di Roberta Pedrotti
Bach, Hindemith, Busoni
Livia Mazzanti, organo
organo Steinmeyer (1930) della Christuskirche di Roma
registrato tra giugno 2013 e febbraio 2014
CONTINUO, CR111, 2014
Organi dormienti non sono solo cattolici, per quanto in Italia la statistica giochi a indubbio vantaggio del papato ogniqualvolta si parli di chiese e liturgie. La Riforma, però, attecchì anche nel Bel Paese, e da noi si trovano tuttora – più rare, è vero – radicate comunità luterane, come quella che, a Roma, fa capo alla Christuskirche, edificata a partire dal 1910 e dotata vent'anni dopo di un organo Steinmeyer “a soli due manuali ma dall'impianto fonico interessantissimo”, afferma Livia Mazzanti nell'intervista d'accompagnamento al CD.
Ascoltandola suonare, e liberare la personalità dello strumento che più d'ogni altro può essere unico e creativo, non possiamo darle torto. Anche in disco riusciamo a percepire quella tavolozza timbrica e dinamica, quel gusto per la sperimentazione sonora che l'organo può esaltare, mentre il pianoforte ha conosciuto solo ai suoi albori, intorno all'era del fortepiano. È, naturalmente, una sperimentazione, un'esuberanza in potenza, calibrata da una misura rigorosa, che però non è quella sinfonicamente trionfale di certi strumenti trasudanti cattolico turgore sonoro. Questo è lo strumento di Bach, nato per armonizzare corali che l'assemblea dei fedeli potesse intonare collettivamente, ma anche per dipanare la bellezza e l'alta dottrina che finisce, inesorabilmente, per chiedere nell'esecuzione sacra non solo il fedele devoto, ma anche il musicista specializzato. È uno strumento che deve essere netto e preciso, possedere “equilibrio e trasparenza”, ma non certo per questo limitando i suoi mezzi.
Il suo essere novecentesco per versatilità ed eclettismo, distante quindi per un verso dall'ampiezza tardoromantica di altri strumenti, fa di quest'organo, affidato all'artista giusta, una voce perfetta non solo dell'anelito assoluto della musica di Bach, ma anche della sua anima barocca più cangiante, chiaroscurata, mondana, esuberante, perfino. E, viceversa, può essere lo specchio attraverso il quale il Kantor di Lipsia e i suoi posteri Hindemith e Busoni si osservano a vicenda. L'accostamento fra le Variazioni canoniche su Von Himmel hoch, da komm ich her, BWW 769 e i Sei corali di diverso stile (Corali Schübler), BWV 645-650 di Bach, la Sonata III su antichi canti popolari di Hindemith e il raro Preludio e Doppia Fuga sul corale, op. 7/76 di Busoni è quantomai felice, anche, e si direbbe proprio, in virtù dello strumento. I lavori novecenteschi di due autori tedeschi nell'arte se non entrambi nei natali, coevi e compatrioti, quindi, del nostro organo bavarese in felice villeggiatura romana, vivono in perfetta simbiosi con lo strumento: sembrano scritti per lui, sembra creato per loro. E devoti alfieri del culto di un Bach maestro delle avanguardie, non stupisce che nell'affinità con quest'organo rivelino anche la strada di un'altra magnifica affinità, quella fra lo stesso e l'opera di Johann Sebastian. Il fil rouge identitario è rafforzato, nell'intelligente programma del CD, dalla comune radice luterana di ogni pagina proposta: corali sacri e canti popolari, trattati però da Hindemith con metodo decisamente bachiano, e comunque indissolubilmente legati al medesimo humus sonoro e culturale.
Così, non solo Livia Mazzanti ci restituisce le architetture musicali erudite, l'intreccio di riferimenti ed elaborazioni dal materiale primigenio, più o meno popolare e sofisticato, profano o sacro, ma permette di guardare, attraverso il caleidoscopico microcosmo sonoro dell'organo, all'identità musicale luterana scoprendone sottigliezze rare, una vitalità, una joie de vivre, perfino, che dovrebbe essere, ed è, l'altra faccia della seria e compita medaglia d'ogni sacra composizione, solo declinata e sfumata secondo diverse teologie. Verrebbe da dire che l'invenzione dell'ebreo e cattolico Mahler, per tanti versi lontanissima, segua un percorso parallelo nel cantare, fra inquietudine e speranza, una vita celeste musicalmente più raffinata che mai fra gli umori e la fede schietta d'un carnevale contadino.