di Roberta Pedrotti
Evento di punta del festival Opera Barga, la riscoperta dell'oratorio La caduta di Gierusalemme del bolognese Giovanni Paolo Colonna (1637-1695) svela un capolavoro in un'ottima esecuzione e in una messa in scena avvincente.
BARGA (LU) 14 luglio 2013 - L'oratorio non va confuso con l'opera, ma sarebbe un errore altrettanto grande negargli potenza drammaturgica e psicologica, imbalsamarlo in schemi impettiti e liquidarlo come seriosa catechesi. Anche senza scomodare gli sfolgoranti oratori profani di Händel, nella sterminata e non ancora sufficientemente esplorata produzione religiosa troviamo sovente lavori liberi da convenzioni, nei quali è possibile usufruire di masse corali e strumentali impensabili nel teatro d'opera, nei quali la spettacolarità è tutta demandata all'illustrazione musicale svincolata da ogni costrizione, il divismo non ha spazio e la dottrina viene esposta anche attraverso insospettabili sottigliezze e licenze nello scandaglio dell'animo umano. È soprattutto quest'ultima la chiave della Caduta di Gierusalemme di Giovanni Paolo Colonna, presentata in prima italiana moderna nella nuova edizione critica di Francesco Lora: oratorio composto per Modena nel 1688 e ripreso poi a Bologna e Lucca nel '90 e nel '95, non s'impone per barocca spettacolarità, né per effetti narrativi o per organico (manca, come da prassi in Italia, il coro), quanto piuttosto per l'intelligenza drammaturgica e il pathos palpitante che veicolano il messaggio morale. La vicenda è collocata, recita il sottotitolo, sotto l'imperio di Sedecìa, ultimo re d'Israelle, e sviluppa il tema dell'empietà e dell'hybris del sovrano soccombente a Nabucco, già ampiamente e diversamente trattato soprattutto come monito ai potenti e, dunque, d'immediata urgenza politica. All'epoca di Colonna il riferimento diretto furono le tensioni fra il rampante impero ottomano e l'Europa; oggi a Barga si decide di presentare l'oratorio in forma scenica e ci si riallaccia alla contemporaneità del Medio Oriente, seppur privo di connotati troppo precisi. La scelta è comunque vincente perché non solo permette un'immersione più vivida e diretta in questa particolare forma di dramma, ma è anche realizzata assai bene con una forte caratterizzazione di ogni personaggio e un perfetto equilibrio d'insieme da parte della regista Dagny Müller, che sembra smentire nei fatti la non completa fiducia nella teatralità della partitura dichiarata nelle note di regia.
Sarà forse un tradimento dare azione, scene e costumi a un oratorio, lo sarà trasformare uno dei due figli maschi di Sedecìa, Arielle, in una risoluta giovane lady Macbeth guerriera, ma quanto il risultato funziona, quando l'oratorio mostra la sua potenza espressiva allora il tradimento è giustificato e fruttuoso. Basta osservare come viene spezzata la simmetria fra i fratelli e valorizzata la loro individualità, come Manuela Ranno appare in scena, fiera e feroce, pupilla del padre, implacabile, la prima a infilare una divisa e lanciarsi in battaglia, e infine sconfitta, lacerata, prossima alla morte. Il giovane (come tutto il cast) soprano siciliano ha modo ancora una volta di confermarsi ottima attrice, autentica personalità teatrale, oltre che ottima musicista e artista dal promettente avvenire. Il contrasto con l'Abdìa inizialmente più dandy, sprezzante figlio di papà devastato poi dall'esperienza della battaglia, del mezzosoprano Kimberly Boettger-Soller è parimenti efficacissimo e canta con buon gusto. Ottimo attore è pure Yannis François, basso cui spetta l'incarnazione dell'arroganza di Sedecìa, incapace di riconoscere i propri limiti e d'accettare l'ispirazione divina dei moniti di Geremia: scrupoloso nello stile, certo potrà ancora migliorare nella morbidezza e duttilità d'emissione e nella gestione della tessitura, oltre che nella dizione. Chi più di tutti scolpisce nitidamente la parola è, giustamente, proprio il profeta Geremia, interpretato da uno specialista di pregio come Alberto Allegrezza con squillo, incisività, perfetta musicalità e aderenza scenica. Resta in ombra, purtroppo, il Nabucco di Gloria Petrini, contralto scuro che è parso decisamente affaticato e artificioso, ma su cui pesava anche una brutta indisposizione che impone di sospendere ogni giudizio rimandandolo a occasioni migliori. Originariamente affidata allo stesso unico tenore destinatario di Geremia e necessità d'allestimento interpretata da un secondo cantante è la parte di Nabuzardan, capitano assiro: Andrea Schifaudo, meno disinvolto dei colleghi, ma nel complesso ben inserito nell'insieme.
Non manca qualche sbavatura nella prova dell'orchestra Auser Musici diretta da un pur lodevole Carlo Ipata e talvolta s'intuisce che dalla scrittura audace di Colonna si sarebbe potuto trarre maggior partito in termini di colori, fraseggio, valorizzazione di strutture armoniche. Non abbiamo però di che lamentarci perché soprattutto la seconda parte riluce di vertici altissimi, degni di quella scuola barocca bolognese che non irradiò solo dottrina, ma espresse in massimo grado anche i potenti chiaroscuri del pathos barocco, la sua grandiosità e il suo profondo acume psicologico, morale e financo sensuale. La comprensione del linguaggio musicale di Colonna non si ferma a una prima lettura, questa complessità di scrittura che non cerca banalmente di allettare, ma pure avvince per la sua poetica, suggerisce sempre una riflessione ulteriore sui contenuti del testo, nel quale parole e intonazione sono indissolubilmente avvinti. A Barga capiamo di non esserci fermati a un primo livello, di non esserci appagati, né noi né gli esecutori, d'aver messo in lista solo un altro titolo pressoché inedito, ma di averne reso le potenzialità lasciando intravedere l'ampio orizzonte delle potenzialità di questa musica, di questo genere che nasce in seno a una Chiesa, ma arriva a fare insieme teatro (con o senza concreta azione) e filosofia in prospettive universali più che strettamente liturgiche e confessionali. L'emozione in sala è tangibile e crescente, il successo meritatamente caloroso per tutti. Se poi prima e dopo lo spettacolo si può godere dei paesaggi della Garfagnana e delle delizie del borgo toscano, abbarbicato sulla sua cima senza che le pendenze ardite divengano mai inospitali, il valore aggiunto allo storico festival di rarità musicali al Teatro dei Differenti non sarà di poco conto nell'unire ed esaltare reciprocamente le arti e le ricchezze culturali, naturalistiche, gastronomiche di cui non saremo mai custodi abbastanza fieri e premurosi.