di Andrea R. G. Pedrotti
Un meritatissimo trionfo chiude in bellezza la stagione invernale del Filarmonico di Verona prima del festival areniano e della coda autunnale al chiuso. Mariella Devia ribadisce con autorità la sua statura artistica sublime e la sua totale identificazione con la Maria Stuarda di Donizetti, ma tutto il cast, con Sonia Ganassi, Dario Schmunk, Marco Vinco, Gezim Myshketa e Diana Mian, è eccellente, come la direzione intelligente, belcantistica e teatrale di Sebastiano Rolli, la messa in scena essenziale e curatissima di Federico Bertolani, le prove dei complessi stabili del teatro.
VERONA, 13 aprile 2014 - In attesa della coda autunnale con La bohème di Giacomo Puccini, la stagione invernale della Fondazione lirica Arena di Verona si conclude con una trionfale Maria Stuarda. Un trionfo che ha fatto perno su due primedonne eccezionali, un cast ben assortito, una regia efficace e una validissima direzione d’orchestra.
Ogni dettaglio è curato al meglio a partire dalla parte visiva: sul fondo si presenta un grande telo azzurro scuro e una bassa scala a tre gradini, a occupare interamente la scena, estendendosi da una quinta all'altra; la macchia cromatica appare cupa e i protagonisti quasi ombre, fino al loro giungere in proscenio. Quale elemento di contrasto un grande cubo centrale bianco, sovrastato dal trono di Elisabetta I, atto a dominare tutte le vicende, ma voltato rispetto al pubblico, come a indicare, in maniera non solo figurativa, che la regina non si occupa, nel suo esercizio, delle faccende umane che accadono alle proprie spalle. Per offrire a chi assista allo spettacolo la mutevolezza degli ambienti, il cubo centrale, diviene sia prigione di Maria, sia, scomponendosi in tre parti elemento volumetrico dei varii locali, creando l’illusione di porte e pareti, ed elementi naturali, come il bosco.
La regia di Federico Bertolani segue alla perfezione il libretto di Giuseppe Bardari, con movimenti semplici, ma efficaci. Già di per sé il testo offre notevoli spunti, riguardo l’introspezione di ciascuno dei protagonisti, esaltandone elegantemente il carattere, connotato da una prosa tipicamente ottocentesca, ma ben adattata al contesto di una corte tardo-cinquecentesca.
La compagnia di canto poteva contare su una strepitosa Sonia Ganassi, come Elisabetta, cantante di consumata esperienza, seppur ancor di giovane età, la quale interpreta al meglio il ruolo della sovrana delle due corone: innanzi a lei pare realmente di trovarsi in presenza della vera figlia di Enrico VIII, colei che seppe render grande l’Inghilterra. Ogni sguardo, ogni più piccolo gesto sono densi di regalità e di nobile lignaggio, mai eccessivo, specialmente dopo l’invettiva di Maria, quando la Ganassi freme di rabbia repressa, esplodendo semplicemente nel suo imperioso “Guardie, olà!”. Al termine resta impassibile e maestosa, assisa sul suo trono, senza nemmeno assistere all’esecuzione da lei stessa comandata. Certo non da meno la parte musicale: la cabaletta è eseguita con tecnica perfetta, senza una sbavatura e nel corso di tutta l’opera accenti fraseggio giungono immancabilmente all’eccellenza.
Accanto a lei una delle più grandi primedonne che il panorama internazionale abbia offerto al mondo del melodramma, cioè Mariella Devia. Sia inteso, quando si ascolta una cantante dalla tecnica e dall’emissione che nulla hanno di perfettibile, non bisogna pensare che questa sia un’interprete fredda e asettica, al contrario la sua Maria Stuarda (unica figura bianca di tutto il cast, forse a indicarne una presunta purezza) è una delle migliori mai ascoltate: il ruolo di cui è ormai completamente padrona, è caratterizzato (questa una realtà storica) da una regalità ben diversa da quella di Elisabetta; ella è orgogliosa e altezzosa, pronta all’inganno pur di giungere ai suoi scopi, muore con onore e si sente degna regina sino all’ultimo, partendo dalla condanna a morte, accolta quasi con scherno sprezzante, sino al giungere del momento estremo. L’invettiva non è urlata in faccia a Elisabetta, ma sibilata fra i denti, sussurrata con rabbia, creando una tensione in sala che può contare ben pochi eguali. L’aria finale è eseguita eccezionalmente facendo trattenere a stento l’applauso, in attesa dell’ultimo accordo.
Dario Schmunck giunge all’ultimo a sostenere il ruolo di Leicester, dimostrandosi buon specialista oonizettiano, pienamente padrone del personaggio. Si fa preferire nei momenti più squisitamente lirici, rispetto ai terribili passaggi acuti, che caratterizzano la scrittura tenorile del conte amato dalle due regine. Notevoli esercizi di fraseggio e espressione si sono potuti apprezzare in svariate frasi del secondo atto, eseguite con grande partecipazione e notevole sicurezza.
Marco Vinco, affrontando un repertorio a lui particolarmente congeniale dal punto di vista vocale e scenico, interpreta efficacemente Giorgio Talbot offrendo ottimi momenti, specialmente nel duetto con Leicester e in quello con Maria. Gezim Myshketa rappresenta al meglio la doppiezza del viscido Cecil, vero sprone nel convincere Elisabetta a condannare a morte la rivale, per poi comunicare egli stesso l’avvenuta decisione, quasi avvilito. Il cast era completato dalla brava Diana Mian, come Anna Kennedy.
A far da collante allo spettacolo l’ottima bacchetta di Sebastiano Rolli: direttore in meritata ascesa, capace di sostenere soli e coro, mai invadente e perfettamente a suo agio nelle dinamiche donizettiane, guida l’orchestra del Filarmonico a sonorità belle e vibranti, in particolar modo in un finale primo assolutamente memorabile per intensità drammatica. Il coro, sotto la guida di Armando Tasso, offre la sua miglior prova stagionale e, ben guidato dal maestro Rolli, esegue magistralmente la preghiera, tanto da meritare un’ovazione da parte del pubblico. Le scene sono curate da Giulio Magnetto e i costumi stilizzati, efficaci e pertinenti da Manuel Pedretti. Il termine della recita è stato caratterizzato dalla sorpresa finale degli auguri di Buon Compleanno - cui ci uniamo sinceramente -, intonati da coro, orchestra e colleghi tutti, alla signora Mariella Devia condivisi dalle maestranze e da tutta la sala, dopo l'annuncio del maestro Rolli. Tutti gli interpreti sono stati accolti da fragorosi applausi.
Grande merito, in questi momenti di crisi, va dato alla sovrintendenza della Fondazione, con una politica di prezzi accessibili, ma, soprattutto, all’intelligente amministrazione artistica di Paolo Gavazzeni, capace di fidelizzare nuovamente il pubblico in poco tempo a un teatro sano, grazie a regie belle e nuove, a spettacoli di repertorio di sicuro affidamento e al connubio di stelle del firmamento musicale, unite a giovani bravi, capaci e dal futuro più che promettente.