di Claudio Vellutini
L'apertura di stagione della Lyric Opera di Chicago non punta sul coraggio delle scelte interpretative, che al di là di alcune blande sottolineature registiche nulla di nuovo sembrano suggerire sul capolavoro mozartiano, quanto sulla qualità di un cast in cui spiccano Mariusz Kwiecien, Marina Rebeka e Kyle Ketelsen.
CHICAGO 02/10/2014. Una nuova produzione di Don Giovanni in apertura di stagione è una scelta poco avventurosa. Ma la Lyric Opera di Chicago non è compagnia nota per la sua temerarietà. Negli anni ha saputo mantenere un suo pubblico puntando più su produzioni di rassicurante professionalità, talora costellate da nomi di grido, che su scelte artistiche coraggiose e provocatorie. Questo spettacolo inaugurale, firmato da Robert Falls per la regia, Walt Spangler per le scene, Ana Kuzmanic per i costume e Duane Schuler per le luci, non fa eccezione. Per la verità, esso non ha mancato di suscitare perplessità tra gli spettatori meno adusi (e nel Midwest sono parecchi!) a percorsi interpretativi che deroghino dall’ossequio pedissequo delle didascalie del libretto. A Chicago, un protagonista cocainomane o una festa in maschera che si trasforma in orgia—peraltro blandamente allusa—suscitano ancora scalpore. Eppure, dopo anni di indigestione da Regietheater, scelte simili dovrebbero avere ben poco di originale o dissacrante. Non solo, ma in questa produzione esse sembravano pure gettate là con il solo scopo di dare un tocco vagamente pulp ad un allestimento tanto scorrevole quanto nel complesso tradizionale e prevedibile. Anche la caratterizzazione ipercaricaturale di Donna Elvira— un clamoroso fraintendimento a parere di chi scrive—sembra appartenere ormai alla categoria di quei clichés banali che vorremmo vedere superati una volta per tutte. Piuttosto vanno rilevate alcune scelte arbitrarie, come lo spostamento del pestaggio di Masetto durante l’aria di Don Giovanni “Metà di voi qua vadano” e il taglio del recitativo successivo. Nello spettacolo di Falls il pestaggio avviene sotto lo sguardo divertito ed eccitato della cameriera di Donna Elvira, cui il protagonista rivolge maliziosamente i versi “Tu sol verrai con me. / Noi far dobbiamo il resto / E già vedrai cos’è”, appartandosi poi con lei.
Dal lato musicale, invece, la serata navigava in acque decisamente migliori. Merito, innanzitutto, di un protagonista carismatico quale Mariusz Kwiecien, gagliardo di voce e sempre forbitissimo di tecnica. Raramente ci è dato oggi ascoltare un legato altrettanto magistrale di quello esibito dal baritono polacco nella serenata del secondo atto. Il controllo del canto, che non conosce cedimenti neanche nella concitatissima scena con il Commendatore alla fine del secondo atto, non pone un freno all’esuberanza vocale e scenica di Kwiecien che sembra voler affrontare il personaggio con lo stesso appetito con cui Don Giovanni si getta sulle sue prede femminili (e sulla sua ultima cena). Gioca a favore del cantante anche un fisico prestante e prestantemente esibito nella penultima scena dell’opera.
Cotanto padrone non poteva che meritarsi un Leporello di eguale valore, prontamente interpretato da Kyle Ketelsen. Ketelsen, che nel terzetto del cimitero si permette il lusso di fare il verso al Commendatore e chiudere il brano con un sonoro e ironico mi grave, rifugge però l’approccio buffonesco al personaggio e sembra invece privilegiarne la dimensione più filosofica e distaccata, quasi a rammentare che dietro la maschera del comico si cela spesso una profonda malinconia. Imponente e statuario come si deve il Commendatore di Andrea Silvestrelli. Meno convincente ci è parso il Don Ottavio di Antonio Poli: il giovane tenore metteva in evidenza bella voce ma tecnica ancora da rifinire, soprattutto nella gestione del passaggio all’acuto, che spesso mancava della necessaria copertura del suono. Un certo impaccio scenico, inoltre, si accompagnava ad una musicalità generosa sì, ma anche un po’ generica. Nulla da eccepire, invece, sulla Donna Anna di Marina Rebeka, dotata di vocalità torrenziale e rifinita, timbro opalescente e penetrante in acuto e linea di canto di strumentale purezza. Il personaggio, si sa, non è di quello che scalda i cuori, e la Rebeka non sembra turbarsene. Ma un canto di tale livello è una gioia che compensa ogni riserva. La Donna Elvira di Ana María Martínez paga lo scotto di una concezione registica limitata del personaggio. Tuttavia, la brava cantante portoricana riesce comunque a firmare una prova convincente in virtù di un canto rigoglioso, di un accento infuocato (talora pure troppo) e di una sensibilità espressiva toccante. Centrate le prove dei due allievi del Ryan Opera Center, il programma per giovani artisti della Lyric: soave, anche se un po’ tenue nel registro grave, la Zerlina di Andiana Chuchman, e di interessante materiale vocale il Masetto un po’ troppo compassato di Michael Samuel. A sovrintendere l’intera operazione era Sir Andrew Davis, direttore musicale della compagnia. Potremmo dire quasi che la sua direzione sembra racchiudere l’essenza dell’orientamento artistico della Lyric—solida, professionale, ma anche poco personale, più focalizzata sulla cura del dettaglio che non sulla visione complessiva dell’opera. Davis, comunque, è direttore di mestiere che, pur non trovando in Mozart il suo terreno d’elezione (gradiremmo ben altra eloquenza e fantasia nei fraseggi, nelle articolazioni, nelle alchimie timbriche) tiene in pugno l’orchestra con autorità, senza dimenticare le ragioni del canto. Se, insomma, questo Don Giovanni scorreva liscio e si lasciava ascoltare con piacere, lo si deve in buona parte anche a lui.
foto Todd Rosenberg e Michael Brosilow