di Roberta Pedrotti
G. Rossini
Riens
prima parte
pianoforte Richard Barker
CD Illiria, 2020
Si definiva pianista di quart'ordine, ma a giudicare dalle sue composizioni non si direbbe. Semmai, un pianista controcorrente che, non cavalcando la carriera di concertista ma dedicandosi alla tastiera privatamente, non si cura troppo del virtuosismo, né si prende molto sul serio. Eppure, la sua scrittura è raffinatissima, sa avvicinarsi a Liszt e a Chopin, ma anche mantenere la giusta distanza, guardarli di sottecchi dimostrandosi non da meno per soluzioni melodiche, armoniche, metriche e tecniche e tuttavia disincantato, ironico, smaccatamente antiromantico nell'uso spregiudicato che fa anche di suggestioni e moduli romantici.
La scrittura rossiniana è anche fortemente idiomatica. Lo si avverte subito quando si ascoltano strumenti d'epoca, è perfino eclatante quanto lo strumento è, come in questo caso, un Pleyel in tutto e per tutto simile a quello posseduto dal compositore a Parigi. Un pianoforte - quello preferito anche da Chopin - dal suono morbido, sfumato, cantabile, che abbiamo già avuto modo di apprezzare in due precedenti recital incisi dal tenore Maxim Mironov per Illiria e dedicati a Bellini e Rossini. Allo strumento sedeva in entrambi i casi Richard Barker, che ritroviamo adesso per la prima dozzina di Quelques riens pour album, dodicesimo volume dei Péchés de vieillesse. Non un pianista di quart'ordine (tutt'altro!) come non lo era Rossini, ma come Rossini un pianista che non si è dedicato alla carriera di solista e concertista, caratteristica che si trasforma, per questa sua prima incisione in tale veste, in un valore aggiunto forse, ma non troppo, sorprendente. Il timbro del Pleyel di Rossini è, si potrebbe dire, più vocale che strumentale, tende più al melos che alla trascendenza, e il senso del fraseggio, del suono, del colore di chi lavora da una vita in teatro, come preparatore e accompagnatore di cantanti riesce a penetrare e valorizzare con particolare finezza questa peculiarità. Per di più questi Riens, queste paginette apparentemente evanescenti, ricche di spunti inafferrabili che quasi evaporano ammiccando all'ascolto dopo aver lanciato l'amo di una bella melodia patetica o di un'armonia insolita, questi piccoli e immensi nulla giocano proprio su idee condivise con pagine vocali. Ne sono esempi evidentissimi il terzo Rien affine alla Regata veneziana o il quarto, "Andante sostenuto - allegretto - primo tempo", che varia un soggetto comune all'aria da camera Le sylvain e quindi ricamando nella sezione centrale approda al tema del coretto femminile "Mandare a morte quella meschina" da Matilde di Shabran (l'unica pagina in modo minore dell'intera opera). Richard Barker fu il coordinatore della preparazione musicale e il maestro al cembalo per la mitica prima edizione pesarese di Matilde, quella del debutto eclatante di Juan Diego Florez, e la familiarità profonda e antica con quella musica, i suoi percorsi teatrali, le sue reminiscenze e astrazioni salottiere riemerge in un gusto tutto rossiniano di sorrisi enigmatici. E quel sorriso, quella metamorfosi continua fra canto, teatro e strumento si ravvisa anche nel dotto omaggio bachiano del sesto Rien, in cui pure le fughe sfuggono letteralmente di mano e si trasformano nel melos più schietto, in un pathos ancora una volta - e stavolta attraverso lo scalpitare del contrappunto che ciclicamente riaffiora - messo in discussione dalla scienza e dall'ironia (anche amara o nostalgica).
L'ironia, però, bisogna saperla usare. Il fatto che Rossini faccia mostra di non prendersi sul serio e non prenda sul serio il pathos romantico e l'esaltazione virtuosistica, non significa che la sua non sia musica serissima. Anzi. È musica tremendamente ricca di ombre, richiami, inganni, illusioni, livelli di lettura, intelligente e inquietante nel suo prendere, assimilare, amplificare e ribaltare, nel programmatico spazio di un Nulla, tutto un mondo estetico e poetico. La voce diretta per cui Rossini scrisse, quella stessa meccanica che restituisce idealmente il principio del "cantar che nell'anima si sente" può rendere con maggior evidenza questa profondità funambolica e il tocco di un pianista che da sempre vive in simbiosi proprio con quel "cantar che nell'anima si sente" può riportarlo nella tastiera non solo con la tecnica, ma anche con la consapevolezza e la sensibilità necessarie. L'immensità, anche spaventosa, del Nulla, insomma, trova la sua dimensione proprio nel respiro che le è proprio, il respiro dell'ideale eternamente vagheggiato da Rossini e mille volte mascherato, destrutturato, ricombinato, ma mai rinnegato. Nell'immensità del Nulla il pianoforte canta senza smettere d'essere strumento, senza dover cercare il senso palese e circoscritto della parola e, oltre alle qualità tecniche, proprio la consuetudine di Richard Barker con la musica legata alla parola, con lo strumento che si unisce alla voce umana è, in questo CD, la chiave per comprendere il carattere specifico e vertiginoso della scrittura di Rossini per pianoforte solo.
Non si può che essere grati a Illiria per proposte tanto preziose.