di Roberta Pedrotti
Chanson d'amour
musiche di Fauré, Debussy, Ravel e Poulenc
soprano Sabine Devieilhe
pianoforte Alexandre Tharaud
registrazione effettuata nel marzo 2019 a Berlino
CD Erato 0190295224271, 2020
Sembra musica fatta appena appena di niente. Parole sottili e sospese fra le note sottili e sospese del pianoforte, piccole melodie che si manifestano in frammenti, anche freneticamente affastellati, come nel freneticao, furioso inno a Parigi dei versi del surrealista Aragon musicati da Poulenc nel 1943. Eppure, il niente può fare la differenza, è nell'elusione, nel gioco di vuoti e spazi da (forse) riempire che vivono le mélodie e le chanson francesi.
Nell'affrontare queste pagine di Fauré, Poulenc, Ravel e Debussy, a Sabine Devieilhe va senz'altro il merito di aver saputo lavorare di sottrazione, senza scarnificare il canto, ma assottigliandolo, giostrando la trasparenza del timbro ora in un'arcata melodica rarefatta, evanescente ma sempre ben percepibile, ora nella definizione netta di un essenziale recitar cantando.
Un esempio di questo rapporto fra fonema, intonazione e senso è costituito dall'attenzione posta alla pronuncia. Questione non da poco, anche per una madrelingua: il francese in prosa, per esempio, non si pronuncia come il francese in versi e l'alessandrino classico impone regole differenti da quelle quotidiane; così il francese cantato non corrisponde a quello parlato, tantomeno in prosa, per esempio nella pronuncia della R. È vero che una moda recente estende al canto non solo leggero l'uso del rotacismo del parlato, ma questo non giova all'emissione e al legato dell'impostazione lirica. Sabine Devieilhe ne è consapevole, sa che la poesia soffusa di queste pagine sarebbe indebitamente indurita dagli spigoli della R “francese”, che riserva però alle più tarde pagine surrealiste di Poulenc, dove in effetti sta benissimo, suona graffiante e ammicca al mondo extracolto cui fanno evidente riferimento i brani. E se una punta di disperazione, fra sofferenza e desiderio di rivalsa, traspare in queste Banalité, l'altra faccia della medaglia (con R “italiana”) del canto di Poulenc nella Parigi occupata dai nazisti è l'apparente, dolce disimpegno della cullante “Les chemins de l'amour” a tempo di walzer per la pièce Leocadia di Jean Anouilh, parole d'amore in cui s'insinua evidente un contesto di generale annichilimento.
Arriva, dunque, alla Seconda guerra mondiale il percorso di Sabine Devieilhe nel segno della chanson francese, ma si risale fino a ridosso della battaglia di Sedan (settembre 1870), a quella guerra franco prussiana che fa precipitare la grandeur imperiale di Napoleone III, scatena la rivolta della Comune e la reazione borghese nazionalista della terza Repubblica, quella che condannò Dreyfus. È il tempo di Fauré, il cui cesello metrico e ritmico fa delle sue miniature poetiche un punto di riferimento per Debussy e la sua continua elaborazione, con soluzioni sempre più ardite, del rapporto fra musica e poesia e per Ravel e le sue preziose suggestioni esotiche e armoniche. Da Prudhomme a Verlaine, da Apollinaire ad Aragon, la scelta dei testi segue le strade della poesia francese dai parnassiani ai simbolisti ai surrealisti, ma tutte queste linee sotirche e cronologiche si intrecciano nell'ordine delle tracce, come a suggerire libere associazioni, legami, riferimenti e contrasti. D'altra parte quel nulla di cui sono fatte le mélodie francesi è un nulla solo apparente, uno spazio non vuoto da riempire, ma solo rarefatto e invisibile da percepire. In questa dimensione, l'accordo fra Sabine Devieilhe con il pianista Alexandre Tharaud mette bene in rilievo la sostanza del suono sottile, della scrittura essenziale ed elusiva, fa apprezzare l'importanza del metro e del ritmo, tutt'altro che secondari sia che rimangano in filigrana sia che trascinino il pezzo con berceuse o barcarole avvolgenti o con più incalzanti impeti, che si muovano in percorsi sorprendenti e irregolari o che giochino con forme familiari e popolari. Proprio la pulsazione di un suono sottile può, allora, diventare anche colore, se la voce e il tocco pianistico rispondono uniti al moto perpetuo degli accenti con un fluire si sfumature anche dinamiche che si delineano proprio in un accuratissimo lavoro di sottrazione.
Sembra fatta di niente, la chanson francese, ma la semplicità e l'essenza volatile sono conquiste, punti d'arrivo del processo creativo e punti di partenza di un processo interpretativo infinito. Sembra niente, ed è moto perpetuo.