di Roberta Pedrotti
AA.VV.
Tutto Buffo
arie da Il matrimonio segreto, Don Giovanni, La cenerentola, Il barbiere di Siviglia, Il turco in Italia, Le convenienze e inconvenienze teatrali, L'elisir d'amore, Don Pasquale, Falstaff, Gianni Schicchi, Le maschere, Il cappello di paglia di Firenze
baritono Paolo Bordogna
direttore Francesco Lanzillotta
Orchestar Filarmonica Arturo Toscanini
CD Decca 481 1685, 2015
C'è un motivo se, ogni volta che la tv ripropone Il Re dei Re di Ray e I dieci comandamenti di De Mille, non mi è possibile non dedicare loro la mia attenzione. E non si tratta certo della narrazione hollywoodiana delle vicende di Mosé e Gesù, ma solo del potere di una voce, quella di Gino Cervi, che sostituisce nella versione italiana, come narratore, nel primo caso Orson Wells (doppiato anche in memorabili cimenti shakespeariani), nel secondo lo stesso regista.
Cervi fu un grandissimo attore, il cui unico torto potrebbe essere quello di aver dato vita ad alcuni personaggi (Maigret, Peppone, il Cardinale Lambertini…) con tale completezza e autorità da suggerire un'identificazione pressoché totale ed esclusiva – benché non si possano certo dire figure sovrapponibili e omologabili e la sua carriera sia stata ricchissima di grandi e varie interpretazioni al cinema, in teatro, televisione, in persona o solo in voce. Perché il grande attore non ha necessariamente bisogno di un grande testo, della gestualità e della mimica. Può incantare anche ripetendoti, come sa fare lui, per l'ennesima volta qualche fatto biblico noto e risaputo illustrato in un kolossal d'altri tempi.
Non è differente il caso del buffo, ovvero della tipologia di voce lirica per la quale l'aspetto attoriale sia più determinante, tanto da ammettere perfino un'ufficiale sottocategoria definita più parlante che cantante.
Di questa forma di recitar cantando, non meno sofisticata di quella del o della tragédien/ne, il disco può essere la più eloquente prova del nove, perché non c'è mimica, gesto, azione a supporto della nuda voce, mentre c'è la tentazione di supplire a questa nudità caricando oltre misura l'intenzione della parola. Paolo Bordogna non cade in tentazione e supera la prova del nove e la prova di Cervi confermandosi un grande attore capace di fare teatro con la voce e la parola, con la loro forza che sulla scena è tutt'uno con l'espressione fisica ma, proprio in virtù di questa simbiosi, non ha bisogno di calcare la mano al solo ascolto. Non deve compensare qualcosa che manca perché quel qualcosa, si veda o non si veda, ne è parte integrante e naturale.
Grande attore, abbiamo detto, e moderno per gusto, sensibilità, stile. Chiarissimo nell'articolazione della parola, padrone della prosodia in tutte le sue sfumature espressive; umano, cinico, accattivante, saggio o stolido, franco o cialtrone, sir, barone, servo o maschera. Sempre perfettamente caratterizzato senza vezzi, trucchi, macchiette, evidentemente più interessato a dar voce al personaggio di una commedia che non a divertire a tutti i costi, principio sacro della moderna arte del buffo ma cui è sempre arduo render giustizia a questi livelli.
La dimensione della parola, per il buffo, è ovviamente nella musica. Il buffo deve essere musicista in primo luogo perché solo comprendendo a fondo la scrittura dei capolavori dell'opera comica è possibile esplorarne ed esprimerne le potenzialità spesso veramente geniali, in secondo luogo perché la nostra sensibilità, rispetto anche solo a mezzo secolo fa, si è fatta molto più esigente da questo punto di vista e il rigore, superficialmente inteso, potrebbe trasformarsi in meccanicismo e sterilità. Errore esiziale, perché il buon musicista, proprio in virtù del suo rigore, padroneggia gli spazi di libertà dell'interprete e mette a profitto il segno scritto anche quando esige scrupolosa adesione. Anche in questo Bordogna si conferma artista eccellente, semplicemente perché come l'azione nella commedia, anche le note in partitura sono un tutt'uno con la parola recitata. L'ottimo accompagnamento dell'Orchestra Filarmonica Toscanini guidata da Francesco Lanzillotta, di suono francamente italiano e di ben calibrata misura espressiva, completa alla perfezione il quadro.
Francamente sulla carta l'idea di presentare una prima scena del Don Pasquale nella quale Bordogna interpretasse entrambi i ruoli (nella cavatina di Mamma Agata dalle Convenienze e inconvenienze teatrali le frasi del Maestro Biscroma sono invece appannaggio di Vittorio Prato) lasciava adito a qualche perplessità, ma il gioco è molto discreto, trattandosi in fin dei conti di due arie con brevissimi episodi di recitativo e tempo di mezzo, un divertissement che ribadisce le possibilità camaleontiche della misura attoriale dell'artista lombardo.
Parola, musica, recitazione. Si può forse scindere da questa triade così indissolubile un dato vocale autonomo e astratto? Non crediamo abbia molto senso; constatiamo invece che la voce di Bordogna sia un tutt'uno con le sue intenzioni d'artista e che l'incisione ne catturi e valorizzi come meglio non si potrebbe gli armonici. Il cantante che conosciamo resta inconfondibile in tutte le sue caratteristiche, ovviamente ben in primo piano come ci si aspetta da un recital solistico inciso con tutti i crismi dalla Decca (impressionante la qualità dell'ascolto diretto anche rispetto alla trasmissione degli stessi brani nel corso delle promozioni radiofoniche). Una tessitura grave come quella di Leporello è una relativa novità che in questo disco, corroborata da quell'arte del porgere il testo che già aveva fatto la fortuna di tanti baritoni nel ruolo, si afferma senza difficoltà, come del resto in ogni brano, siano essi i cavalli di battaglia affrontati tante volte in teatro, siano esse novità e rarità, o esperimenti circoscritti nel percorso del CD o anticipazioni di futuri debutti.
Siamo partiti da Gino Cervi, per il quale forse si sarebbe tentati di porre in primo piano il vantaggio di quel timbro caldo, affabile, suntuoso che avrebbe fatto e farebbe la felicità di qualsiasi basso o baritono, ma sarebbe una considerazione superficiale e fuorviante: cosa sarebbe la voce di Cervi senza l'arte di Cervi? Eccola lì la differenza: l'arte di porgere, di essere attori a tutto tondo anche quando ci si presenta solo con la nuda parola invisibile. Ecco perché il viaggio nel repertorio buffo di Bordogna funziona discograficamente, ecco perché Peppone, Maigret, il cardinale Lambertini lasciò il segno da par suo in oltre un centinaio di film e di continua ipnotizzare perfino narrando vicende risapute in un vecchio kolossal.