di Roberta Pedrotti
Bach, Chopin, Debussy, Liszt, Rachmaninov, Shor, Schumann, Skrjabin
Childhood memories
pianoforte Alexander Romanovsky
registrato a Berlino, marzo 2017
CD Decca 2017, 481 5416
L’idea di un’incisione dedicata a bis e ricordi può essere senz’altro simpatica e promettere un ascolto godibilissimo. Se, però, il pianista si chiama Alexander Romanovsky ed è lecito aspettarsi qualcosa di più, non si verrà delusi.
Non si rimane delusi in primo luogo perché il pianista non ancora trentatreenne ha senza dubbio un’ottima tecnica e un’innata scioltezza virtuosistica che hanno collocato fin dall’adolescenza pagine come il Mephisto Walzer e Islamey fra i suoi cavalli di battaglia. Fosse, però, solo questione di abilità delle dita nel saltellare su e giù per la tastiera, l’interesse si scioglierebbe come neve al sole dopo una breve fiammata. C’è, invece, nel fraseggio di Romanovsky una cura insinuante per il chiaroscuro che sviluppa un più articolato e profondo livello interpretativo, valorizza una musicalità fine e non banale, capace di giocare anche con un’ambiguità elusiva, di una sorta d’incantatorio mistero tipicamente slavo.
Allora il fascino inafferrabile del Clair de lune di Debussy, notturni, studi, preludi e valzer di Chopin, Skrjabin o Rachmaninov, la Campanella di Liszt (in cui veramente riluce il tratto demoniaco paganiniano, come uno spettro o un fuoco fatuo) o Arabesque di Schumann si delineano e si sviluppano con classe intelligente, oltre che con mano felice, e con una leggerezza che non è disimpegno, tutt’altro.
Questo ben equilibrato rapporto fra levità e profondità conferisce al CD un tratto più raffinato, un filo conduttore che va oltre la piacevole raccolta di pezzi noti e accattivanti, morceaux favoris, affidati a un giovane pianista di grandi doti e ancor più grandi potenzialità. La scelta di pezzi cari a Romanovsky e ricorrenti nel commiato dal pubblico come fuori programma vuole riflettere su quel confine sottilissimo fra l’esperienza musicale diretta e il suo ricordo, fra suono e silenzio, fra la costruzione di un programma e quello che può essere il gioco più intimo e libero dei bis, fra vissuto familiare e musicale e performance. Ecco allora che quel che si legge nel saggio introduttivo di Vadim Zhuravlev e tradotto in italiano da Tatiana Romanovska (la sorella minore di Alexander, mentre alla madre è dedicato tutto il CD) non è solo un poetico volo pindarico, ma vi si riconosce l’essenza dell’intento di questa bella incisione.
Al tema dell’intimità e del ricordo musicale si ricollega anche la suite Childhood memories di Alexei Shor, che occupa circa metà del CD e riprende la tradizione ben radicata degli album pianistici per l’infanzia e l’adolescenza. L’impressione, qui, fatta salva la classe sempre cristallina dell’interprete, richiama, più delle madeleine di Proust, i salotti di Gozzano e una semplicità familiare solo occasionalmente increspata dalla reminiscenza del Bach che tanti solisti e didatti russi amarono trascrivere romanticamente e che è già testimoniato dalla Badinerie dalla Suite n. 2 in Si minore BWV 1067 nella versione di Sergei Yushkevich.
La buona qualità del suono e l'affettuosa cura di tutto il cofanetto completano un bell'autoritratto privato di un artista che val la pena di conoscere e seguire.