Delirio
G. Donizetti, V. Bellini
scene da Lucia di Lammermoor, Linda di Chamounix, Emilia di Liverpool, I puritani, La sonnambula
soprano Jessica Pratt
mezzosoprano Ana Victoria Pitts, tenore Dave Monaco, baritono Jungmin Kim, basso Adriano Gramigni
direttore Riccardo Frizza
orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Tancredi records 198025604096, 2023
All'Ottocento la logica metastasiana non basta più, la lezione di Don Alfonso in Così fan tutte (“Fortunato l'uom che […] fra i casi e le vicende da ragion guidar si fa”) ha perso la sua efficacia e non persuade i giovani dell'era romantica e borghese, gli eredi della Rivoluzione francese e dell'avventura napoleonica posti di fronte a restaurazioni, nuove strutture sociali, nuove rivolte. Da tante tensioni e contraddizioni la follia è, almeno nell'arte, una via di fuga. Géricault dipinge ritratti di alienati, in teatro la scena di pazzia, dal modello sentimentale della Nina di Paisiello, si trasforma rispetto alle tradizioni barocche e le simulazioni comiche, diventando via via un topos serissimo. Sono soprattutto le donne a impazzire sulle scene, portavoce di costrizioni e convenzioni non più sostenibili. Come Euripide fece delle sue eroine l'espressione emblematica della crisi della sua epoca, quella dei figli degli eroi di Maratona, così l'opera affida al delirio della primadonna il disagio di una generazione pronta a nuove clamorose rotture.
La scena di pazzia, con le sue esigenze estreme in termini non solo virtuosistici, ma anche attoriali e interpretativi, è, insomma, la consacrazione della primadonna, che non solo sfodera le sue qualità migliori fra acuti, trilli e colorature, ma deve anche padroneggiare continui cambi di colore ed accento, aspri declamati e sognanti frasi cantabili, oltre a un ben calibrato gioco scenico. Non stupisce, allora, che sia al Delirio che Jessica Pratt consacra il debutto della sua casa discografica Tancredi (una vera diva non può che autoprodursi in libertà) e si concede anche il lusso non più scontato di un prodotto distribuito in italiano e in inglese, quando ormai si tende a risparmiare perfino sulle traduzioni all'interno di un unico cofanetto. Impegnarsi così per la produzione non solo di tracce da diffondere nella varie piattaforme, ma anche dell'oggetto fisico oggi potrebbe sembrare un'altra, piccola follia. Ed è la benvenuta.
Il programma verte su alcuni cavalli di battaglia del soprano australiano, ormai italiano per residenza, famiglia e consuetudine artistica. Non può mancare la pazzia di Lucia di Lammermoor, né “Ah rendetemi la speme” dai Puritani, né il sonnambulismo di Amina, che forse non sarà una vera e propria pazzia ma è comunque un'astrazione dalla realtà scatenata da un trauma insopportabile. Se queste sono state le opere rivelatrici di Jessica Pratt e le prime chiavi del suo successo, non si può trascurare la sua predilezione per Linda di Chamounix, tanto che “Oh luce di quest'anima” è un vero morceau favori dei suoi recital. Linda, però, è molto altro e qui Pratt propone giustamente una pagina di peso ben maggiore e meno frequentata in sede discografica o concertistica, la scena che culmina nello straniato valzer “Ah non è ver, mentirono”. Da un Donizetti giovanile (1824) e semiserio viene invece la sortita della delirante Emilia di Liverpool, in cui l'eco di Paisiello e del linguaggio rossiniano sono ben vivi, ma pronti pure a riplasmarsi in una continua evoluzione.
Proprio fra l'omogeneità di autori e stile (tre pazzie di Donizetti e due di Bellini) e la varietà di situazioni e caratteri si misura la prova di Jessica Pratt.
Il programma si apre con Lucia e la voce del soprano appare subito spettrale, diafana, quasi vetrosa a tratti nell'accordarsi alle sonorità della Glassharmonica che l'accompagna (solista Sascha Reckert). La grande scena, riproposta nella tonalità originale di Fa maggiore, è subito pervasa da atmosfere allucinate, da bagliori opalescenti fra ombre cupe, con un canto impalpabile che incarna tutta la fragilità della mente, che non è fragilità vocale. Il principio fondante del belcanto, l'espressione attraverso la musica, resta intatto e si conferma semmai proprio nel controllo del colore e dello spessore in relazione al dramma.
Se un appunto a questa Pazzia di Lucia si può fare è nella scelta della cadenza tradizionale affermatasi dopo la morte di Donizetti: il contesto sarebbe stato viceversa ideale per dare spazio alla fantasia della cantante così come richiesto – sempre nel rispetto dello stile – dall'autore.
Per rimanere nelle pagine più frequentate in disco e sala da concerto, la scena di Elvira dal secondo atto dei Puritani mostra proprio un'attenta ricerca del colore, qui ammantato di morbida nostalgia e di fresca sensualità; là dove Miss Ashton doveva muoversi fra repentini cambi di registro, declamati e abbandoni melodici, coloratura astratta, accenti altamente drammatici e quasi anodini, la giovane Valton dà al languore della melodia sfumature di dolore e passione. Ancor più, però, si nota la scelta di differenziare l'emissione dei passi virtuosistici della cabaletta, che in questo Bellini si sgranano con piccolo colpi di glottide che ricordano l'esempio di Cristina Deutekom. Una via, sembra ricordarci, ma non certo l'unica fra le strade che il Belcanto può proporre di esplorare a fini espressivi.
Difatti, la semplice Amina della Sonnambula è caratterizzata da un'emissione sempre legata e dallo slancio verso sovracuti filati, che restano – con i trilli emessi con morbida disinvoltura a tutte le altezze – una delle qualità distintive di Jessica Pratt. Semmai, anzi, spesso in teatro verrebbe da suggerire un uso più parco di puntature e variazioni agli estremi vertici del pentagramma: non v'è dubbio che lassù Jessica Pratt si trovi benissimo, per cui non sarebbe nemmeno necessario dimostrarlo. Un'artista come lei non ha certo bisogno di strafare, giacché alla fine ciò che ci resta nel cuore e desta ammirazione non sono tanto i mi bemolle o i fa sovracuti profusi a piene mani, ma il gusto della parola limpidissima, l'articolazione pulita e sfumata, la capacità di dominare la voce nei colori e nelle intensità senza perdere il legato. Il valore delle note più spettacolari si misura proprio quando vengono inseriti con naturalezza e semplicità in questo discorso. La scena di pazzia di Linda di Chamounix, in tal senso, è un perfetto esempio di come l'andamento danzante della cabaletta, come un valzer allucinato, possa ospitare un sapiente gioco di variazioni in termini di virtuosismo e tessitura come di colore, rubati e dinamica. Nondimeno, la ripresa della cabaletta della Sonnambula aveva affascinato soprattutto per la delicatezza dell'attacco a mezzavoce.
Fra queste declinazioni del maturo belcanto di Donizetti e Bellini, il confronto con un'opera giovanile del bergamasco qual è Emilia di Liverpool permette di ascoltare un linguaggio ancora assai influenzato da Rossini (si avverte l'ombra della Zenobia di Aureliano in Palmira, già splendidamente cantata da Pratt, insieme con echi dalla Gazza ladra), con un presagio dall'Elisir d'amore. Il soprano australiano lo padroneggia appieno, con bella presenza vocale, franca rotondità d'emissione, accento appropriato e misura nella variazioni, saggiamente differenziate rispetto a opere successive.
La bacchetta di Riccardo Frizza conferma la sensibilità alle ragioni del canto in generale e di questo repertorio in particolare maturata con dedizione negli anni. L'eccellenza dei complessi del Maggio Fiorentino (sia lode al suo virtuoso impegno per progetti discografici che poi approdano anche nel programma concertistico della Fondazione) ribadisce come sottovalutare la resa strumentale e l'impasto corale in queste opere, pensando che tutto si risolva inchinandosi ai divi solisti, sarebbe peccato mortale. Qui l'alto profilo del progetto, infatti, è segnato non solo dal valore della primadonna, ma da tutte le forze in campo, compresi i cantanti cui sono affidati i pertichini e le sezioni di transizione giustamente conservati come parte integrante e irrinunciabile della forma musicale e drammatica: il mezzosoprano Ana Victoria Pitts, il tenore Dave Monaco, il baritono Jungmin Kim e il basso Adriano Gramigni. E, evviva, si pensa bene anche al saggio d'accompagnamento firmato da Fabrizio Della Seta, che non deve essere solo didascalia e agiografia, ma anche preziosa ulteriore gemma in un cofanetto che ci porta a credere che sia ancora possibile l'utopia di produzione discografica intelligente e di qualità fuori dalle solite nicchie specialistiche.
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