di Roberta Pedrotti
J.A.Hasse
Enea in Caonia
Remigio, Ascioti, Lupinacci, Molinari, Albelo
direttore Stefano Montanari
Enea Barock Orchestra
registrazione effettuata a Roma nel settembre 20219
CD cpo 555 334-2, 2020
Dietro a questo cofanetto c'è una storia di ricerca, entusiasmo, collaborazione fra musicisti e musicologi giovani, preparati, appassionati. Cosa possiamo chiedere di più per ribadire che più si conosce più si affinano tecniche e competenze, più si può comprendere e quindi anche godere cogliendo i migliori frutti del lavoro. In questo caso una riscoperta che merita tanto entusiasmo e tanta dedizione, Enea in Caonia di Johann Adolf Hasse su libretto di Luigi Maria Stampiglia che aggiorna quello del padre Silvio, primo fautore dell'Arcadia.
Il ventottenne Sassone, emergente nei suoi primi cimenti romani e partenopei, partecipa con questa Serenata in due parti alle celebrazioni per la visita della principessa Violante di Baviera a Napoli, nel 1727. Poi, l'oblio, e la ricerca di Giovanni Andrea Sechi che recupera il testo e indaga sul contesto, specie sugli ignoti interpreti principali fra i quali – ci informano le belle ed esaustive note di copertina firmate da Raffaele Mellace – si potrebbe verosimilmente trovare Giovanni Carestini, il castrato Cusanino di lì a poco rivale di Farinelli.
Il soggetto è esile, come ci si aspetta dalla forma della Serenata, di proporzioni ridotte rispetto all'opera e sostanzialmente priva di azione e apparati scenici. Enea, dopo l'incendio di Troia, approda in Caonia (l'Epiro), dove incontra il cugino Eleno, salito al trono e unitosi alla vedova cognata Andromaca dopo la caduta di Pirro. Mentre il troiano Niso cerca invano di amoreggiare con la compatriota Ilia, già felicemente stanziata in Caonia al seguito di Eleno, il figlio di Priamo dà prova delle sue doti profetiche e predice sia la futura fondazione e la grandezza di Roma, sia la visita a Napoli di Violante con il nipote Clemente Augusto, vescovo elettore di Colonia. L'intreccio conta poco, contano i contenuti etici e politici, la metafora e l'affetto con cui è delineata, più che un'azione, una situazione. La chiarezza arcadica dei versi di Stampiglia, junior e senior, trova sotto questo profilo perfetta rispondenza nel nuovo stile che con Hasse si va affermando: alleggerimento della scrittura, ricerca di semplicità e immediatezza, di un equilibrio raffinato e di un controllo delle passioni, che si sublimano nell'ideale bellezza del canto. Ecco allora che l'incontro fra gli esuli offre occasione di conforto e dolce nostalgia, non di drammatiche rievocazioni, tanto che pure i due luoghi deputati al dolore e ad affetti più cupi – l'aria di Andromaca sul sepolcro di Ettore “Spargo rami di fiori di fiori e di mirti” e quella di Enea in memoria di Creusa “Spesso viene tormentosa” – rappresentano alla luce della ragione la rassegnazione di un lutto elaborato e l'agitazione di una ferita ancor fresca. Il canto mosso e dolente, mai smisurato, di Enea evoca l'affetto che deve risolversi nella pace emblematica di Andromaca. Di contro, l'idillio incompiuto fra il sospirante Niso e la fiera Ilia non è tanto un diversivo, quanto un altro monito etico sia per il contegno rispettoso dell'amante rifiutato, sia per la nobiltà d'animo dell'amata che difende non solo la propria condizione virginale, ma anche e soprattutto la dignità del suo stato di umile cacciatrice. Non a caso una delle arie più importanti della Serenata, “È vero che son povera” collocata alla fine della prima parte, è proprio la rivendicazione di un'esistenza semplice e onesta libera da ogni effimera ambizione. Per estensione e complessità, le si possono paragonare solo “Le memorande imprese”, culmine della profezia di Eleno, e “Dai segni del tuo viso” rivolta dallo stesso Eleno proprio allo spasimante Niso, come a evidenziare che, al di là dell'encomio politico agli illustri ospiti, messaggio portante dell'Enea in Caonia sia una retorica dei sentimenti, il loro controllo e il loro equilibrio di fronte a un principio etico. Non per nulla la caratteristica principale di Enea è, da Virgilio, la pietas, termine che oggi si usa storpiare come equivalente di pietà, quando invece indica la dedizione (foss'anche spietata, come nel caso dell'abbandono di Didone) al dovere, sia verso gli dei e la patria, sia verso un imperativo morale. Ecco, dunque, che Enea e Niso scelgono di partire per seguire il proprio fato, così come Ilia, Andromaca ed Eleno restano obbedienti al loro. Ecco, dunque, che le due parti della Serenata si sviluppano parallele elevandosi via via fra arie sempre più ampie e complesse, sapientemente alternate nei loro affetti, nelle loro definizioni ritmiche e patetiche, nell'abile retorica della varietà che rende così allettante lo stile di Hasse. Stefano Montanari, poi, possiede esattamente la verve per sbalzare i metri e le agogiche della partitura (si ascolti la meraviglia della giga “Saper tu vuoi perché”), ma non se ne fa travolgere e anima la sua concertazione di una vitalità perfettamente iscritta nei luminosi e nobili equilibri dell'Arcadia secondo Hasse. Nondimeno, guida con sicurezza una compagnia d'estrazione eterogenea ma capace di piegare le proprie qualità nel disegno comune: l'eclettismo consapevole di Carmela Remigio (splendida Ilia) non è una sorpresa, mentre colpisce in Celso Albelo la metamorfosi dall'eloquenza belcantista ottocentesca ai galanti ardori di Niso, cui presta una franca partecipazione ben contenuta nelle esigenze del contesto arcadico. Francesca Ascioti al merito d'essere una delle principali promotrici dell'iniziativa aggiunge quello di un canto nobile e, nella giusta misura, accorato. Raffaella Lupinacci anima a femminilità serena e matura di Andromaca e Paola Valentina Molinari si inerpica nelle asperità di Eleno con tecnica sicura e musicalità sopraffina. Tutti condividono un porgere spontaneo e franco del testo, chiaro della pronuncia, efficace nell'eloquenza.
Un bell'ascolto che corona un'operazione artistica e culturale di tutto rispetto.