di Roberta Pedrotti
R. Lisi
Franco Ferrara: genio, dolore, ricerca
591 pagine + CD
Rugginenti Editore, Milano, 2014
ISBN 9788876656125
La comunicazione si basa su convenzioni condivise, per cui la forma non è elemento accessorio, ma fondamentale per veicolare il messaggio. Anche se non va semrpe a completo discapito della comprensione, la forma può ostacolarne la fruizione, affossare anche il più alto dei progetti, la più mirabile delle ricerche.
Non possiamo, dunque, non rilevare come l'arbitrio rispetto alle più comuni norme editoriali renda faticoso l'approccio a questo appassionato volume di Roberto Lisi, dedicato alla memoria dell'amico e maestro Franco Ferrara. Personaggio mitico, sia per la folgorante carriera interrotta precocemente da mai ben chiariti problemi nervosi o, comunque, di salute, sia per la fenomenale attività didattica che l'ha visto maestro e mentore d'intere generazioni di direttori d'orchestra. Proprio per questo avrebbe meritato di più, avrebbe meritato di vedere meglio messe a frutto le ricerche documentarie e le preziose testimonianze private di Lisi (che, pur non intraprendendo una carriera professionistica, da allievo instaurò un profondo sodalizio umano e artistico con Ferrara). Per esempio avvalendosi della collaborazione di una figura come quella di Alfredo Gasponi, le cui interviste al Maestro sono spesso citate con gratitudine, o comunque di chi ha fatto della scrittura e della comunicazione la sua professione. Perché è la forma non professionale a saltare all'occhio per prima, con quel proliferare inconsulto di maiuscole, quell'ostinazione perniciosa nel riportare ogni nome proprio (di persona, ma anche di marche di mobili e pianoforti!) in un ingombrante maiuscoletto, quell'affollarsi bulimico di virgolette e corsivi. Un appesantimento prima di tutto visivo che non tiene conto della chiarezza delle abituali norme di editing, non solo scientifico.
Aggiungiamo che non si ricerca coerenza nella scelta delle traslitterazioni dal cirillico, con ibridi fra le diverse convenzioni (Ciajkowskij, per esempio), o che parlare, per esempio degli «intervenuti al “La Fenice”» appare quantomento una bizzarria, non meno della grafia accentata radiotré.
Sull'opportunità di note che esplichino nel dettaglio l'estetica kantiana – quand'anche per istituire un parallelo con le considerazioni del Maestro – nutriamo, poi, francamente, qualche perplessità, così come per le molte digressioni storiche, teoriche o personali.
Qui, però, dal piano della forma scivoliamo su quello, indissoluto, del contenuto. Un contenuto che in potenza si propone di equilibrare narrazione biografica, ricognizione di date e dati, riflessioni sull'arte e sulla dimensione umana di Ferrara, ma non sa trattenersi da un tono agiografico ben presto stucchevole. Lo comprendiamo per l'affetto e l'ammirazione profondissima dell'autore verso il Maestro, ma proprio per questo si sarebbe resa necessaria una precauzione critica e autocritica preliminare alla pubblicazione. Uno sguardo che equilibrasse alcune intemperanze ed evitasse, per esempio, alcune cadute di gusto invero spiacevoli.
Non fa onore all'artista Franco Ferrara - che fra l'altro ebbe a schermirsi in interviste sull'opportunità di nascondere per sempre in un cassetto le proprie composizioni - mal sopportare eventuali critiche negative riscosse dai suoi lavori o anche ridimensionanti la sua statura di direttore e non trovar meglio che tentare di demolirle con l'asserzione – spocchiosa, stantìa e sconclusionata – della mancata pratica musicale attiva dei recensori (fra cui nomi come Zurletti e Villatico, non blogger dell'ultima ora!).
Non fa onore all'artista e all'uomo Franco Ferrara, che con Gavazzeni risulta aver avuto un bel rapporto di reciproca stima, chiosare «perché un direttore d'onestissima e pur brillante carriera, come l'autorevolissimo e coltissimo Gianandrea Gavazzeni, abbia potuto esser paragonato in quella serata ad un “mostro” unico di sapienza musicale come Franco Ferrara». Frase sul cui inopportuno pessimo gusto è inutile infierire. Leggendola ci si sente in imbarazzo per l'autore. Una punta di acidità di percepisce anche nelle considerazioni finali riferite alla gestione dell'archivio e dell'eredità del maestro, sulla condotta della vedova Maritza. Che vi siano ombre da chiarire è palese, e possiamo ancora una volta comprendere un'intemperanza sanguigna data dalla personale vicinanza, ma la denuncia avrebbe potuto esser ben altrimenti temperata, soprattutto in chiusura di centinaia di pagine tese unicamente a celebrare ed elencare minuziosamente tutte le glorie e le sublimi virtù di Ferrara.
Peccato, il racconto della figura di Franco Ferrara da una prospettiva così ravvicinata avrebbe meritato ben altro sviluppo, ben altra esposizione. Di certo, rispetto a questo robusto volume fitto fitto di righe disordinate e di immagini di provenienza e definizione eterogenea, molto più dicevano le due paginette che Armando Trovajoli, nella sua autobiografia curata da Gasponi (leggi la recensione), dedicava all'ammirazione per Ferrara.
Resta, oggetto d'interesse, il CD allegato, ma proprio per questo sarà bene riservargli uno spazio indipendente (leggi qui la recensione).