di Roberta Pedrotti
F. Schubert
Quintetto per archi in Do Maggiore op. 163 D 956
Quartetto per archi n. 14 in Re minore D 810 Der Tod und das Mädchen
Quartetto di Cremona (Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramagna, viola, Giovanni Scaglione, violoncello)
Eckart Runge, violoncello.
registrazione effettuata a Lipsia nel settembre 2018
2 CD AUDITE, 23.443, 2019
Non prevede una guida, e il punto di riferimento può cambiare di brano in brano e di complesso in complesso, non è concepita per un pubblico, non inscena nulla per altri, ma condivide con altri. La musica da camera, fin dal Rinascimento almeno, è quella che più d'ogni altra assume in sé l'idea di incontro e di dialogo.
Confronto e condivisione sono insiti nella partitura e sono insiti nell'alito di vita che per la musica è l'interpretazione che le dà corpo e la fa vibrare nell'aria. Così nelle sue ultime opere Schubert pare dialogare con se stesso quando, ventisettenne, nel quartetto Der Tod und das Mädchen incontra lo Schubert ventenne del Lied omonimo e rimescola le acque della riflessione sulla morte, dell'appassionata danza macabra di ribellione e seduzione in un nuovo discorso senza parole, ma articolato fra quattro voci. Così Schubert va oltre la scrittura quartettistica, nell'opera postuma del Quintetto in Do maggiore Op. 163 D 956, e non inserisce semplicemente un fiato (o un pianoforte) a mo' di ospite concertante o una seconda viola a più sostanzioso ripieno armonico, bensì allarga l'incontro agli estremi, aggiungendo un violoncello che, sì, ispessisce le sonorità gravi dell'insieme, ma soprattutto si fa valere anche come nuova voce autonoma. Il quartetto non fa la voce più grossa, non si confronta con un ospite esterno, ma abbraccia un nuovo incontro e si arricchisce del suo contributo ben integrato.
Questa è la materia, frutto della piena maturità di un viennese sui trent'anni e già prossimo alla morte, che incontra un quartetto italianissimo che già nel nome si riallaccia alla patria per eccellenza degli strumenti ad arco. Per questo appuntamento, il Quartetto di Cremona incontra anche un eccellente violoncellista tedesco, Eckart Runge, che arricchisce il discorso con il suo contributo perfettamente integrato. Insieme imbracciano lo storico quartetto d'archi Stradivari detto Paganini dal più illustre dei proprietari, mentre Runge abbraccia un non meno blasonato strumento dei fratelli Hieronymus (Girolamo) e Antonio Amati, sempre di natali cremonesi. Non è una notazione di poco conto, perché il suono così pastoso e mordente, perfettamente distinto e amalgamato, anche nei pizzicati o nei passaggi al ponticello, del quartetto Paganini e del violoncello Amati costituisce un valore determinante dell'animare le partiture schubertiane. Il nostro quartetto, aumentato per il D 956, trova l'esatta misura del tempo e del suono, senza che mai la rapidità si faccia convulsione, la quiete stasi: viceversa, la dialettica dei tempi è suadente nel suo accarezzare e incalzare il fraseggio con un'interna tensione drammatica che non cede mai, ma nemmeno sopravanza la dimensione cameristica di atteggiamenti teatrali. Il dialogo si serra senza trascendere, la Morte e la Fanciulla alternano le loro istanze nel nuovo sviluppo del tema del Lied, che non è solo un pretesto, al contrario è un vero ampliamento argomentativo che si riverbera nella sincera, godibilissima profondità con cui si dipanano le variazioni, i ritmi danzanti e pregnanti dello Scherzo e, soprattutto, del Presto finale. Nondimeno il Quintetto ha una vitalità drammatica straordinaria proprio nell'intelligenza con cui il suono, il colore strumentale viene messo al servizio della poetica del testo e dell'interpretazione. La Morte, sì, aleggia, ma per dar senso e vigore alla vita, così come gli opposti si incontrano nell'armonia (concordia discors, secondo il motto oraziano a più riprese echeggiato nella trattatistica) in un'unità da cui discende la musica stessa (unitate melos).
Tutte le dimensioni di questo dialogo, dalla profondità dell'ineludibile e dell'eterno alla freschezza indomita della gioventù, e dei molteplici incontri che vi si intrecciano trovano voce nel Quartetto di Cremona con Runge, nel Quartetto Paganini con Amati. Questa voce, molteplice nei suoi elementi e pure unica come ogni interpretazione, ha la forza e l'intelligenza per farci gustare le pagine di Schubert come se fosse, ancora una volta, un nuovo incontro. Delibiamo la musica, ne gustiamo con l'esattezza e la misura l'intensa e coerente varietà espressiva, ma anche la prospettiva di un ideale più ampio. La musica, questa musica come metafora dell'incontro costruttivo, dell'inesauribile arricchimento dell'accoglienza, del pensiero, del dialogo, del nuovo. L'impulso a riconoscere e appagare un'esigenza vitale per chi vuol dirsi essere umano e non considerare estraneo a sé nulla dell'umanità (“Homo sum, nihil humanum a me alienum puto” scriveva già Terenzio nel II secolo a.C. per noi uomini e donne del terzo millennio).