di Roberta Pedrotti
G. Rossini
Amici e Rivali
arie, duetti e terzetti da Il barbiere di Siviglia, Ricciardo e Zoraide, La donna del lago, Elisabetta regina d'Inghilterra, Otello, Le siège de Corinthe, Armida.
tenori Michael Spyres, Lawrence Brownlee, Xabier Anduaga
mezzosoprano Tara Erraught
direttore Corrado Rovaris
orchestra I virtuosi italiani
registrazione effettuata nell'estate 2019 al Teatro Ristori di Verona
CD Erato 2020, 0190295269470 (disponibile dal 13 novembre 2020)
Domenico Barbaja, colui che portò il ventitreenne Rossini a Napoli, non aveva un fiuto geniale solo in materia di compositori: al San Carlo il Pesarese trovò una delle migliori compagnie possibili, i cui cardini erano la primadonna Isabella Colbran e due tenori, Giovanni David (e, prima di lui, Manuel Garcia) e Andrea Nozzari. Ciò non comportava solo uno straordinario potenziale in termini strettamente vocali e musicali, ma anche esplosive combinazioni teatrali nella combinazione di personalità potenti sotto ogni punto di vista. La primadonna può trovare in un'altra voce femminile un'antagonista (Matilde, Andromaca o Zomira) o un amante (corrisposto come Malcolm o fraterno come Calbo), il primo tenore potrà essere uno soltanto (Paolo Erisso e Osiride, seguiti a distanza da Condulmiero e Aronne, o Rinaldo, circondato da una corte fittissima di secondi e terzi tenori), ma lo schema cambia di poco e si propagherà fino al debutto nell'opera francese, quando in Le siège de Corinthe si rielabora Maometto II mantenendo il ruolo paterno tenorile (là Erisso, qui Cléomène) e trasferendo nella stessa corda, ma in tessitura più acuta, anche il generale cristiano innamorato (là Calbo, qui Néoclès), sulla scena due generazioni di artisti - Luis Nourrit e il celeberrimo figlio Adolphe - a ripetere il contrasto fra baritenore e contraltino codificato da Nozzari e David.
Trovare una coppia di tenori è una chiave fondamentale per render giustizia a buona parte del repertorio rossiniano, lo conferma bene l'elettrizzante propulsione maschile della Rossini Renaissance negli anni '80, quando da un lato Samuel Ramey rilanciava alla ribalta Assur e Maometto, dall'altro Rockwell Blake e Chris Merritt davano fuoco alle polveri come Giacomo V e Rodrigo di Dhu, Norfolk e Leicester, Oreste e Pilade, Otello e Rodrigo, Ilo e Antenore. Sulle loro orme si sono affacciati Bruce Ford, Gregory Kunde, William Matteuzzi e via via le generazioni successive fino all'attuale, fra pallidi emuli, strade alternative e nuove personalità. E proprio un passaggio di testimone con tempi e temperamenti diversi è quello che segnano qui Lawrence Brownlee e Michael Spyres, che ci riportano all'ebrezza delle sfide tenorili con uno spirito nuovo e non lasciano cadere il cammino rossiniano intrapreso dai grandi pionieri né se ne fanno meri imitatori.
Amici e rivali, sintetizza il titolo e sul piano drammaturgico abbraccia tutto uno spettro di rapporti che va dalla rivalità scoperta di Otello e Rodrigo o Giacomo/Uberto e Rodrigo di Dhu a situazioni più ambigue, come le mentite amicizie di Norfolk e Iago o il travestimento di Ricciardo che finge di assecondare le brame di Agorante verso Zoraide. Oppure, ancora, la confidenza sincera fra Ricciardo ed Ernesto, la lealtà di Carlo e Ubaldo che riportano Rinaldo sulla retta via, l'alleanza fra il governatore Cléomène e l'ufficiale Néoclès, suocero tirannico e genero comprensivo nei confronti dell'afflitta Pamyra. Non si tratta, insomma, di rappresentare incandescenti sfide virtuosistiche, quanto di declinarle in uno spettro psicologico tutt'altro che stereotipato.
Semplificando si può forse dire che il baritenore, il "ruolo Nozzari" sia quello dell'antagonista? Decisamente no, tant'è vero che il suo primo personaggio rossiniano è il buon Leicester vittima di un amore proibito e delle trame di un falso amico ma sempre fedele alla regina Elisabetta. O che Otello e Rinaldo (per rimanere al programma di questo CD) sono stati creati da Nozzari. Perfino Agorante, il re nubiano che è a tutti gli effetti il cattivo della situazione, nel duetto con Ricciardo appare comunque come uomo innamorato che chiede aiuto a un possibile alleato e viene ingannato: provate ad ascoltare l'ansia trepidante con cui incalza "Dille che m'ami", "Spiegale le mie pene" e la melliflua condiscendenza con cui Ricciardo rassicura "Che t'ami dirò", "Le pene spiegherò".
Spyres assume tutte le parti scritte per Nozzari, compresa la derivazione francese di Paolo Erisso, il Cléomène tenuto a battesimo da Nourrit père. Il dominio, l'estensione e l'ampiezza del registro grave è sempre impressionante, soprattutto per la disinvoltura con cui Spyres non solo affonda in profondità, ma nuota pure agile negli abissi, fraseggia, articola, colora come se si trovasse in qualunque altra zona del pentagramma. Potrà essere la virilità dell'eroe, la tenebra del dubbio o della disperazione, il vigore dell'antagonista che si muove nell'ombra o sfida spavaldo, c'è sempre un senso nella scrittura rossiniana che trova espressione nel canto di Spyres. Anzi, trova esaltazione proprio in quel gusto spericolato che non è una riedizione di quello degli anni '80 ma ne rievoca il brivido, il concetto di un teatro musicale realizzato anche nella sublimazione degli estremi, nella traduzione belcantista di ogni sfumatura psicologica e drammatica.
Lawrence Brownlee domina le tessiture contraltine concepite per Giovanni David e per l'haute-contre (tenore acutissimo francese) Adolphe Nourrit, ma non ha problemi nell'affrontare anche le pagine di tessitura centrale scritte per Manuel Garcia. In ogni caso, non manca la fresca duttilità dell'articolazione, il testo è sempre articolato con chiarezza e intenzione, soppesando gli accenti per un altro ventaglio di personaggi tutt'altro che schematici. Il suo Ricciardo si presenta amoroso ma deciso nella sortita "S'ella m'è ognor fedele", variando la ripresa di "Qual sarà mai la gioia" con garbata originalità e sognante trasporto; quando poi si tratta di ingannare lo scalpitante Spyres/Agorante si mostra mellifluo e manipolatore. Non è da meno quale Norfolk, quasi sfacciato nel rassicurare Leicester della sua (falsa) amicizia sfruttando l'apparente schiettezza di una svettante luminosità. La regalità di Uberto/Giacomo V nella Donna del lago appare incrinata nella sua autorevolezza, offuscata dal travestimento e ferita dalla delusione amorosa, ma senza che la statura del personaggio e la sua nobiltà ne risultino scalfite: si percepisce, bensì tensione nervosa più che solennità nella consegna dell'anello. Nondimeno, il suo Rodrigo arriva alla sfida con Otello senza dimenticare di aver cantato, un paio di scene prima, "Ah, come mai non senti", sicché la scena non appare come un duello a suon d'acuti, ma come lo scontro disperato di due uomini disperati che credono entrambi - a torto o a ragione - d'aver di fronte il rivale fortunato. Infine, l'unico brano solistico del programma - pur in continuità con il recitativo e il terzetto seguenti - è l'insidiosissima aria di Néoclès "Grand Dieu faut-il qu'un peuple qui t'adore", in cui Brownlee ribadisce la sua sicurezza nell'infilare Do scoperti in una pagina tanto tesa e frastagliata.
Due primi tenori, abbiamo detto, sono fra i cardini della compagnia a disposizione di Rossini a Napoli, ma spesso se ne trova un altro, secondo di rango seppur anche terzo di numero. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di Giuseppe Ciccimarra, creatore di Iago, Carlo, Aronne, Ernesto, Pilade e Condulmiero. Qui ne raccoglie il testimone Xabier Anduaga, terzo fra cotanto senno e giustamente non relegato a mero pertichino. Fra le voci più interessanti di oggi, già vincitore del concorso Operalia e adottato dal Rossini Opera Festival e da Donizetti Opera, il giovanissimo basco ritorna al personaggio che a Pesaro lasciò tutti a bocca aperta mentre duettava con Juan Diego Florez: Ernesto in Ricciardo e Zoraide, fiero punto di riferimento per gli slanci avventurosi espressi qui da Brownlee. Da amico si trasforma anche lui in rivale, seppur occulto, con uno Iago imperscrutabile, gelido, determinato eppure così pacato da rendere credibile l'inganno in cui cade Otello, alla cui disperazione guarda con distacco compiaciuto. Nel terzetto di Armida si realizza una bella combinazione di timbri diversi con l'ampiezza caleidoscopica di Spyres, il colore svettante e il leggero vibrato di Brownlee, la vocazione lirica di Anduaga. Così, l'apoteosi tenorile del risveglio guerriero di Rinaldo spronato dai compagni d'armi è, giustamente, anche l'elettrizzante apoteosi finale del programma.
Ovviamente, però, se i tenori si sfidano, non può mancare la primadonna, e Tara Erraught fa egregiamente le veci della Colbran nei panni di Elena e Desdemona nel terzetto della Donna del lago (a proposito, peccato che una pagina così travolgente, in assenza del coro, si debba chiudere a "Misere mie pupille", che tecnicamente sarebbe proprio il tempo d'attacco, con la stretta finale in "Vendetta accendimi") e in quello di Otello. Mezzosoprano acuto di bella musicalità, non ha comunque difficoltà a intervenire nel terzetto da Le siège de Corinthe, nato con il soprano Laura Cinti-Damoreau per quanto derivato dalla pagina omologa di Maometto II con la Colbran.
Amici o rivali, o rivali camuffati da amici questi tenori che si incontrano nell'opera seria (soprattutto) napoletana di Rossini. Ma poiché la sana rivalità esiste anche fuore dalla finzione scenica fra musicisti senza che questi cessino di essere amici, fra tanti drammi si può anche giocare. Giocare con un'opera buffa e un duetto di sagace complicità, anche se non fra tenori. In apertura di programma Brownlee e Spyres vestono i panni del conte d'Almaviva e di Figaro in "All'idea di quel metallo". Si divertono, è ovvio, ma lo fanno seriamente senza prendersi sul serio, come è giusto che sia in ogni buon gioco. Brownlee, è vero, gioca in casa, canta la sua parte e lo fa benissimo; viceversa Spyres scompiglia le carte e riesce convincente proprio perché non si spaccia per baritono, ma da baritenore utilizza semplicemente la propria estensione (e nell'estremo grave è più scuro di tanti baritoni), la propria musicalità, la propria arguzia d'accento. Insomma, non "fa finta di" ma fa qualcosa che è palesemente fuori dall'ordinario e che qui funziona dannatamente bene. Non credo che gli salterà mai in mente di cantare una parte baritonale per intero né tantomeno in teatro, non credo che si prenda sul serio come baritono, ma semplicemente che sia un artista entusiasta che ama sperimentare e osare con la propria voce senza forzarla troppo - altrimenti sarebbe già sparito dalla circolazione. E fate attenzione a come pronuncia anche solo l'attacco "all'idea..." o come resta presente sotto le volute di Almaviva con i suoi "delle monete il suon già sento": il gioco funziona perché non c'è una semicroma o una pausa presa sottogamba, ma è il gioco di chi la musica la ama. Storicamente, en passant, si potrà anche ricordare che Nozzari stesso - chissà se e con quali accomodi - cantò la parte di Don Giovanni e quella di Fernando nella Gazza ladra.
Ottimo complice è sul podio dei Virtuosi Italiani Corrado Rovaris, bacchetta agile, mordente, leggera e incalzante dove occorre, rossiniano di vaglia. Anche per questo, ascoltando il CD, l'unico problema è che ci si ingolosisce troppo, più si ascolta più se ne vorrebbe... Alla fine ci si stupisce che l'ascolto sfiori per pochi secondi gli ottanta minuti, perché sembra scorrere in un istante e lascia il desiderio di sentire anche quei recitativi assenti per ovvie ragioni di tempo, o magari di avere le opere complete con questi cantanti. Perché per fortuna i grandi belcantisti non mancano, senza dimenticare i capostipiti, ma nemmeno rimpingendoli come prefiche inconsolabili senza vedere l'eredità che altre generazioni hanno raccolto e fatto proprie.