di Ramon Jacques
Si conclude con Così fan tutte la trilogia Mozart Da Ponte allestita dalla Los Angeles Philarmonic alla Walt Disney Hall, con il rammarico di uno spreco inutile di risorse per una messa in scena non all'altezza in un luogo ideale, invece, per esecuzioni in forma di concerto. Buona e a tratti ottima, invece, la resa dei cantanti. Corretta ma poco ispirata la direzione di Gustavo Dudamel
LOS ANGELES 31 maggio 2014 - Con Così fan tutte si è concluso il ciclo de opere di Mozart e Da Ponte intrapreso due anni fa dalla Los Angeles Philarmonic. Come nelle produzioni precedenti, gli esiti scenici non si sono lontanamente avvicinati all'altezza e al livello di quanto ascoltato per la parte musicale e vocale e c'è da chiedersi se fosse in realtà necessario il dispendio (eccessivo) in produzioni che poco contribuiscono alla chirezza della vicenda, per non dire all'aspetto puramente spettacolare.
Sembra che non si sia previsto e compreso che la Walt Disney Hall non è un teatro adatto ad allestimenti scenici di opere, e che versioni in forma concertante non solo avrebbero salvato il pubblico da ore di noia e disgusto, ma sarebbero bastate a render giustizia a questi capolavori. Sí, le produzioni precedenti restano impresse nella memoria soprattutto per le eccezionali prestazioni di Mariusz Kwicien come Don Giovanni, della esuberante e brillante Donna Anna di Carmela Remigio o della appassionata Contessa di Dorothea Röschmann, o, ancora, per le notevoli esecuzioni della stessa orchestra.
Un'altra volta l'impegno della messa in scena è stato affidato a Christopher Alden, apprezzato e talentuoso regista statunitense, che avrebbe però avuto bisogno di un teatro e non di una sala da concerto per lavorare. Ha invece dovuto far ricorso nuovamente a letargici movimenti lenti o circolari senza alcun significato per i cantanti, che nei momenti statici rimanevano fermi di fronte al pubblico come in un concerto, e l'interazione fra i personaggi era pressoché nulla, trovandosi per lo più collocati in differenti punti della scena. Don Alfonso e Despina, vestiti di nero, rappresentavano la malvagità e si trascinavano sulla scena lentamente o utilizzavano gesti volgari e superflui. Le dame vestivano colori chiari e abiti primaverili, molto fashion, disegnati dal noto Hussein Chalayan. La futuristica scenografia consisteva in una struttura bianca circolare collocata al fondo del palco, la cui parte superiore appariva ondulata, come se si trattasse di dune del deserto sulle quali camminavano i cantanti. Questo a firma di Zaha Hadid Architects. L'idea portante di questo progetto, fin dal primo titolo, è stata infatti combinare moda e architettura.
Vocalmente è stata una delizia ascoltare il soprano Miah Persson, una sensibile Fiordiligi, che ha esibito un timbro di bel colore e agilità ammirevoli, con una vera e propria lezione di canto che non rinunciava a un'intensa comunicativa. Il mezzosoprano Roxana Constantinescu ha espresso sensualità con una vocalità intensa e scura. Il tenore Ben Bliss, mimbro del programma per giovani cantanti della LA Opera, sha sostituito all'ultimo minuto l'annunciato Alek Shrader, e benché il suo Ferrando fosse assai limitato nei movimenti dalle indicazioni di Alden, ha imposto senza cedimenti un canto caldo e sicuro. Un nome da tenere a mente, senza dubbio. Corretto il baritono Phillipe Sly come Guglielmo, così come il collaudato Rod Gilfry che incarnava un diabolico e malizioso Don Alfonso. Accattivante la vocalità cristallina del noto soprano Rosemary Joshua, che però ha dato vita a una Despina. volgare e indisciplinata.
L'orchestra ha reso una prova notevole, assai musicale e omogenea in ogni sezione. L'entusiasmo esplosivo dimostrato da Gustavo Dudamel all'inizio della sua gestione di questi complessi pare sfumato e oggi ci troviamo di fronte a un direttore più misurato, prudente e, a tratti, perfino routinier e privo di immaginazione. I tempi risultavano corretti e il risultato generale meritevole, benché non esente da alcuni sfasamenti fra voci e strumenti.