di Roberta Pedrotti
G.F. Handel
Arie da Oreste, Serse, Rinaldo, Imeneo, Il pastor fido, Rodleinda, Giulio Cesare, Ariodante, Partenope
Franco Fagioli, controtenore
Zefira Valova, primo violino e direttore
ensemble Il pomo d'oro
CD Deutsche Grammophon 4797541, 2018
Nell'intensissima attività discografica di Franco Fagioli, dopo la divagazione rossiniana [leggi la recensione] – sfizio concesso al primo uomo – è gradito il ritorno anche in recital al suo repertorio d'elezione con il primo cd monografico dedicato a Handel.
Un cimento non indifferente e coraggioso anche per un divo consacrato dell'attuale panorama dei controtenori/contraltisti/sopranisti: non solo il programma abbraccia quasi trent'anni di attività londinese del compositore, non solo, dunque, si tratta di brani destinati a interpreti diversi per tessitura, personalità, fase di carriera, ma soprattutto per la scelta delle singole arie. Fagioli non teme di inserire in programma pagine celeberrime già prima della vera e propria Barocco Renaissance, pagine quasi usurate, o ammantate dall'aura mitica di interpretazioni illustrissime e anche non strettamente specialistiche, come nel caso di “Ombra mai fu” dal Serse, affrontata da divi d'ogni registro vocale, contraffatta con testi sacri, tramandata come “Largo di Handel” per antonomasia. Il confronto è impegnativo anche per un artista scafato come il Nostro, e il rischio può esser perfino quello – in un'epoca in cui la proposta barocca è anche caccia inesausta alla rarità più raffinata – di apparire fin troppo facile e scontato nella scelta dei brani.
E invece è proprio il contrario, perché nel 2018 abbiamo il pieno diritto di riascoltare e veder inciso il cosiddetto “Largo” da un interprete moderno, con un moderno ensemble storicamente informato, in un programma che non pare badare tanto alla popolarità e alla tradizione esecutiva dei brani come punto a favore o a sfavore, quanto all'assortimento (non cronologico nell'ordine) della giusta alternanza di affetti e registri espressivi, sì da confezionare, nello spazio di appena quattordici tracce, una bella sintesi dell'universo handeliano attraverso la prospettiva dell'artista.
Proprio “Ombra mai fu”, preceduta dal suo recitativo, colpisce per la misura con cui Fagioli evita l'affettazione, la caricatura, ma lascia fluire l'elogio della quiete riparata dalle fronde amate affinché l'ironia sottile e non sfacciata sull'indolente sovrano sorga spontanea dalla situazione, dalla naturalezza e dalla serietà con cui questo si esprime, dalla dolcezza non molle, dal sentimento non lezioso, dalla frase ben delineata verso per verso.
Parimenti, nel canto patetico di ben più seri e gravi contesti, Fagioli eccelle con una sensibilità al fraseggio legato e sfumato e all'articolazione della parola cantata che rapisce in “Cara sposa” da Rinaldo come in “Se potessero i sospir miei” (un'autentica gemma poetica, da Imeneo), “Dove sei, amato bene” (Rodelinda), “Scherza infida” (Ariodante) o “Ch'io parta?” (Partenope). Le espressioni dolenti, nostalgiche, affrante sfuggono l'uniformità in un'attenta accentuazione e a una gestione scaltrita dell'emissione, giacché, se il registro acuto resta formidabile e la natura sia sempre più quella di un sopranista che di un contraltista, l'estensione non gli crea problemi e il registro grave è gestito in modo tale da tornire sia la languida, sinuosa sensualità di Serse sia, con tensioni più acidule, il risentimento geloso di Ariodante. In “Crude furie degl'orridi abissi” il contrasto fra gli affondi veramente abissali, di colore deliziosamente androgino, e la luminosità tagliente dell'acuto rende alla perfezione il carattere agitato dell'aria, così come in tutte le pagine virtuosistiche in programma, fra cui spicca, inevitabilmente, un altro appuntamento topico per ogni interprete handeliano: “Venti, turbini prestate” da Rinaldo. Rutilante come dev'essere, in un incalzare veramente turbinoso che non si sgrana con insolenza ottocentesca, ma rapisce egualmente per la nettezza della vocalizzazione, davvero alata ma anche fieramente cavalleresca. D'altra parte, la padronanza delle varie tipologie di trillo, delle messe di voce e di tutto l'armamentario del virtuoso poeta canoro barocco permette a Fagioli di indossare il coturno dell'opera seria e dei suoi affetti più elevati, ma anche di lasciar fiorire leggiadra una sensualità arcadica, più ancora che nell'irruenza fremente di Mirtillo nel Pastor fido (“Sento brillar nel seno”, tutto uno zampillare di freschissime, entusiastiche colorature) nella pregustazione erotica di Giulio Cesare. “Se in un fiorito ameno prato” è un divertissement sensuale, una delizia bucolica intrisa di eccitazione e desiderio, ma pur sempre intonata da un condottiero e Fagioli è ben attento a bilanciare la virilità – per quanto sublimata – e l'autorevolezza del personaggio con la divertita galanteria della scrittura e della situazione. Si riconferma, insomma, in primo luogo artista pienamente e intelligentemente padrone di mezzi affinati con precisa consapevolezza.
Il fido ensemble Il pomo doro, diretto dal primo violino Zefira Valova, è interlocutore duttile, equilibrato e ben presente in tutto lo spettro espressivo e stilistico abbracciato nel programma.
Il libretto è arricchito dai testi cantati nell'originale italiano in traduzione inglese, francese e tedesca.