di Roberta Pedrotti
Maria Perrotta plays Chopin
registrato dal vivo al Piccolo Teatro "Giuseppe Borselli", Cento (FE), 1 giugno 2014
CD Decca 481 1851, 2015
Leggi la recensione del concerto di Maria Perrotta a Lugo con il medesimo programma
In primo luogo, bisogna dirlo, si tratta di un disco registrato benissimo. Lo attesta il fatto che l'ascolto con un buon impianto disposto con tutti i crismi acustici si fa giustamente apprezzare, ma che la stessa ottima impressione timbrica e spaziale si percepisca perfettamente anche attraverso il mediocre lettore di un computer e perfino alla prova dell'ascolto in auto è senza dubbio assai significativo. Notevole, ancor più, se si pensa che si tratta di una registrazione live, realizzata in occasione di un concerto tenuto a Cento (FE) il primo giugno del 2014.
Le condizioni per godere di questa registrazione ci sono tutte, e meritatamente perché lo Chopin di Maria Perrotta può emanare un fascino incantatorio cui malvolentieri, e a fatica, ci si sottrae.
È il fascino di un canto strumentale puro, che non brama di sciogliersi a tutti i costi in un sonorità liquide, né aspira alla liricizzazione estrema di rubati e legati. Non enfatizza, insomma, il melos come nucleo, mezzo e fine del linguaggio chopiniano, bensì lo libera con un tratto visionario che non sembra semplicemente dar vita al suono secondo una propria interpretazione, che informa la lettura e l'esecuzione. Maria Perrotta pare, invece, concentrarsi sul puro segno chopiniano nel quale, però, vede una profondità, una pluralità, una dimensione sfuggente che nel suo tocco si presenta chiara in tutta la sua sottile ambiguità.
Pare un ossimoro, ma è proprio di questo ossimoro che vive il fascino dello Chopin di Maria Perrotta, limpidissimo, cristallino, eppure percorso da ombre, morbidezze sinuose, inquietudini segrete. Tattile e sottile com'è il canto, suono volatile e impalpabile che svanisce nel momento stesso in cui nasce, ma anche fisico, carnale come pochi, per il suo nascere direttamente dal corpo umano, e dunque capace di esercitare sui sensi e sull'anima un'influenza magica (e non è sola metafora poetica, ma anche pura evidenza antropologica ed etimologica a legare canto e incantesimo). Tutto questo, l'essenza del canto e non la sua imitazione, si esprime attraverso le dita, un tocco netto, precisissimo, capace di colorature fluide e scintillanti dai bagliori ipnotici. Capace di esprime nella tastiera, nelle dimensioni nascoste e negli orizzonti estremi dei tratti sul pentagramma l'ideale del cantar che nell'anima si sente, dell'articolazione poetica attraverso i codici del belcanto. Il gioco di timbri, lo stile spianato e il gusto ben misurato per gradazioni dinamiche e agogiche, per rubati e portamenti, l'agilità, la grazia, la forza, la bravura, lo slancio, lo sbalzo, tutte le possibilità artistiche della voce delineate da Manuel Garcia nel suo manuale valgono come principio estetico anche quando il canto non sorge dalle labbra, ma trova come tramite le dita, una tastiera, martelletti, pedali, corde.
Questo è il mondo estetico di Chopin e la cifra specifica che rende l'interpretazione di Maria Perrotta così straordinaria è proprio la capacità di assumerlo naturalmente, con una nonchalance disarmante che non tradisce l'idiomaticità dello strumento perché non si ferma all'espressione della forma, al primo livello espressivo, va oltre, penetra a fondo verso un orizzonte sempre più lontano ma sempre, chiaramente, compreso nell'evidenza del testo. Così un quid ineffabile, misterioso resta fra le note ad avvincere e incantare, eterno interrogativo la cui risposta scivola via come sabbia fra le dita, che riconosciamo ma non riusciamo ad afferrare, mentre la pianista, rassicurante ed enigmaticaSibilla, la illumina e la cela con fare semplice e naturale, quasi nulla vi fosse, in realtà, da svelare o nascondere.
Così è, d'altra parte, Maria Perrotta, una delle pianiste più perturbanti dei giorni nostri, una delle artiste più personali e intriganti, ma anche una delle meno dive e appariscenti, sorprendente proprio per la sua semplicità in (apparente) contrasto con l'ambiguità incantatrice delle sue interpretazioni. Anche per questo motivo il suo approccio discografico a Chopin è un appuntamento da non perdere per chi ami davvero il pianoforte.