di Andrea R. G. Pedrotti
A. Bruckner
Sinfonia n. 2
R. Strauss
Der Bürger als Edelmann
Riccardo Muti, direttore
Gerhard Oppitz, pianoforte
Wiener Philharmoniker
2 CD Deutsche Grammophon, 479 8180, 2017
Com’è noto ai più, i Wiener Philharmoniker non hanno un direttore musicale incaricato, dal tempo in cui lo storico Konzertmeister, Willi Boskovsky, decise di andare in pensione. Da allora la Filarmonica di Vienna si affida ai maggiori direttori al mondo, senza mai conferire a nessuno di loro l’onore di guidarli stabilmente.
Fra i concertatori più amati, certamente il più amato fra quelli italiani, abbiamo Riccardo Muti, che sovente si è trovato, bacchetta in mano, alla guida della prestigiosa orchestra. Muti, come noto, è un direttore dalla tecnica ineccepibile, dalle capacità interpretative e dalla cultura filologica straordinari e, grazie a queste qualità, il matrimonio con quella che, da più parti, è ritenuta la miglior orchestra al mondo, non poteva che essere felice, permeato d’un corrisposto amore.
Il doppio CD editato dalla Deutsche Grammophon ha eternato, con eccellente qualità di registrazione, il concerto che Muti diresse al Salzburger Festspiele in occasione del suo (di Muti) settantacinquesimo compleanno.
Il programma prevedeva l’esecuzione della Sinfonia n. 2 in do minore di Anton Bruckner (nella seconda versione viennese del 1892) e della Suite dalle musiche di scena op. 60 Der Bürger als Edelmann (Il borghese gentiluomo) di Richard Strauss. Quindi ci troviamo con un direttore italiano, alla guida di un’orchestra austriaca a interpretare un programma dal gusto interamente tedesco, ma con un’ispirazione dichiarata (parliamo di Strauss ovviamente) dalla Francia, poiché la Suite qui eseguita prese spunto, non solo drammatico, dalla seicentesca Comédie-ballet di Molière con musiche di Jean-Baptiste Lully, Le bourgeois gentilhomme.
Partiamo da Bruckner, un autore assai difficile da apprezzare se eseguito da complessi orchestrali non mitteleuropei, poiché la diversa qualità dei bassi orchestrali e degli ottoni consente di ascoltare le modulazioni di intensità che, con altri complessi, apparirebbero discontinui o illogici.
I Wiener Philharmoniker sono un’orchestra capace di avvicinarsi notevolmente alla perfezione tecnica (solo avvicinarsi, poiché la perfezione non è di questo mondo) e posseggono un suono di una qualità superiore, se paragonati alle altre maggiori compagnini in attività. Oltre a questo, l’orchestra viennese offre al concertatore una quantità notevole di possibilità interpretative, sia nella dinamica, sia, soprattutto, nell’agogica.
Un direttore come Muti non potrebbe chiedere di meglio e regalare un’interpretazione magistrale della Sinfonia, conferendo una linea comune e un fraseggio capace di imprimere eccellente continuità a una scrittura musicale di difficile soluzione, che non può essere eseguita attraverso una banale lettura della partitura senza l’ausilio di una raffinata capacità intellettuale.
Belli i primi due movimenti, entrambi in do minore, per l’ampiezza che gli archi sanno conferire al tempo moderato delle prime battute, come all’andante avvincente e magnificamente eseguito del secondo movimento, quando la tonalità passa al la bemolle maggiore.
Nondimeno pregevole lo scherzo del terzo movimento, quando si torna al do minore, e travolgente il finale Ziemlich schnell (piuttosto veloce), che non perde mai d’intensità, sia nelle singole sezioni, sia nella magnifica intensità del pieno orchestrale. La chiusa lascia un suggestivo senso di sospensione capace di chiamare un fragoroso, e documentato nella registrazione, applauso da parte del pubblico salisburghese.
La Suite di Richard Strauss Der Bürger als Edelmann parrebbe cucita addosso a Riccardo Muti. Il concertatore di Molfetta, come noto, prima di diventare uno dei direttori verdiani più amati e celebrati al mondo, fu, e rimane ancor oggi, un grande scopritore e divulgatore del repertorio sei-settecentesco. Il compositore bavarese, che visse buona parte della sua carriera proprio a Vienna, intesse la sua partitura, quasi una commedia sinfonica, di un concentrato di anticipazioni (Ariadne auf Naxos) e citazioni (Rigoletto di Verdi, Le prophète di Meyerbeer, Der Rosenkavalier o Don Quixote dello stesso Strauss). Se Strauss, dunque, fece da rapsode cucendo questi elementi con i temi di Lully, sulla tela della drammaturgia di Molière, senza tradire mai il suo stile e conferendo al pezzo una coerenza stilistica, Muti, da grande conoscitore dei repertori citati da Strauss, si dimostra abile nel far emergere tutto il percorso del compositore bavarese, facendo intuire all’ascoltatore istruito (e il pubblico di Salisburgo lo è per buona parte) tutta la genesi del lavoro.
Conoscere la trama del lavoro di Molière è utile, ma non indispensabile, perché Muti, duettando con l’ottimo pianista Gerhard Oppitz, coinvolge e coglie il susseguirsi delle atmosfere ideate dal drammaturgo francese nel XVII secolo.
L’impeccabile orchestra consente al concertatore di pensar solamente all’interpretazione, senza doversi preoccupare di eventuali mende o limiti, sconosciuti ai Wiener Philharmoniker.
Da ricordare, per esempio, l’esecuzione del Menuett des Lully, emblematico sia della versatilità del direttore, sia della perizia di professori d’orchestra unici anche visivamente per l’impegno e la concentrazione che trasmettono ogni qual volta si seggano innanzi al leggìo con lo strumento in mano. Purtroppo questo è un CD e non è possibile ammirarli.
Si consiglia senz’altro l’acquisto di questo CD agli amanti della musica d’altissima qualità. Un autentico gioiello a suggello non solo del settantacinquesimo genetliaco di Muti, ma anche del connubio fra il direttore di Molfetta e la Filarmonica di Vienna; un connubio che abbiamo avuto modo di lodare anche presentando, su questa stessa rivista, l’ultimo Neujahrskonzert der Wiener Philharmoniker [leggi].