzeck annega nello stesso sangue di cui si è sporcato le mani. A dipingere la sua fine è un’invenzione su un accordo di sei note, che si spegne in un cromatismo ascendente degli archi. Ma, dopo la scomparsa di Wozzeck, il presente non ha più alcun interesse; e l’unica soluzione è un’invenzione sulla tonalità di re minore, che parla la lingua di Mahler. Berg si volta indietro a osservare il linguaggio del passato; ma questa volta non lo fa con l’intenzione di trattenere un ricordo soggiacente; la nostalgia del decadentismo dipinge il rammarico di un’intera generazione, che vede il suo volto riflesso nelle acque in cui annega Wozzeck. Un destino di disadattamento che non si spegne tra il fango di quello stagno, ma che è destinato a continuare, per sempre. Lo conferma il raggelante «Hopp, Hopp» del figlio di Marie, emarginato dai suoi compagni di gioco, nella successiva invenzione, che si chiude su un disegno ripetitivo di flauto e celesta da eseguire “senza ritardando”: proprio come se la storia fosse destinata a ripetersi e a cristallizzarsi nell’eterna cornice di un’angosciante rappresentazione mitica.
a cura di Alberto Bentoglio
Camera del Capitano.
Come ogni giorno il soldato Franz Wozzeck sta radendo il Capitano che non perde occasione per deriderlo e accusarlo di immoralità poiché convive con Marie, una ex prostituta, dalla quale ha avuto un figlio. Senza successo, Wozzeck tenta di esporre le proprie ragioni.
Aperta campagna.
Aiutato dal commilitone Andres, Wozzeck raccoglie la legna. Ma ben presto il paesaggio che lo circonda diviene per lui un incubo minaccioso e insostenibile.
Camera di Marie.
Marie osserva affascinata la prestanza fisica del Tamburmaggiore che sta passando nei pressi della sua abitazione a capo della banda militare. Margret, sua vicina di casa, ironizza pesantemente sulla di lei condotta. Rimasta sola, Marie culla teneramente il suo bambino. Al sopraggiungere di Wozzeck in preda a uno stato allucinatorio, la donna cerca di distrarlo parlandogli del figlio. Ma il soldato non la ascolta e si allontana precipitosamente.
Studio del Dottore.
In cambio di un modesto compenso, Wozzeck si è offerto come cavia per gli esperimenti parascientifici che il Dottore conduce su di lui al fine di evidenziarne i segni della pazzia. Con cinica soddisfazione il Dottore osserva l’acutizzarsi in Wozzeck di uno stato di aberratio mentalis partialis.
Strada davanti alla porta dell’abitazione di Marie.
Accortosi dell’ammirazione di Marie, il Tamburmaggiore non esita a farle concrete proposte d’amore. Dopo un breve indugio, la donna acconsente.
Camera di Marie.
Marie ammira gli orecchini che il Tamburmaggiore le ha regalato: a Wozzeck ella dice di averli trovati casualmente. Dopo averle raccomandato di occuparsi del bambino, Wozzeck consegna a Marie la paga e si allontana.
Strada di città.
Wozzeck incontra il Dottore e il Capitano, i quali ironizzano sulla condotta di Marie dandogli la certezza di essere stato tradito. Il Dottore elenca tutti i sintomi del progressivo stato di pazzia di Wozzeck.
Strada davanti alla porta dell’abitazione di Marie.
Accecato dalla gelosia, Wozzeck si scontra violentemente con Marie. La donna gli dichiara il proprio disgusto.
Giardino di osteria.
Fra donne equivoche e soldati ubriachi, Wozzeck riconosce Marie che balla con il Tamburmaggiore. Egli vorrebbe affrontare il rivale, ma non ne ha la forza. Mentre un garzone improvvisa una predica senza senso, un pazzo si avvicina a Wozzeck e gli sussurra: “Sento odore di sangue”.
Corpo di guardia in caserma.
Narrandogli il tradimento di Marie, il Tamburmaggiore insulta Wozzeck. Poi lo colpisce, gettandolo a terra.
La camera di Marie.
Dopo aver raccontato a suo figlio una favola, Marie, colpita dalle parole del Vangelo, invoca la pietà di Dio.
Sentiero nel bosco presso uno stagno.
In luogo solitario, Wozzeck uccide Marie con un colpo di coltello.
Un’osteria.
Wozzeck ubriaco corteggia sfrontatamente Margret. Insospettita dalle macchie di sangue che ha notato sulla sua divisa, la donna lo interroga. Wozzeck dapprima si schermisce, poi fugge impaurito.
Sentiero nel bosco presso uno stagno.
Cercando il coltello con cui ha ucciso Marie, Wozzeck si lascia sommergere dalle acque dello stagno. Il Dottore e il Capitano, che hanno udito dei gemiti, si allontanano impauriti.
Strada davanti alla porta dell’abitazione di Marie.
Il bambino di Marie sta giocando. Alcuni compagni gli annunciano la morte della madre. Ma egli non comprende e continua innocentemente a giocare.