di Giovanni Andrea Sechi
Nella terza recita di Madama Butterfly all’interno del 60° Festival Pucciniano il ruolo della protagonista è ricoperto da Silvana Froli, contrariamente a quanto annunciato. Ottima prova per Giovanni Meoni nei panni di Sharpless, convincente il tenore kosovaro Rame Lahaj come Pinkerton. La nuova produzione di Renzo Chiacchieri si distingue per l’essenzialità degli apparati figurativi e la grande efficacia teatrale.
TORRE DEL LAGO, 16 agosto 2014 – Nella tragedia giapponese di Luigi Illica e Giuseppe Giacosatutto verte intorno alla giovanissima Cio-Cio-San. Il dramma di una quindicenne candida e idealista nell’innamorarsi, ma inamovibile nella volontà una volta provato il dramma dell’abbandono. A dispetto dell’ingenuità del personaggio, la vocalità della protagonista è tutt’altro che naïf, anzi si rivela onerosa: rendere la crescita psicologica del personaggio è forse lo scoglio maggiore per una Butterfly che possa dirsi almeno credibile. Con gli occhi puntati su di lei per quasi tutta la durata dell’opera, il pubblico pende da ogni suo cenno, soffre e palpita con lei (e la tragicità scaturisce proprio dal suo ignorare il contesto che la circonda, al contrario dello spettatore). Da lei il pubblico si aspetta la fanciullezza semplice e ingenua durante il primo atto, la madre speranzosa ma titubante nel secondo atto, la tragicità della donna abbandonata e disillusa nell’ultima parte.
Nella presente recita, a causa di un’indisposizione della titolare, subentra Silvana Froli (negli stessi giorni il soprano è impegnato anche nelle recite di Bohème). Sin dal principio l’interprete si distingue per la vocalizzazione molto cauta, specie quando il registro acuto è più esposto. Ella non rinuncia alla tradizionale puntatura nella scena di sortita, ma nel complesso l’emissione è un po’ troppo avara, specie nelle pagine che richiederebbero maggior abbandono (come il duetto alla fine del primo atto) o addirittura più nerbo: «Un bel dì vedremo» è eseguito con proprietà di mezzi fin quando l’interprete può esibire mezze voci e pianissimi, ma la resa vocale si rivela affaticata e difficile appena il soprano dovrebbe rafforzare il suono per non farsi sovrastare dall’orchestra. Tutto sommato, considerato il contesto in cui è avvenuta tale sostituzione, è certo che il soprano abbia assolto ai propri obblighi con grande onestà: va infatti lodata la presenza scenica coinvolgente e appassionata pur in uno stato vocale evidentemente affaticato. La Suzuki di Renata Lamanda è una compagna sensibile e pienamente partecipe alle vicende della sua padrona: ella offre un’esecuzione appropriata ed è una partner di tutto rispetto nelle pagine più impegnative (come nel duetto dei fiori). Schietta generosità vocale contraddistingue il Pinkerton di Rame Lahaj. Egli debutta il ruolo con agio grazie alla comodità della tessitura vocale e alla congenialità del personaggio. L’esecuzione è corretta e appassionata, anche se nell’ampio spazio del Gran Teatro la voce talvolta stenta a correre. Tra le parti maschili la migliore prova della serata è quella del baritono Giovanni Meoni (Sharpless): voce dall’emissione robusta, che ben s’addice al personaggio per la nobiltà del timbro e la finezza del porgere (come nella scena della lettera). L’austera parte del console americano è restituita in maniera impeccabile dal baritono romano. Luca Casalin – l’unica voce della compagnia che non ha alcun problema di volume o proiezione del suono – ritrae un Goro smaliziato e pragmatico, così ben caratterizzato nel canto e nel gesto da accattivarsi la simpatia del pubblico. Non convince del tutto la direzione del giovane José Miguel Pérez-Sierra, che guida la compagine strumentale e vocale del Festival Puccini con correttezza formale ma senza dimostrare piena adesione drammatica alla partitura pucciniana (che scorre piuttosto povera di colori e di guizzo interpretativo).
Convince appieno, invece, la nuova produzione di Renzo Giacchieri (regia, scene, costumi; le luci sono curate assieme a Valerio Alfieri) che si avvale dell’aiuto di Hal Yamanouchi per la ricerca sui movimenti mimici giapponesi. Lo spazio scenico è allestito in maniera essenziale - la luna, i fondali dipinti, la casa di Butterfly – ma grande attenzione è dedicata dal regista alla recitazione e all’interazione tra i cantanti. Il repentino cambio di scena durante il secondo atto è quel momento magico di teatro in cui lo stupore si impossessa dello spettatore: il fondale che ritrae i ciliegi di Nagasaki spogli e innevati – dietro alle due donne vestite a lutto – si tramutano in alberi carichi di fiori i cui petali volano sulla scena. Nella veloce sostituzione del fondale le due cantanti abbandonano i cupi mantelli per mostrare le vesti rosa festive, proprio mentre Butterfly canta « Trionfa il mio amor!». Un breve attimo di illusione e di bellezza – con tanto di applauso a scena aperta che riporta la speranza anche allo spettatore più indeciso.