di Andrea R. G. Pedrotti
G. Mahler
Caro collega
lettere a compositori, direttori d'orchestra, intendenti teatrali
ISBN 9788842820635
Il Saggiatore, 2017
È più unico che raro provare una sorta di emozione, quasi di commozione, scrivere delle parole di una mente tanto grande. Un uomo, soltanto un uomo, che non fu mai in grado di raccontare appieno se stesso e la grandezza del suo intelletto, poiché nessun linguaggio codificato in una lingua “con esercito e marina” (per usare un’appropriata espressione del linguista Max Weinreich), ma un linguaggio universale, non imbrigliato nei canoni di una comprensione che debba passare da un apprendimento scolastico. Gustav Mahler seppe, tuttavia, veicolare la dirompente intensità e profondità del suo pensiero attraverso la musica, il più etereo, intangibile e immediato fra gli atti linguistici.
Una nevrosi ossessiva si palesa in molte parti degli scritti del musicista; la grafia, fra latino e tedesco, non è sempre uniforme, le singole eguali parole sono scritte in modo differente, come ci ricorda l’introduzione al testo. La precisione diviene sovente verbosa, l’attesa dei riscontri impaziente, la vitalità dirompente, come la grandiosità della mente di un uomo che non si sente compreso (e probabilmente non lo era), per una velocità di pensiero, evidente nello stile epistolare, fuori dal comune, se non unica.
Il testo è diviso in capitoli, ognuno dei quali racconta, nella successione cronologica, la vita di Gustav Mahler. Un uomo alla continua, ossessiva, ricerca della pace e della tranquillità che non raggiungerà mai. Un uomo che conosceva e comprendeva perfettamente un mondo che non faceva altrettanto con lui: non lo contrastava, ma cercava con caparbietà di convivere con esso serenamente, nella continua ricerca di una soluzione della cui irraggiungibilità era ben conscio. Lo fece per tutta la vita. Nonostante le sue vicissitudini, compresa la conversione al cattolicesimo, la sua forma mentis era e sarebbe rimasta per sempre profondamente ebraica, un inno alla vita in tutto, anche nella morte, poiché la cessazione dell’esistenza di un uomo come lui sarebbe stata la fine di un mondo (lui stesso), ma molti altri mondi, uguali e diversi fra loro (gli altri individui), avrebbero potuto continuare a esistere anche grazie a ciò che Mahler stava trasmettendo, senza l’arroganza di voler insegnare nulla a nessuno. Gustav Mahler cercava un’opportunità per trasmettere il suo pensiero, che nemmeno egli stesso poteva quantificare per grandezza. Questo è il suo percorso di vita, raccontato nelle lettere che soleva iniziare con l’intestazione “Verehrter Herr College!” (Caro collega!) e seguire spesso con introduzioni d’una cordialità e premura quasi ridondanti. Come a esprimere il timore di disturbare il proprio interlocutore, una gran serie di contrizioni per alcune frasi dette (in questo caso scritte) con fin troppa frenesia. Una dolcezza continua, intrisa d’umiltà commovente.
Significativo un passaggio della missiva che Mahler scrisse all’amico Alexander von Zemlinsky nel marzo 1908: rivolgendosi a lui e a Schönberg, conclude “[…] Per oggi, soltanto i più cordiali saluti a Lei e a Schönberg nella furia dell’ozio [...]”. Questo dopo essersi scusato di non aver fatto ancora rappresentare un’opera dell’amico e, successivamente (tutto in poche righe), essersi lagnato di non aver ricevuto più notizie (ma invitando a non inviargliene perché sarebbe stato nuovamente a Vienna a giorni) e, da ultimo, aver raccontato la sua giornata. Questo era uno dei suoi momenti di pausa.
Una delle parti più significative dell’epistolario (che racchiude tutte le duecentotretasette lettere di Mahler) è quella relativa l’esecuzione della sua ottava sinfonia. Una sinfonia unica, che anche per Mahler aveva certamente un significato speciale [Approfondisci ]; nella scrittura diviene sistematico, scientifico pronto a raccontare un inno a se stesso e alla vita. Un racconto, in realtà, di intima maestosità, suddiviso in due parti dedicate rispettivamente al padre e, la più estesa, alla madre. L’intero lavoro è dedicato alla moglie Alma, che egli ricorda spesso nelle lettere e che amava con profonda, inconfessata intensità. Un omaggio non solo alla sposa, ma un inno la potenza della donna, generatrice e ispiratrice dell’uomo, guida che non ha necessità d’un’altra guida. Anche questo in un’ottica profondamente ebraica: l’uomo ha bisogno della mano di Dio sul capo, la donna no. Pare, perciò, bello chiudere con un commento riassuntivo dell’Ottava che fece Alma stessa nella sua autobiografia, poco dopo che Mahler le ebbe annunciato (di notte, svegliandola) l'intenzione di dedicarle la partitura. Alma Mahler scrisse: “[…] i flussi e la grande musica di quest’uomo hanno percorso il mio corpo metafisico! […] Il pubblico intuì una fatalità vicina e comprese improvvisamente Gustav Mahler. Quando comparve tutti si alzarono in piedi silenziosamente. Fu un omaggio commovente, che non gli era mai stato tributato prima. Sedevo nel mio palco, emozionata quasi al punto di perdere i sensi.” Accadde a Monaco di Baviera il 12 settembre 1910.
Ultimo documento epistolare è un telegramma in cui Mahler, nel marzo 1911, al termine della tormentata esperienza negli Stati Uniti, scrive a Eugen Frankfurter: “...non sono purtroppo nelle condizioni di accettare l’invito del direttore Volkner, perché a maggio mi è stato imposto di stare a riposo.” Il riposo: la condizione meno naturale per Gustav Mahler, che sarebbe morto a Vienna pochi mesi dopo.
Questo testo, di cui si consiglia un’attenta lettura agli appassionati di musica e non solo, è stato curato da Franz Willnauer, mentre la traduzione italiana è di Silvia Albesano.