di Roberta Pedrotti
G. Rossini
Stabat Mater
Farnocchia, Bonitatibus, Jordi, Esposito
direttore Alberto Zedda
Orchestra e Coro Opera Vlaaneren, Antwerp/Gent
maestro del coro Yannis Pouspourikas
CD Dynamic, CDS7799, 2017
Nel cuore rossiniano di Alberto Zedda lo Stabat Mater occupava un posto speciale: chi lo abbia visto dirigerlo dal vivo non potrà scordare il suo farsi fisicamente tutt'uno con la partitura, quasi trasfigurarsi negli affetti di dolore, pietà, speranza della sequenza di Jacopone, percorso e posseduto, perfino, da un flusso d'energia musicale. Il suo gesto e il suo sorriso cantavano “Quis est homo” o “Fac ut portem”, danzavano “Cujus animam” o “Sancta Mater, istud agas”, s'innervavano di sacra drammaticità, guizzavano con scatti repentini nella fiammeggiane aria del soprano o nella vertigine dell'"Amen" finale.
Ordinare una cronologia completa degli Stabat Mater rossiniani concertati da Zedda sarebbe impresa titanica, perfino impossibile se si pensa che il suo infaticabile spiritello lo ha condotto senza sosta e soluzione di continuità da un capo all'altro del globo, dalle sale più celebri ai luoghi più sperduti, con divi o debuttanti. Ovunque era pronto a portare il suo diletto Rossini e quel capolavoro sacro di sublime ispirazione nel quale pareva voler accarezzare, amare ogni singola nota. E riascoltandolo pare di ritrovarlo, sentirlo riprendere vita nella plasticità del suo fraseggio, in quegli ostinati insieme felpati e incalzanti, in quegli scatti elettrizzanti ma mai fuori luogo o slegati dal discorso complessivo, da una padronanza retorica e complessiva che si traduce anche in una tinta inconfondibile che innerva tutta l'esecuzione.
Ne è un esempio l'”Amen in sempiterna saecula”, pulsante nel gioco dinamico e contrappuntistico, intriso di drammaticità sentita e veemente, ma mai scomposta nella tentazione dell'effetto. È sempre Rossini, nato nel classicismo, assertore della pura bellezza del “cantar che nell'anima si sente” e della musica come “atmosfera morale”, saldo in trono anche dopo il ritiro dalle scene teatrali, senza arretrare d'un passo rispetto alle nuove generazioni romantiche, che sa affrontare sullo stesso terreno o scavalcare la “musica dell'avvenire” con la “musica di tutti i tempi” (secondo le definizioni dello scambio di battute con Wagner riportato da Hiller).
Risulta così galvanizzato anche un quartetto vocale di pregio ma piuttosto diseguale quanto a vocazione: Serena Farnocchia dalle radici liriche con puntature mozartiane e belcantiste si stava già avvicinando a un repertorio più spinto e alla qualità sempre fresca del timbro e del cantabile corrisponde qualche durezza nel risolvere i passi più esposti dell'”Inflammatus”; viceversa Anna Bonitatibus ha più confidenza con il repertorio sei-settecentesco, il suono è meno ricco ma la musicalità eccellente. Ismael Jordi vanta un'emissione luminosa e limpida, anche se i melismi più belcantistici non si sciolgono con quella disinvoltura che ammiriamo in Alex Esposito, esatto, incisivo, elegante. La bacchetta di Zedda accorcia le distanze, sì che nei numeri d'insieme anche l'impasto timbrico e di volumi risulta equilibrato e ben tornito. I complessi fiamminghi di Antwerp/Gent sono parimenti plasmati dal carisma del maestro, che imprime con il cuore e la ragione la traccia inconfondibile dello spirito rossiniano.