di Roberta Pedrotti
G. Rossini
Scene, arie e duetti da Torvaldo e Dorliska, La cenerentola, La gazza ladra, Il signor Bruschino, Semiramide, L'inganno felice, Guillaume Tell
baritono Giorgio Caoduro
con Fabio Maria Capitanucci (baritono), Cecilia Molinari (mezzosoprano), Anna Viola (soprano), Alessandro Cortello (Don Ramiro)
Brno Janáček Opera Chorus
Virtuosi Brunenses
direttore Jacopo Brusa
CD Glossa GCD 923525 / LC 00690, 2021
Guarda anche: Video, Intervista a Giorgio Caoduro
Poche cose devono essere prese sul serio come la commedia; la macchietta la uccide, l'umanità la esalta. Come ricorda la lezione di Alessandro Corbelli, non bisogna pensare a far ridere, ma a rendere il personaggio e la situazione. Così, Falstaff, Don Pasquale, L'elisir d'amore, Le nozze di Figaro, Così fan tutte sono capolavori perché complesse, ricche di ombre, ambiguità, malinconie, commedie, sì, ma non buffonerie. Quando, però, si parla di Rossini il discorso si ingarbuglia, perché non si tratta (solo) di ombreggiare l'opera buffa e renderla più profonda, si tratta anche di astrarla a livelli alienanti, di sfumare il confine dell'opera seria, dove pure fanno capolino distacco, straniamento, ironia, meccanismi simili, soluzioni speculari. Questioni delicatissime perché la soluzione è in quel che l'autore ha scritto, ma bisogna saperlo leggere, capire il senso di certe figurazioni fittissime – astratte e significative – e rendere la drammaticità estrema come la comicità irresistibile. Ne abbiamo un perfetto campionario dell'album che Giorgio Caoduro dedica al baritono virtuoso rossiniano: due foschi tiranni perdono speranze e potere e scivolano nella follia, un bieco cortigiano riconosce la donna che credeva d'aver ucciso anni prima, un ricco borghese riflette sulle ambizioni umane, un cameriere si finge principe, un mendicante si svela filosofo benefattore, un padre riceve la notizia dell'arresto per furto della figlia con possibile condanna a morte, un altro padre raccomanda fermezza al figlio di fronte a una prova estrema, un innamorato acceso da sentimenti eroici. In ogni caso le articolazioni virtuosistiche non sono abbaglianti fuochi d'artificio, ma parte integrante – e complessa, si parla di accenti, appoggiature, note ribattute con precise scansioni metriche e ritmiche – della linea melodica, amplificazione quando non sottotesto della parola. E la parola è ciò che deve emergere senza caricarsi troppo, come dimostra la cavatina di Dandini, che non indugia in frizzi e lazzi, ma nell'ingenua ostentazione del popolano che vuol farsi credere nobile. Basti sentire come Caoduro suggerisce un “volando leggiuera” per capire che quella galanteria leziosa è quella del parvenu che indossa in frac all'ora di pranzo e alza il mignolo nel prender la tazzina di caffè. Ecco perché Dandini è comico e umoristico in senso pirandelliano: perché non vuole farci ridere, vuole sembrare un vero principe e quando dice “Io recito da grande e grande essendo grandi le ho da sparar” ci crede davvero. Peraltro, se Batone (L'inganno felice), il Duca (Torvaldo e Dorliska) e Assur (Semiramide), rispettivamente in una farsa e un'opera semiserie e in un'opera sera, si trovano in una situazione in cui perdono ogni certezza e vedono svelati i loro delitti, la coloratura esprime una precarietà psicologica, un disorientamento, benché per i due personaggi nobili non manchi, con la schiettezza, anche una grandezza tragica. Insomma, cantare non basta, è chiaro, per cantare Rossini. E non si tratta solo di coloratura, come si comprende bene, sempre mutatis mutandis fuori da ogni stereotipo espressivo, nell'introspezione attonita di “Deh, ti ferma, ti placa, perdona” o di “Sois immobile”, nell'ispirazione mistica o amorosa di “Là del ciel” o “Da te lungi o mio tesoro”, sezione centrale di “Alle voci della gloria” (chi ricorda, a proposito, le focose diatribe musicologiche che animavano il Rof vent'anni fa per l'introduzione di quest'aria da concerto nella Scala di seta e in Adelaide di Borgogna?).
La questione stilistica e interpretativa non ci fa dimenticare quella della classificazione vocale ma la pone nella luce che merita. “The art of virtuoso baritone” si dice di un tempo in cui, in effetti, il termine baritono non si usava e al più si distinguevano bassi cantanti o profondi, buffi pure cantanti o parlanti. È, però, il momento storico in cui si prepara l'affermazione di quello che oggi noi chiamiamo baritono, categoria a cui Caoduro appartiene senz'ombra di dubbio per come l'intendiamo oggi. Ma quel che più conta, al di là della smania positivista di etichettare laringi e corde vocali, è che si trovi a proprio agio in queste pagine, in gran parte ma non nella totalità concepite per Filippo Galli, un basso che era stato tenore (ma chissà come dobbiamo interpretare questa evoluzione, pare dovuta a questioni di salute, nel contesto di due secoli fa!). La voce è ben timbrata, sale con facilità all'acuto sia nella coloratura sia nel legato, mantiene colore e saldezza credibili anche nelle discese più gravi. Insomma, comunque fossero abituati a chiamare gli interpreti su cui erano modellate queste parti al tempo di Rossini, quello che oggi chiamiamo baritono, padrone del virtuosismo, con al sua arte le rende con tutta l'eloquenza musicale e teatrale che si conviene.
Apprezziamo, infine, la volontà di non sacrificare i pertichini nel recital solistico. Anzi, abbiamo perfino un duetto, “Un segreto d'importanza”, con il Don Magnifico di Fabio Maria Capitanucci. Cecilia Molinari canta Angelina e Tisbe, Anna Viola Clorinda, Alessandro Cortello Don Ramiro; il coro è lo Brno Janáček Opera Chorus, di casa al festival rossiniano di Wildbad come l'orchestra dei Virtuosi Brunenses, qui diretti da Jacopo Brusa.