Werther Alighieri

 di Roberta Pedrotti

B. Godard

Dante

Montvidas, Gens, Lapointe, Frenkel

Chor des Bayerischen Rundfunks (direttore Stellario Fagone)

Münchner Rundfunkorchester

Ulf Schirmer, direttore

saggi di G. Condé, Pierre Véron, Hélène Cao, Pierre Sérié

143 pagine con illustrazioni, testi in francese e inglese

2 CD

Palazzetto Bru Zane e BR Classics, 2017

La vita di Dante Alighieri è un soggetto delicato da trattare in un'opera, vuoi per le necessarie quanto pericolose forzature melodrammatiche alla realtà storica, vuoi per le nondimeno inevitabili alterazioni dell'icona fissata nell'immaginario comune. Più dei rischi, però, poterono il fascino del mito letterario e le mode neogotiche del tardo Ottocento nell'ispirare a Benjamin Godard (1849-1895) e nel suo librettista Édouard Blau quest'opera che debuttò allo Châtelet nel 1890.

Blau, di lì a qualche anno anche fra gli autori dei versi del Werther di Massenet, appronta anche qui un intreccio basato sull'amore impossibile di un poeta allargando il triangolo a quadrilatero con un baritono nobile e leale (Simeone Bardi, consorte storico di Beatrice) e una seconda donna nondimeno di buon cuore (Gemma Donati, l'effettiva sposa di Dante) e concludendo con la morte sublime di uno dei due amanti, in questo caso la donna. Il sommo poeta appare come un tenore ardente di nobili ideali politici e di disperati sentimenti amorosi che vive parallelamente l'ascesa e la caduta nel tentativo di pacificare la sua Firenze e l'infrangersi del suo idillio con Beatrice; parimenti, l'ascesa artistica in un terzo atto tutto consacrato all'invocazione e al sogno rivelatore sulla tomba di Virgilio ci restituisce il ben noto Alighieri in manto rosso: basta leggere la didascalia “revêtu du costume historique” per figurarsi il profilo aquilino incappucciato e cinto d'alloro.

Dal canto suo, Godard concepisce la grandezza del protagonista nell'ideale dei suoi modelli estetici classici, lui devoto a Beethoven e Mendelssohn e allergico alla moda wagnerista. Lo fa con finezza, senza giocare all'epigono, ma limando a dovere le forme, i richiami tematici, i colori caratteristici (dalla tarantella alle sommosse popolari, dalle meditazioni degli studenti alle visioni oltremondane), le linee melodiche e la scrittura orchestrale. Ne sortisce una partitura di grande chiarezza e studiata misura, perfetto esempio di un gusto francese fin de siècle svincolato dalle suggestioni del Walhalla e dei visionari innovatori romantici e tardoromantici, pur tuttavia non del tutto impermeabile allo spirito del tempo e all'evoluzione del gusto. Fra Massenet, Bizet, Lalo, Thomas e Délibes, anche il carneade Godard ha detto la sua, magari non toccando i vertici, ma collocandosi agevolmente nel milieu operistico dell'epoca, sì che val la pena di conoscerlo per arricchire il quadro e completare la comprensione dell'Ottocento musicale francese.

Come d'abitudine, poi, il Palazzetto Bru Zane persegue questa sua missione con acribia e serietà, corredando l'incisione con un bel volume comprendente il libretto e ricchi saggi che illustrano nel dettaglio la partitura, la sua ricezione, l'eco di Dante nelle arti visive e sonore del tempo. Così fa riflettere anche leggere Hélène Cao che cita come primo estratto della Commedia messo in musica nel diciannovesimo secolo il canto XXXIII nell'intonazione di Zingarelli “per quattro soprani e trio d'archi, al momento perduto”; eppure nel 1995 Ernesto Palacio lo incideva per Agorà con Samuele Pala al pianoforte e Pierangelo Pelucchi, nelle note del CD, scriveva “in questa cantata Zingarelli attribuisce ad una sola voce tutti i personaggi descritti dal poeta, riuscendo a scolpirne il carattere individuale tramite una sapiente differenziazione musicale e pur con il solo sostegno del pianoforte”. Che, dunque, quella solistica fosse una trascrizione apocrifa presa allora per autentica? La questione meriterebbe approfondimenti.

Tornando a Godard, illumina la lettura dei commenti coevi, con critiche e apprezzamenti in buona parte ancora condivisibili, ma anche considerazioni indubitabilmente viziate dall'esecuzione (pare che la compagnia dell'Opéra-Comique non si sia coperta di gloria nemmeno nella messa in scena) che questa registrazione permette di chiarire. In particolare, là dove nel 1890 si puntava l'indice su un'orchestra talora sopra le righe, la prova eccellente di un complesso del rango della Munchner Rundfunkorchester diretta da Ulf Schirmer aiuta a ridimensionare le osservazioni e a meglio apprezzare gli equilibri eleganti della partitura (che, anzi, oggi ci pare quasi troppo moderata nella ridda infernale). Nondimeno eccellente il Chor des Bayerischen Rundfunks preparato da Stellario Fagone, musicista italiano colonna anche della Bayerische Staatsoper.

Le antiche perplessità sulla scrittura tenorile del protagonista e sul suo primo interprete sono pure fugate dalla bella prova di Edgaras Montvidas, sicuro in tutta la tessitura, ben a fuoco nello stile, appassionato nell'accento. Véronique Gens è una Béatrice ispirata, Jean-François Lapointe un Bardi nobile ed elegante, Rachel Frenkel un'accorata Gemma. Efficaci anche gli interventi di Andrew Forster-Williams (Un vecchio e l'Ombra di Virgilio) e di Diana Axentii, fresco Studente. Andrew Lepri Meyer è l'Araldo.