di Roberta Pedrotti
F. Schubert
Sonata in La Maggiore D 959
Sonata in Si bemolle Maggiore D 960
Krystian Zimerman, pianoforte
CD Deutsche Grammophon, 479 7588, 2017
Leggi anche le recensioni delle esibizioni dal vivo di Zimerman nel medesimo programma:
Imola, concerto Zimerman, 22/05/2015 (Roberta Pedrotti)
Bologna, concerto Zimerman, 02/06/2015 (Francesco Lora)
Roma, Concerto Zimerman, 10/06/2015 (Stefano Ceccarelli)
Quando un pianista esigente e perfezionista come Krystian Zimerman attende la soglia dei sessant'anni per approcciare due sonate e per inciderle, è legittimo attendersi un risultato eclatante. E così è: le due ultime sonate di Schubert sotto l'egida Deutsche Grammophone ribadiscono l'incanto dei concerti che hanno preceduto la registrazione nel gennaio 2016 a Kashiwazaki, in Giappone. L'acustica eccellente dell'auditorium nipponico e la qualità tecnica dell'etichetta gialla garantiscono una splendida resa del suono, degna della cura prodigata dal concertista, e restituiscono anche il valore del lavoro su una meccanica dello strumento prossima a quella utilizzata da Schubert stesso, in modo da ottenere la massima qualità possibile e fedeltà al segno e allo spirito dell'autore.
Tutto quel che concerne tecnica e tecnologia si pone al servizio dell'arte e si fa arte esso stesso. La perfezione dell'esecuzione non è fine ma mezzo naturale di un fraseggio fluidissimo nella scelta dei tempi, delle dinamiche e dei colori, di un'espressività intensa quanto elegante che scava in profondità nei due estremi capolavori schubertiani. L'esecuzione integrale, con tutte le riprese, consente infatti di delibare un cesello di variazioni infinite e sempre sensatamente coerenti; non v'è nota ribattuta, non v'è sincolo attacco che non abbia un suo carattere specifico e che paia irrelata da un discorso poetico complessivo di disarmante freschezza. Perché Zimerman lo dice a chiare lettere: non bisogna pensare a queste pagine come impregnate dal senso di una morte incombente, essendo in realtà il giovane compositore scomparso in maniera abbastanza improvvisa. Ciò non nega, però, ripiegamenti melanconici leopardiani che si condensano in particolare della delicatezza struggente del secondo movimento (rispettivamente Andantino e Andante sostenuto) di ciascuna sonata definiti senza mezzi termini “la musica più triste che io conosca”. Questa tristezza universale, immensa, riesce a filtrare in gesti minuti, in una filigrana sottilissima che in altri momenti lascia trasparire perfino dolcezze giocose da carillon, baluginii sognanti e iridescenti, temi iterati e accarezzati con affetto nostalgico, un gioco raffinato e scaltro di luci e ombre fra le profondità evocate dalla mano sinistra (e dall'uso sapiente del pedale) e il tocco morbido e mobile di una mano destra che evoca perle e cristalli. Un suono che pare di afferrare anche con la vista e con il tatto, ma che sfugge evanescente quando si tenti d'afferrarlo, scorrendo l'uno nell'altro nel legato e nella continuità poetica di una lettura affascinante.
Chi ama Zimerman non potrà fare a meno di questo disco. Chi non si annovera fra i suoi fan ma ama comunque Schubert difficilmente potrà esimersi dal conoscere questa interpretazione.