di Roberta Pedrotti
M. Montalbetti
Sei bagatelle per trio d'archi (2012-13), Sonata per violoncello (2012), E voi, empi sospiri (2014), Three poems (2015)
Trio Hegel
David Scaroni (violino), Davide Bravo (viola), Andrea Marcolini (violoncello)
registrato ad Arquà Polesine (RO), ottobre 2015
CD a simplelunch 28asl/2017
Il progresso nell'antico. Ci sono autori che inverano il senso più profondo del tanto frainteso motto verdiano fondando il proprio percorso su solide radici nel passato, che sperimentano ed esplorano forti proprio della consapevolezza della memoria. Uno di questi è Mauro Montalbetti, che ama il teatro - inteso non come effetto ma come incarnazione totale e tangibile di affetti e contenuti - e in ogni sua opera, anche non destinata alla scena, affina quali amati strumenti drammaturgici le forme del madrigale come della grande letteratura musicale ottocentesca, come delle rivoluzioni della tonalità, come del jazz o del cantautoriato, là dove siano utili ed efficaci, là dove li senta necessari e si possano fondere in un unicum non eclettico, ma chiaro e compatto.
Giustamente Carlo Boccadoro, che come esecutore e autore sulla musica d'oggi ha qualcosa da dire, parla proprio di chiarezza come caratteristica principale della scrittura di Montalbetti, "uno mondo dove coerenza, rigore e bellezza sono inscindibili". Lo si riconosce perfettamente in questa breve raccolta cameristica che spazia nell'organico dal trio d'archi al violoncello solo o in duo con la voce. Non è musica che voglia piacere a ogni costo, ma è musica che conquista proprio per la sua coerenza, per la sua chiara forza strutturale, ben radicata in una memoria storica coltivata con passione, e che anche nei suoi momenti più cupi e drammatici, nelle arcate più inquiete e taglienti o nei percorsi armonici più arditi e sfuggenti si fa seguire per la limpida riconoscibilità dello stile e l'onestà d'ogni scelta, nonché per la dedizione alla comunicazione di un testo, sia esso verbale o meno.
Se, nelle sue note di copertina, Montalbetti stesso evoca Beethoven e il Madrigale, non è per chiarire una citazione letterale, un qualche gioco neoclassico, bensì per definire un mondo di riferimento che emerge nella sua scrittura, una memoria che traspare più o meno in filigrana nell'amore per la melodia o nel trattamento delle parti e del rapporto fra parola (che ora echeggia Monteverdi, ora è quasi declamata, come un'erede prosciugata dello sprechgesang) e musica. Ascoltandolo, ad ogni modo, si pensa solo al compositore bresciano in sé e per se, non a un dotto rielaboratore di temi e idee preesistenti, né a un visionario che aspiri a crear dal nulla un universo sonoro alternativo.
L'intensità comunicativa e la chiarezza strutturale di questa musica è evidente nell'esecuzione appassionata dei dedicatari, il Trio Hegel e il soprano Karina Oganjan, duttile quanto incisiva nel duetto tripartito con il violoncello di Andrea Marcolini su versi di Emily Dickinson.