di Andrea R. G. Pedrotti
Mozart, Schumann, Mahler
Berlin Piano Quartet
Christophe Horák (violino), Micha Afkham (viola), Bruno Delepelaire (violoncello), Kim Barbier (pianoforte)
CD Sony-RCA 88985432572, 2017
Nel recente CD cameristico della storica etichetta RCA, il Berlin Piano Quartet propone tre brani di tre autori (Mozart, Mahler e Schumann) diversi fra loro per biografie, carriere e stili di vita, ma accomunati dalla proiezione di sé verso il futuro, seppure in modo differente: Mozart fu un innovatore capace di essere un nuovo punto di partenza per la storia della musica, mentre Schumann sperava in un avvenire che, puntualmente, non colmava la sua profonda, patologica, insoddisfazione e Gustav Mahler fu un uomo che, col senno di poi, si potrebbe dire quasi profetico circa il triste destino che stava per imperversare in Europa, un uomo che comprese come pochi la natura umana e delle asperità della vita, che pur amava e affrontava.
Primo brano in programma è il Quartetto per pianoforte n. 1 in sol minore, K 478, una composizione intrigante e piena di contrasti che, nelle intenzioni dell’autore, superava le più modeste ambizioni della produzione musicale coeva per tale organico. Mozart era proiettato verso il futuro e, in qualche modo, rappresenta i mutamenti dell’epoca in cui visse nel contrasto musicale fra drammaticità, malinconia e vitalità quasi soave.
Questi tre movimenti - dal Sol minore al Sol maggiore, attraverso il Sib maggiore del secondo - sono indicativi, nella loro dialettica, di una ricerca d’innovazione, che, nella società d'allora, avrebbe portato, spesso tradendolo, il pensiero illuminista fuori dai libri. L’interpretazione del Berlin Piano Quartet ben sottolinea le diverse sfumature celate all’interno della partitura, legando fra loro i contrasti semantici con bella fluidità complessiva.
Il secondo pezzo è a firma di un altro compositore che, all’epoca della prima esecuzione nel 1876, aveva solo sedici anni, ma molto di lui era già contenuto in queste note. Un presagio del futuro in una musica che lo stesso compositore non avrebbe voluto lasciare ai posteri, questo Quartetto con pianoforte in la minore, ma, fortunatamente, se Mahler ebbe il medesimo istinto che spinse Virgilio al tentativo di dare alle fiamme l’Eneide, egual sorte ebbero i pentagrammi, giunti fino a noi, anche se solo nel primo dei due movimenti previsti.
Solo l’indicazione per l’esecuzione presenta la grandezza di un autore, poiché sa esser sintesi lessicale del testo musicale: Nicht zu schnell. Entschlossen (Non troppo veloce. Determinato). Il brano va eseguito lentamente, ma non per questo perde di intensità e risulta coinvolgente come solo la musica di Gustav Mahler sa essere. Uno studente di un conservatorio viennese, al primo anno di composizione. Basterebbe ascoltare i primissimi accordi del pianoforte, lenti, tremolanti, frementi, l’interiorità di un adolescente che sarebbe rimasta tale nel corso di tutta la vista; lo strano fermento emotivo che si manifesta nella dolcezza quasi elegiaca degli archi, che appare improvvisamente frenetica nello scambio fra viola, violoncello e violino. C’è la determinazione e, forse, l’incoscienza di un’età che si mescola al disagio di un ritorno agli accordi iniziali del pianoforte, ma che nella linea degli archi diviene più consapevole, malinconica e piena di vitalità al tempo stesso. Un frenetico, incessante, alternarsi di quiete e tormento di un uomo che provava difficoltà nell’esprimersi verbalmente, ma che sapeva sintetizzare nel linguaggio musicale. Mahler, con la sua musica, offre ancora a noi tutti la possibilità di “ammirare le capacità di penetrazione psicologica di quell'uomo di genio”, per usare le parole che a lui riservò Sigmund Freud commentando un incontro avuto con Gustav Mahler, e Mahler era già “quell’uomo di genio” a sedici anni.
Si apprezza, specialmente nella pianista, una linea non didascalica, ma fluida e conforme nelle variazioni coloristiche e, soprattutto, dinamiche del brano.
Chiude il programma il Quartetto per pianoforte in mi bemolle maggiore, op. 47, un brano che offre ulteriore conferma di come Robert Schumann non fosse affetto da un disturbo maniaco depressivo solo nella sua vita, ma come la musica che scriveva e il suo approccio all’esistenza siano di natura esasperatamente bipolare. A eccezione del secondo movimento, tutto il brano è scritto in tonalità maggiore e trasuda positività, ottimismo e speranza, tutte caratteristiche totalmente aliene alla personalità di Schumann: egli si tormentava nel desiderio di coronare il suo sogno d’amore con Clara Wieck, ma, anche dopo le nozze con l’oggetto delle sue brame, celerà sempre un patimento crescente che gli sarebbe stato fatale e lo avrebbe portato al suicidio. Il suo, in realtà, era un desiderio di trovare una pace che era incapace di raggiungere, nonostante i risultati conseguiti.
Nessun presagio di morte nella sua musica, ma emotività caratterizzata dalla gioia di vivere: forse, nella musica, egli figurava una realtà ove la sua fame di serenità potesse essere saziata.
Ancora una volta, lodi per i quattro musicisti, con una nota di merito per la precisione con cui sono stati affrontati gli ultimi due movimenti di quest’ultimo brano.