di Roberta Pedrotti
Alessandro Zignani
La storia negata
VIII-200 pagine
Zecchini Editore, collana Novecento 2016
ISBN 978-88-6540-156-9
Leviamoci subito il pensiero di quel paragrafo che ci ha turbato il piacere della lettura. Refusi e lapsus fanno parte dell'umana natura, rendono necessari editori e correttori di bozze ma anche a questi possono sfuggire (come dimostra la presenza della definizione errata quanto diffusa di “Inno al Sole” invece di “Inno del Sole” per il noto brano dell'Iris di Mascagni); tuttavia non si può non sussultare quando in un intero paragrafo – quello relativo all'Alcesti di Giovanni Salviucci – si parla di “incestuosa eroina di Euripide […] tra inconsapevole peccato e purezza redentrice”, si legge di un “sacrificio della passione” e di una protagonista “consapevole di aver trasgredito una legge universale”. Tali riferimenti all'incarnazione stessa delle virtù della più perfetta e devota delle spose avrebbero dovuto ben fermarsi fra le maglie di qualche rilettura e revisione poiché traccia di un eventuale tradimento del mito da parte di Salviucci non si trova e se così fosse sarebbe stato da precisarsi: afferma Aristotele nella Poetica (1453b) “non si possono mutare i miti tradizionali […] e il compito del poeta è quello di trovare questi miti così come sono tramandati e di sapersene servire bene.”
L'inciampo spiace tanto più in quanto va a incrinare il giudizio positivo per un lavoro che, a dispetto della delicatezza del tema, riesce a essere insieme approfondito e godibile.
Uno studio sull'epoca più buia della nostra storia, quella in cui tutti i nodi irrisolti dei decenni – e secoli – precedenti sono venuti al pettine e si sono consolidati e originati i germi di tutti i nostri mali a venire fino a oggi, non può prescindere dall'oggettività di un dato: esiste una parte giusta e una parte sbagliata. Possiamo dibattere sulle ragioni di vincitori e vinti nelle guerre Puniche, nella guerra dei Cent'anni, nella guerra Franco-prussiana, non nella Seconda guerra mondiale: per la prima volta nella storia si mettono in campo principi etici e sociali che non possono essere discussi. E tuttavia, queste vicende furono agite da uomini, con le loro debolezze e con le loro virtù, uomini ai quali non sempre si poteva chiedere lungimiranza o eroismo, o nettezza incrollabile nelle posizioni, o identità fra la statura artistica, la coscienza politica, il coraggio e l'integrità morale. Vi sono casi in cui il peccatore può trovare non piena assoluzione ma una forma di comprensione o di analisi che mai si potrà concedere al più atroce dei peccati, difficile è però esporli in un'equilibrata disanima. Non per nulla l'Italia non è mai riuscita a far del tutto la pace con la sua storia, non è riuscita ad affermare, come in altri Paesi, un antifascismo radicato e condiviso nella società civile e in ogni schieramento politico come innato e doveroso; una tabe strettamente legata alla difficoltà di un'analisi critica, anche dura ma terapeutica, di quell'epoca.
Alessandro Zignani ha studiato approfonditamente e appassionatamente l'argomento, riuscendo nell'obbiettivo di evitarne le innumerevoli insidie: è sempre chiaro, clamorosamente chiaro che il torto siede in trono fra le anime del Regime e della sua ideologia, inequivocabilmente opposto alle ragioni dell'Antifascismo come il Cattivo e il Buon Governo con i relativi effetti negli affreschi senesi di Ambrogio Lorenzetti. Parimenti si esplorano tutte le modalità in cui gli uomini, segnatamente intellettuali e musicisti si sono mossi, in diverse zone d'ombra e scale di grigio, fra questi poli. La comprensione delle dinamiche sociali e psicologiche non si fa mai condiscendenza, anzi talvolta raggiunge punte di durezza anche verso figure poi redente nell'Italia del dopoguerra (penso a Croce o Montanelli). Casi esemplari di musicisti, disgrazie e fortune, opportunismi, trasformismi, persecuzioni, ritiri, drammi e tragicommedie si accompagnano in descrizioni minuziose all'analisi dell'evoluzione stilistica degli autori e delle caratteristiche di alcuni lavori esemplari. L'imbarazzo per un periodo così delicato (chi di noi non ha un ascendente che in qualche modo, da una parte o dall'altra, non sia stato segnato dai fatti del Ventennio?), imbarazzo che troppo spesso si è tradotto in un oblio pernicioso, spazio insidiosamente libero per revisionismi e ignoranti ricorsi nostalgici, è evitato con uno sguardo schietto e disincantato: quel che ci voleva.
Lo Zignani scrittore ha verve, poi, e la sua prosa ha un sapore d'altri tempi, creativo sanguigno ed esuberante, che dopotutto si confà al tema e rende plausibili, con il suo ritmo personalissimo, anche ardite concatenazioni di punteggiatura, anche una gestione formale non sempre omogenea nel trattamento dei titoli, delle maiuscole, di corsivi e virgolette, fra cui l'impeto oratorio più asiano che atticista sempre talora recare un po' di scompiglio. Di certo non si fa mistero nemmeno delle personali simpatie e antipatie dell'autore, che potranno essere discusse (Puccini non sembra andargli troppo a genio, per non parlare poi di Mascagni, soprattutto sembra avere in uggia molto del secondo Novecento musicale italiano), ma hanno il pregio della franchezza. Tutto è evidente, nulla è insinuato: fatti, opinioni, sensazioni sono retoricamente compatte, ma contenutisticamente distinte, sicché la lettura si fa a tratti gustosa, il rapporto fra lettore e autore sempre onesto e passibile di riflessione critica. Riflessione ormai necessaria perché la ferita, raffreddato l'immediato choc post traumatico, possa essere definitivamente curata, emendata da cancrene e recrudescenze, cicatrizzata e guarita.