di Roberta Pedrotti
Beethoven, Mussorgskij, Wagner, Verdi
direttore Franco Ferrara
orchestre varie
1943-1945
CD allegato al volume Franco Ferrara: genio, dolore, ricerca
Costretto a rinunciare prematuramente a una carriera sul podio che si preannunciava delle più brillanti, Franco Ferrara, nato precocissimo enfant prodige del violino e del pianoforte, legò il suo nome alla didattica, crescendo nei suoi corsi un numero formidabile di bacchette di talento superiore o, comunque, saldo professionismo, e al cinema, per il quale concertò numerose colonne sonore, evitando, nel riparo delle sale d'incisione, quelle tensioni nervose alle quali, con ogni probabilità, si dovevano i malori che ne avevano troncato l'attività pubblica.
Conosciamo, dunque, soprattutto le sue letture di Nino Rota (Il gattopardo, per citarne una sola) o il Bruckner che accompagna Senso. Conosciamo alcune registrazioni operistiche per la Rai, per esempio, ma poco altro, soprattutto se si considera che Ferrara morì nel 1985 e avrebbe quindi vissuto proprio nell'età dell'oro e della massima espansione del mercato discografico.
Pertanto, è preziosa l'occasione di ascoltare le rarissime registrazioni proposte nel CD allegato al volume biografico edito da Rugginenti (leggi la recensione). Anzi, potrebbe essere questo, insieme con la documentazione proposta in appendice, il maggior motivo d'interesse della pubblicazione.
Il programma è, fortunatamente, piuttosto eterogeneo, per quanto tutto ottocentesco: l'Ottava sinfonia di Beethoven registrata nel 1945 con l'orchestra di Santa Cecilia; del 1943, con i complessi della Scala, Una notte sul Monte Calvo di Musorgskij e il Verdi della sinfonia dalla Forza del destino, dello stesso anno ma con il Maggio Fiorentino il Mormorio della foresta dal Siegfried wagneriano.
Fuor d'ogni stucchevole celebrazione e agiografia, l'incisione parla da sé. Poco importa se la qualità del suono non è ottimale, anzi, si potrebbe perfino dire che quel fruscìo, quella precarietà avvertibile soprattutto in Beethoven accresca il fascino dell'ascolto, quasi emerga come un reperto archeologico dal mondo perduto di una carriera agli albori. Si percepiscono le radici lontane di quel che sarebbe potuto essere e che il destino ha invece deviato verso altre strade.
Notevole è la plasticità del fraseggio, quella capacità di assimilare l'amata lezione toscaniniana di reverenza verso l'opera e l'autore al punto da esprimere una lettura perfettamente metabolizzata nella propria personalità. Chiara, fluida, imperiosa e mobile. Beethoven risuona grandioso ma non pesante; Musorgskij è incalzante, spiritato e pur cupo, barbarico a tratti; in Wagner si percepisce un autentico senso panico mediterraneo della natura, un'ampiezza e un lirismo che avrebbero incantato Nietzsche; Verdi risuona drammatico e sfumato come si conviene. Si avverte sempre una naturalezza anche dei tempi più spediti, che si plasmano e fluiscono in perfetto accordo fra pathos e ratio. Si avverte sempre la libertà dell'interprete che non travalica mai i confini dell'arbitrio, della gratuità, ma respira con una lettura profonda, sensibile, accurata della partitura e del suo ethos. C'è vigore, c'è nerbo, mai esibizione o effetto, nemmeno nei giochi dinamici e coloristici che s'intendono sempre gestiti con una perizia tecnica, un gusto, un istinto da autentico grande.
Il mito di Ferrara, si intende chiaramente, ha radici solide e profonde. Più d'ogni altra parola vale la concretezza dell'ascolto, ma se abbiamo perso la grande carriera di un grande musicista, abbiamo almeno potuto consolarci con l'inestimabile lascito della sua esperienza didattica.