di Roberta Pedrotti
A. Bruckner
sinfonie n. 3, 4, 6, 7, 8, 9
direttore Mariss Jansons
Symphonieorchester der Bayerische Rundfunks
registrazioni dal vivo effettuate dal 2005 al 2017 alla Philharmonie im Gasteig di Monaco di Baviera e al Musikverein di Vienna
6 CD BR Klassik 900718, 2020
Le registrazioni delle sinfonie di Bruckner con la BRSO raccolte fra il 2005 e il 2017 compongono un'integrale interrotta: Mariss Jansons morirà prima di poter aggiungere al ciclo la programmata Quinta sinfonia, prima di prevedere i concerti con la Prima, la Seconda o la numero zero. Anche Bruckner lascia incompito il suo corpus sinfonico, non si azzarda a numerare l'effettivo primo cimento se non con quell'emblematico zero, tabula rasa, punto di partenza dal nulla, ma quando giunge a quella che considera la Nona (e tecnicamente potrebbe essere la decima) nemmeno lui, come poi Mahler, varca il confine posto da Beethoven. Muore prima di completare il quarto movimento. Entrambi, Bruckner e Jansons, finiscono con percorsi cronologici diversi per fermarsi a quell'Adagio Langsam, feierlich, lento e solenne.
Così, sospeso, si conclude il tormentatissimo processo creativo di Anton Bruckner, che da buon cattolico credeva nella realizzazione della promessa del Messia, nell'alfa e nell'omega, ma inseguì l'ideale annullando, riscrivendo, revisionando, dibattendosi fra il fascino di Wagner e il rigore di Brahms – se mai la sua posizione e i due poli possono essere così semplificati in maniera manichea – ed esprimendosi con un trattamento tematico quantomai travagliato, come se uno slancio vitale, un'invenzione melodica non potessero mai liberamente dipanarsi, dialogare, esporsi, svilupparsi, riprendersi, variarsi. Rendersi conto, con il senno di più di un secolo dopo, quanti frammenti bruckneriani tornino serenamente trionfanti nella musica per il cinema, per esempio, amplifica tragicamente ai nostri occhi il rovello con cui, invece, il compositore austriaco li incuneava nel discorso. Potevano essere temi semplici, d'effetti, empatici ed eroici, ma sono resi grandi proprio nella crisi che invece vivono.
E qui Bruckner e Jansons si incontrano, perché il maestro lettone riempie i vuoti, iscrive, con una cura quantomai maniacale del dettaglio sonoro, il frammento in grandiose architetture. Ma non cancella il dolore, la ricerca, anzi, con spirito critico e problematico mostra la cattedrale e la sua fabbrica, coglie il senso interno in un'illuminante coesione, ma pure esprime la tensione continua, l'ampiezza del pensiero, l'anelito al rigore e al lirismo. Rende quasi tangibile, proprio nel perfezionismo del legato, delle articolazioni, degli archi dinamici, dell'eloquenza metrica e ritmica d'impressionante varietà e vividezza, un senso di continua ricerca che permea l'intera opera bruckneriana come l'intera esperienza artistica di Jansons.
Si raccoglie una lunga tradizione – la BRSO vanta un'antica e nobile frequentazione bruckneriana fin dagli esordi con Eugen Jochum – ma non ci si adagia su di essa, se ne proietta il patrimonio in una ricerca inesauribile, come inesauribile era il perfezionismo di Jansons, un perfezionismo non estenuante e fine a se stesso, perché sempre inquadrato in una dedizione totale alla musica, nella capacità di convogliare l'analisi in uno sguardo sintetico ed empatico per cui alla fine, a chi ascolta, tutto appare naturale, illuminato come non era mai stato.
L'integrale delle sinfonie di Bruckner di Mariss Jansons con la Symphonieorchester der Bayerische Rundfunks si ferma qui: la terza, la quarta e poi dalla sesta ai tre movimenti della nona. Ma, forse, come fosse una Segrada Familla, è giusto così, che non si veda la fine, l'alfa e l'omega, che non arrivi il Messia ma si continui a cercarlo e a discuterne. Forse è meglio così, perché così è l'arte, non perfezione raggiunta ma cammino di scoperta. O almeno, dato che il maestro non c'è più, ci piace crederlo, anche se lui stesso, di concerto in concerto, avrebbe continuato a interpretare e progettare senza dire “arrestati, sei bello”.