di Roberta Pedrotti
L. de Freitas Branco
Musica da camera
A. Bidoli, violino, Alain Meunier, violoncello, Bruno Canino, pianoforte
CD Sony 19439995992, 2022
Sarà già la copertina, che con quel panorama di Lisbona fa subito pensare a Saramago con l'eroico tarlo del racconto La sedia o a Sostiene Pereira di Tabucchi, ma ascoltando questo CD sono molti i pensieri che si concatenano intorno a quelli che, nell'essere tasselli importanti della storia della musica portoghese, raccontano anche l'altra Storia. In un'epoca in cui la polarizzazione delle posizioni banalizza ogni ragionamento, si rischia di perdere il fondamentale distinguo fra quello che è il sano, vitale dibattito fra destra e sinistra, fra diverse visioni dell'economia e del ruolo dello stato,e, viceversa, il valore necessario e indiscutibile dell'antifascismo, che dovrebbe essere condiviso senza riserve da tutti in quella che vorremmo definire una moderna democrazia. Di una cultura che per essere libera non deve necessariamente essere militante, le basta essere. Fra queste considerazioni si insinua la vicenda della figura discreta, distinta, nobiluomo davvero d'altri tempi e intellettuale di sinceri sentimenti patriottici, del portoghese Luis de Freitas Branco (1890-1955). La sua mancanza di condiscendenza nei confronti di Salazar, così come la sua apertura artistica senza ottusi nazionalismi, gli costò l'isolamento, l'esclusione da incarichi pubblici con motivi ai nostri occhi risibili (una cravatta rossastra indossata nel giorno della morte del presidente Carmona – uno dei capi militari del colpo di stato del 1926 –, una battuta anticlericale, l'accusa di intrattenere una relazione con una dipendente del Conservatorio), ben più comprensibili se si pensa al tenore tragicamente attuale di alcune sue dichiarazioni contro “un simile periodo […], quando teatro, politica, giornali e chiesa cospirano per l'immobilismo e non favoriscono quanto esuli dalla peggiore banalità”.
Quest'uomo, Luis de Freitas Branco, non era un politico, non era un sovversivo, un rivoluzionario. Era semplicemente un musicista: insegnava, ricercava (a lui si deve la riscoperta di Celos aun del aere matan, la prima opera spagnola di cui si abbia traccia, del 1660, con libretto di Pedro Calderon de la Barca e musica di Juan Hidalgo de Polanco), scriveva parole come critico e musicologo, scriveva note come compositore. Senza essere stato un eroe, ma solo per non aver lusingato il regime, rimase emarginato e fu riscoperto dopo la Rivoluzione dei garofani del 1974. Oggi vale sempre la pena di riascoltarlo e prendiamo in mano con piacere il cofanetto Sony dedicato ad alcuni suoi lavori da camera, pagine giovanili, scritte fra i diciotto e i vent'anni, e una sonata più matura, del 1928. Il bel progetto che ha riunito generazioni diverse (il violinista Alessio Bidoli, classe 1986, il pianista Bruno Canino, 1935, e il violoncellista Alain Meunier, 1942) presenta la prima fase della produzione di Freitas Branco con il Trio del 1908, la prima Sonata per violino dello stesso anno e il Prélude per violino e piano del 1910. Si tratta di pezzi affabili all'ascolto, per la distesa cantabilità che li pervade, per lo sfumato lirismo dipanato con vena fresca e felice, tuttavia non si deve cadere nell'inganno di considerarli pezzi semplici, esercizi giovanili: semmai si tratta di sperimentazioni esplorative in cui il compositore evita le forme classiche e i riferimenti accademici concentrandosi, semmai, sulle potenzialità dell'armonia tardoromantica, delle sue aperture ed elusioni impressioniste. Il carattere intimo, alcune soluzioni che sanno di saudade e temperamento lusitano non nascondono uno sguardo volto con decisione anche al presente e al recente passato della musica francese e austrotedesca. Questa stessa unione fra attualità e intimità si riscontra nello stile più maturo della seconda Sonata, in cui l'evoluzione è aggiornata ai nuovi orizzonti, la frase si fa a tratti più spigolosa, il discorso più inquieto, l'impianto armonico più arcaizzante ed esotico che aperto ed evanescente, mentre permangono sottopelle i ripiegamenti più lirici, la fascinazione per la scuola francese di un musicista per il quale l'esser portoghese doveva significare essere anche europeo. Gli interpreti rendono giustizia con bella sintonia e pathos sentito al giovane compositore emergente come a quello già ai margini in un paese soffocato dal regime, che sembra quasi scrivere soprattutto per sé, riservato, sincero e pensoso. Le note di copertina di Franco Pulcini sono ben scritte, esaurienti e scorrevoli, degno completamento di un bel progetto discografico.