Il tempo della cetra e del cembalo

 di Roberta Pedrotti

 

Guitar Recital-laVERDI sessions

musiche di

Castelnuovo Tedesco, Chailly, Scarlatti, Paganini, Galante, de Falla

chitarra Eugenio Della Chiara

CD  La bottega discantica/ laVERDI, DISCANTICA 289, 2016

Dopo l'intrigante esplorazione del concittadino Rossini attraverso gli occhi di compositori contemporanei (a eccezione di Paganini) [leggi la recensione], Eugenio Della Chiara presenta un nuovo CD stilistico, un recital dal programma eterogeneo, ma, in realtà, legato ancora una volta da un dialogo costante fra epoche solo apparentemente lontane.

Abbiamo infatti Mario Castelnuovo Tedesco con il suo Capriccio diabolico, omaggio a Paganini, di cui ascoltiamo la voce originale nella Grande sonata per chitarra sola op. 39 (un po' il biglietto da visita e il portafortuna di Della Chiara, che ne ha fatto il proprio cavallo di battaglia). Abbiamo la visione che della Sonata propone Luciano Chailly negli anni '70 e le due esemplari Sonate in re minore K 32 e K 213 di Domenico Scarlatti trascritte dall'originale cembalistico rispettivamente da Alirio Diaz (scomparso proprio lo scorso 5 luglio) e dallo stesso chitarrista pesarese. Abbiamo Manuel de Falla che nel 1920 omaggia “le tombeau de Debussy” un po' come pochi anni prima aveva fatto Ravel con il più remoto Couperin; abbiamo una novità assoluta dedicata, per l'appunto, a Della Chiara in Elena o l'immagine d'aria, con cui Carlo Galante illustra il mito alternativo, narrato da Euripide e Stesicoro, dell'innocenza della sposa fedele di Menelao, condotta in Egitto mentre un suo simulacro, opera divina, segue Paride a Troia causandone la distruzione. Qui, mentre prendono corpo in accordi robusti l'Elena casta e reale e in spettrali rarefazioni quella fatale e inafferrabile, si plasmano anche le estreme possibilità timbriche e sonore dello strumento, la chitarra rievoca la sua antenata e quasi omonima greca (cetra o κιθάρα, kythara) come complemento della voce dell'aedo, in uno sguardo verso l'antichità classica che ricorda quello di De Chirico, o del Pavese dei Dialoghi con Leucò.

Dopotutto, a non voler sottilizzare in questioni d'organologia, non si può negare l'affinità, quando non identità, fra lira e cetra, sebbene oggi designino famiglie distinte. E se, da un lato, alla cetre appartengono anche il monocordo e i suoi discendenti a tastiera, clavicembali e pianoforti, alla radice di λίρα (lira) rimonta tutto il campo semantico della poesia e del canto poetico. Ecco, dunque, che si approda naturalmente alla definizione di Debussy di chitarra come “clavecin mais expressif” (clavicembalo, ma espressivo), forse ingenerosa con le corde pizzicate tramite tasti, ma indubbiamente esatta quando si parla di manipolarle direttamente senz'altro intermediario dell'eventuale plettro. Le trascrizioni di Scarlatti risultano, in tal senso, particolarmente azzeccate , tradimenti, come ogni traduzione, ma in grado di mostrare un volto diverso quanto autentico dell'anima di questi pezzi e di ribadirne la consanguineità con i brani originali composti negli ultimi cento anni.

L'intelligenza lirica di Eugenio Della Chiara fa il resto, esplicita, cioè, questi legami creando un legame forte e sottile a sostegno dell'intero programma, sviluppato come un discorso unitario senza elidere le peculiarità dei singoli brani, ben illustrati nelle note di copertina firmate dallo stesso chitarrista. La tecnica ubbidisce al fraseggio e all'intenzione, che la modellano sì da penetrare stili diversi con eguale contemporanea lucidità e da esprimere senza reverenziali riguardi verso gli idoli dell'assoluta omogeneità di timbri, colori e sonorità, di una "maniera" chitarristica alla moda o stereotipata. Un'interpretazione, insomma, fresca e meditata, sicura e personale che costituisce un'ulteriore, importante tappa nella carriera del giovane talento pesarese.