di Stefano Ceccarelli
Arnold Schönberg
Verklärte Nacht, op. 4
Pëtr Il'ič Čajkovskij
Souvenir de Florence, op. 70
Sestetto Stradivari
Violini David Romano, Marlène Prodigo
Viole Raffaele Mallozzi, David Bursack
Violoncelli Diego Romano, Sara Gentile
CD Accademia Nazionale di Santa Cecilia / VDM03855033 Records production © 2016 VD Music s.r.l.
Il Sestetto Stradivari, nato fra le file dell’eccellente orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dimostra quanto ogni singolo accademico sia un artista perfettamente autonomo e con una carriera sovente d’ottimo livello. Il Sestetto ha già all’attivo un quindicennio di attività (il suo battesimo è del 2001) fra concerti e tournée internazionali; dunque, ha sufficiente esperienza, è rodato al punto giusto per proporsi nel suo debutto in CD (per i tipi dell’Accademia stessa). Il loro primo CD è figlio di un concerto tenuto quest’anno a marzo per la stagione cameristica accademica, che vedeva come programma il bel Souvenir de Florence čaikovskiano e il Sestetto di Rimskij-Korsakov.
Con lieve variatio, nel CD scelgono di eternare il loro Souvenir de Florence preceduto da una delle prime opere di Arnold Schönberg, Verklärte Nacht op. 4, che crea un insolito contrasto col Souvenir ma fa anche riflettere su qualche interessante analogia (le opere furono scritte a distanza, infatti, di non molti anni). Uno Schönberg ancora imbevuto di tardoromanticismo e delle impressionistiche pennellate di tanta produzione francese fin de siècle è quello che ascoltiamo nella Verklärte Nacht: sembra di osservare uno dei disegni pre-cubisti di Picasso, commentando con lo stesso stupore la geniale virata che avrebbe poi preso il corso del suo estro. E certo Schönberg non ruppe meno col passato di Picasso. Com’era in voga all’epoca, l’opera è legata a un programma letterario: l’omonima poesia di Richard Dehmel (1896), panica, decadente, narra del perdersi di una ragazza in un bosco bagnato dai raggi di un plenilunio, una ragazza che si è carnalmente concessa fuori dal matrimonio a un giovane, rimanendone incinta; il giovane innamorato ora la segue, felice che sé stesso sarà trasfigurato attraverso lei in un bambino, in una nuova creatura, e dissipando le virginee ansie della giovane. Lo Stradivari affronta il testo con incredibile perizia: si tratta di mezz’ora d’ininterrotta musica, scritta in diversi tempi, che asseconda le emozioni di lettura del testo avute da Schönberg (paesaggi safficamente lunari; contrasti erotici; intense passioni amorose; abbandoni boschivi; furtivi abbracci). Del Sestetto cominciamo a conoscere la pulizia, i respiri, la magistrale coordinazione, caratteristiche che esaltano la «ricchezza creativa, che tende a tradursi in una ininterrotta gemmazione tematica, aliena da fronzoli ornamentali ma essenziale nell’ambito dell’assunto musicale e dello stesso schema compositivo» dell’opera (S. Prodigo, dal libretto che accompagna il CD).
Più famoso e certo non meno fascinoso è il Souvenir de Florence op. 70 di Čajkovskij, scritto quando il russo soggiornava, appunto, a Firenze, ospite della sua ricca mecenate Nadezda von Meck, nell’inverno del 1890. Čajkovskij – come tutti, del resto – era profondamente innamorato dell’Italia e della sua tradizione e cultura musicale: l’aveva dimostrato nei tanti omaggi all’italianità melodica e ritmica disseminati nei suoi balletti, l’aveva dichiarato chiaramente nel Capriccio italiano op. 45 (di dieci anni precedente il Souvenir), che rimane a tutt’oggi il suo più compiuto omaggio alla nostra tradizione. La scrittura per archi di Čajkovskij era sempre stata molto facile e tripudiante: si pensi alla celeberrima Serenata per archi op. 48. Il Souvenir, però, non emerge mai pienamente in grazia e brillantezza; lo stile è quello melanconico degli ultimi, tormentati anni di vita del compositore; siamo negli anni della composizione, del resto, di un altro dei suoi capolavori: la Pikovaya Dama, che di questo clima emozionale è somma espressione. Lo Stradivari sa cogliere tutte queste sensazioni e emozioni musicali, rendendoci una versione palpabile, viva, chiaroscurale della partitura del russo: siamo lontani dalla pura meridionalità di tanta musica che Čajkovskij aveva già composto e lo Stradivari non cade – e ben fa! – nella trappola di voler rendere, a forza, tutto brillante, italiano appunto. Permette anzi a quella vena schumanniano/schubertiana di dipanarsi ad libitum nei vari movimenti, che pur presentano idee anche più melodicamente abbandonate (mi riferisco all’Andante e al finale Allegro con brio e vivace). La penna di Čajkovskij può così brillare, a suo modo, in questa partitura estremamente drammatica, anche un po’ sofferta, che fa trasparire uno stato d’animo certo più complesso di quello che dieci anni prima s’era lasciato inondare dalla tersa melodiosità italica del Capriccio.