di Roberta Pedrotti
G. Rossini
Le siège de Corinthe
Regazzo, Cullagh, Spyres, Sala, Lécroart
direttore Jean-Luc Tingaud
Bad Wildbad, 18, 20, 23 luglio 2010
2 CD Naxos 8.660329-30
Si fa presto a dire Le siège de Corinthe, soprattutto se anche per l'appassionato fervente, che non sia un sofisticato rossiniano devoto alla causa musicologica, l'opera si identifica troppo facilmente con quell'Assedio di Corinto in italiano che, agli albori della Renaissance e ben lungi dalla riscoperta di Maometto II, ne rese noti titolo, soggetto e musiche in esecuzioni memorabili per voci e, spesso, bacchette.
L'assedio di Corinto cantato dalla Sills, dalla Tebaldi, dalla Verrett, però, non era altro che una collazione di materiali tratti da Maometto II e da Le siège de Corinthe su versi italiani e ad usum (favoloso) di vari divi e primedonne.
Nondimeno, se è (dovrebbe essere) chiaro che Le siège de Corinthe nasce da una rielaborazione di Maometto II e che le due opere sono tuttavia ben distinte fra loro, definire sic et simpliciter i confini di queste due versioni non è affatto semplice e immediato facendo riferimento solo all'origine napoletana e a un'ipotetica, univoca meta parigina.
Maometto II, dopo un debutto infelice a Napoli nel 1820, ritentò la fortuna a Venezia nel 1822, dove Rossini di lì a meno di due anni avrebbe dato, con la medesima compagnia, Semiramide. Non solo, in questo caso, si ritenne opportuno coronare la vittoria dei veneti sui turchi evitando il sacrificio di una nobile fanciulla veneziana, ma oltre al lieto fine che includeva la ripresa del rondò dalla Donna del lago, altre, più interessanti e feconde, furono le varianti. Innanzitutto si normalizzò la struttura abnorme del Terzettone del primo atto, scisso in un quartetto tratto da Bianca e Falliero e in un terzetto. Si inserì una sinfonia, si affidò il ruolo di Condulmiero a una voce quantomeno baritenorile (le fonti non traspongono le parti tenorili originali di Maometto II né la linea di basso assunta dal quartetto di Bianca e Falliero, ma il primo interprete sarebbe poi stato Oroe in Semiramide e la parte di Condulmiero nell'introduzione del Siège è ereditata da basso Hièros: è quindi evidente che si provvide a trasporti pe runa voce grave durante le prove), si aggiustò qualche passaggio per la nuova compagnia e le nuove esigenze sceniche, si rivide la metrica della stretta del finale primo e si riscrisse il terzetto sepolcrale dell'atto secondo. Oltre a questi, vi sono, poi, alcuni punti fondamentali: l'inserimento, in luogo della cavatina di Anna, del coro delle donne proveniente da Ermione e la rielaborazione del duetto fra Anna e Maometto, con l'intervento del coro e l'assorbimento dell'azione della scena successiva che, con l'aria “All'invito generoso”, è qui soppressa.
La semplificazione del Terzettone, l'inserimento del coro femminile e l'ampliamento del duetto del secondo atto tornano quando Rossini si accinge a trasformare per Parigi le vicende di Maometto II in Negroponte in quelle che portarono alla conquista di Corinto, con chiaro riferimento alla scottante attualità della guerra d'indipendenza greca.
Il Maometto veneziano è senza dubbio una tappa fondamentale nel percorso verso il Siège, tuttavia sviluppato, su soggetto quasi identico e con la maggior parte della musica in comune, con tempi, spazi, carattere e drammaturgia peculiari e distinti. La gestazione vera e propria dello stesso Siège comporta delle varianti fra le fonti che un'edizione critica non ha ancora contribuito a dirimere. Prova ne è che la prima, e finora unica, produzione pesarese del Siège de Corinthe andò in scena nel 2000 secondo una “versione preparatoria dell'edizione critica basata sulla fonte Troupenas”. Prova ne è che questo disco, registrato nel 2010 nell'ambito del festival Rossini in Wildbad, presenta legittimamente una lezione alternativa.
Di fronte alla spasmodica attesa del nuovo titolo rossiniano, il primo a debuttare nel tempio dell'opera francese e basato su un soggetto così attuale, l'editore Troupenas si attivò prestissimo per la stampa delle riduzione per canto e piano. Così, lo spartito, al contrario della partitura pubblicata in seguito, non tiene conto delle revisioni e dei tagli apportati nel corso delle prove. Viene così considerato una fonte fondamentale, ma non priva di errori e controversie che in sede di edizione critica dovranno essere emendati e approfonditi con l'apporto di altro materiale che non sia quello a stampa dei Troupenas.
Wildbad segue, abbiamo detto, una strada alternativa rispetto all'attenzione prestata a Pesaro alla prima pubblicazione degli editori esclusivi del Rossini francese e propone una revisione a cura di Jean-Luc Tingaud e di Florian Bauer concentrata soprattutto sul materiale riconducibile a quanto effettivamente si sarebbe eseguito la sera del debutto, il 9 ottobre 1826. La struttura generale differisce, dunque, dallo spartito canto e piano ma non dalla partitura Troupenas, fatto salvo il ricorso dichiarato alle parti originali utilizzate per la prima.
Al di là, comunque, della genesi di un'edizione critica di cui siamo ancora in attesa, con eguale legittimità a Wildbad ascoltiamo, in definitiva, la ballade “L'hymen lui donne une couronne” posta a metà del secondo atto, fra il duetto e i ballabili, mentre a Pesaro era collocata in apertura d'atto, e, soprattutto, la cavatina di Maometto orbata del cantabile (“Sorgete, in sì bel giorno”/ “La gloire et la fortune”) con un passaggio repentino dal recitativo alla cabaletta (“Duce di tanti eroi”/ “Chef d'un peuple indomptable”) che al Rof si preferì evitare, conservando la forma completa della sortita in attesa di chiarimenti filologici. Resta poi la questione dei ballabili stessi, i più colpiti dai tagli all'esordio, che Bruno Cagli ipotizza essere stati in origine composti da cinque Airs de ballet, di cui due soli eseguiti a Wildbad, escludendo quindi il Galop recuperato da Elizabeth Bartlet (unico altro numero di danza finora noto e disponibile).
Il percorso musicologico è ancora lungo e, come si vede, non può tendere a una meta univoca, ma contempla una costellazione di varianti di cui tener conto. La conoscenza di un'opera come Le siège de Corinthe (e Maometto II) si conferma con il tempo affare complesso e affascinante, per il quale ogni tassello del mosaico, per quanto eterogeneo, delle esecuzioni filologicamente impegnate è prezioso.
Ma prezioso è, in qualunque forma, sempre l'ascolto di un tale capolavoro, che, considerato in tutta autonomia rispetto al Maometto II, rivela nelle sue originali, per quanto vaghe, sembianze francesi una statura tragica autonoma e peculiare, erede sia della tradizione napoletana sia della tragédie lyrique, nonché prossima al nascente grand opéra.
Il CD registrato nella Foresta Nera si avvale soprattutto della presenza di Michael Spyres nei panni di Néoclès. L'accento è quello giusto, nobile e virile, neoclassicamente tornito e romanticamente ardente, la tensione all'acuto della parte concepita per un haute-contre colto come Nourrit è resa con slancio teatralissimo e stile forbito che nulla concede al tenorismo muscolare, ma pure non lascia delusi gli amanti della vocalità. Il gusto per le risonanze baritonali nel registro grave crea, poi, sapidi contrasti sempre funzionali al dramma e alla rievocazione contemporanea del sapore del canto primottocentesco.
Anche Lorenzo Regazzo sfoggia una padronanza rifinitissma di lingua, stile e vocalità, delineando con la giusta autorità un Mahomet tanto a fuoco nel virtuosismo quanto ben ponderato nel fraseggio e nell'accento. Il timbro è forse più quello del condottiero che dell'amante, ma quel retrogusto altero e fin minaccioso anche nelle frasi più delicate non dispiace e conferisce, anzi, un'appropriata ambiguità al personaggio.
Chi non convince affatto è Majella Cullagh come Pamyra, che eredita una parte composta per le risonanze mezzosopranili e tragiche di Isabella Colbran rivisitandole per la vocalità schiettamente sopranile e più leggera di Laura Cinti Damerau. Meno virtuosistica, se non per la cabaletta “Mais après une longue orage” (mutuata e addomesticata da quella di Calbo “E d'un trono alla speranza”), ma altrettanto impegnata in una declamazione e in un'articolazione da autentica tragédienne, Pamyra si mostra scoglio troppo arduo per i mezzi e la personalità della Cullagh, che ha voce aspra e nasaleggiate, decisamente spigolosa e sgraziata nel cantabile come nella coloratura, troppo tesa nell'acuto, povera di colori quanto generica nell'espressione e nella musicalità. Non si può dire che non sia, infatti, stilisticamente corretta, ma il suo canto manca di intima vibrazione, di naturale compenetrazione con un linguaggio che pare solo deligentemente compitato ai limiti della leziosaggine.
Convince, invece, il Cléomène di Marc Sala, solenne come si conviene a un nobile tenore erede dei padri e dei sovrani settecenteschi. Matthieu Lécroart, Hiéros, rende bene l'aria del terzo atto, ma è penalizzato dalla moda moderna di cantare in francese arrotando le R come nel parlato, pratica saggiamente rifuggita dai grandi cantanti lirici francofoni del tempo che fu e che è invalsa poi, vuoi per influenza di artiste non liriche come la Baker e la Piaf, vuoi, forse, per la vana illusione di una miglior declamazione.
Il resto del cast è efficace, con la scelta di una vocalità mezzosopranile più sensuale e conturbante per la Ballade di Ismène (Silvia Beltrami), di un tenore (Gustavo Quaresma Ramos) per la parte anfibia quanto breve di Adraste e del baritono Marco Filippo Romano per Omar.
Tingaud, dopo aver sudato sulle carte filologiche, sale sul podio e conduce l'opera con tempi spediti ma non frenetici, respiro e solennità dove occorrano, piglio tragico e drammatico ben dosato, appassionata sensibilità per il testo. Coro e orchestra lo seguono con apprezzabile dedizione e buoni risultati complessivi.
Le note di Mathias Brzoska sono solo in inglese e tedesco, ben scritte e stimolanti per quanto riguarda i rapporti di Rossini con l'ambiente francese e, soprattutto, con l'Olympie di Spontini. Tuttavia si sente la viva mancanza di un approfondimento in merito alla questione delle scelte filologiche e delle fonti utilizzate, che avrebbero meritato maggiori elementi di valutazione della semplice formula “Revision of the original edition and the parts of first performance by Jean Luc Tingaud. New edition for Rossini in Wildbad by Florian Bauer”.