C. Gounod
Le tribut de Zamora
Holloway, van Wanroij, Montvidas, Christoyannis, Pinkhasovich
direttore Hervé Niquet
Chor des Bayerischen Rundfunks
Münchner Rundfunkorchester
saggi di G. Condé, G. Braam, R. Campos, P. Sérié
175 pagine con illustrazioni, testi in francese e inglese
2 CD
Palazzetto Bru Zane e BR Classics, 2018
Già la decisione – non comune – del compositore stesso come concertatore dell'opera aveva suscitato perplessità, quando non critiche aspre, come atto ritenuto al limite del narcisismo. Quando però il soprano Gabrielle Krauss, accasciato in proscenio nel terzo atto, si alza e tende la mano a Charles Gounod per coinvolgerlo nel tripudio di applausi che sta accogliendo la sua musica, il gesto desta scandalo. Nel 1881 non si è più disposti, nemmeno per un venerato maestro, a tollerare un'interruzione della finzione scenica così plateale, una rottura spudorata dell'azione per celebrare l'autore, con un personaggio che cessa d'essere tale, si alza e spezza l'incanto. L'idea di dramma musicale di cui Wagner ha fatto una bandiera permea ormai da anni le scene operistiche e lo scandalo della mano protesa dalla primadonna al maestro è solo il momento più eclatante di un'opera, l'ultima di Gounod, che vive il suo tempo e la contraddizione con esso.
Le tribut de Zamora è un contorto drammone storico-esotico in cui si mescolano rivendicazioni patriottiche (gli spagnoli cristiani sotto il dominio arabo riprendono il consolidato successo dei greci contro i turchi del Siège de Corinthe di Rossini, ma anche la resistenza di Cassandre e delle sue compagne di fronte agli achei nella Prise de Troie di Berlioz), amori contrastati (la bella cristiana contesa fra il tenore correligionario e il baritono musulmano), agnizioni e colpi di scena (l'amicizia fra il tenore e l'arabo Hadjar, che si scopre fratello del rivale in amore, ma soprattutto la folle schiava cristiana Hermosa che recupera la lucidità quando riconosce nella bella contesa la figlia perduta). La cornice garantisce lo spolvero del grand opéra, fra cori, danze, ambienti sfarzosi e pittoreschi, ma Gounod rimane fedele a se stesso, anzi, lascia riecheggiare nella forma levigata di liriche elegie chiare reminiscenze di Faust e Roméo et Juliette (l'amore di Manoël e Xaïma si esprime con gli stessi modi), il colore locale arabo, iberico e perfin greco nelle danze del terzo atto dà modo al compositore di dispiegare la sua arte senza indulgere in effetti ritmici e coloristici eclatanti. Si potrebbe pensare ai cori di Les pêcheurs de perles di Bizet, di quasi vent'anni precedente, ma anche nei momenti più evocativi e sensuali in Gounod prevale sempre un rigore formale, la misura di un ideale classico che dà forma al dramma senza lasciare che questo prenda il sopravvento con l'irrompere delle passioni e dei sensi.
L'opera è ben scritta, degna del suo autore, e l'esecuzione le rende giustizia, sia per le cure esperte di Hervé Niquet, alfiere dell'esplorazione di questo repertorio, sia per l'eccellenza dei complessi della radio bavarese, che garantiscono il meglio per la scrittura strumentale e le pagine corali di Gounod. Jennifer Holloway eredita dalla “scandalosa”, ma celebrata artista, Gabrielle Krauss i panni di Hermosa e anche in virtù delle sue origini mezzosopranili valorizza sfumature Falcon che imparentano idealmente il suo personaggio ad Azucena. Nel duetto chiave dell'agnizione la sua voce si amalgama bene, senza che i timbri si confondano, con quella, per più chiara, di Judith van Wanroji, Xaïma. Edgaras Montevidas trova in Manoël una parte forse un po' onerosa, ma si destreggia con canto sicuro quanto espressivo. Nei panni del rivale Ban-Saïd, inizialmente concepiti per Victor Maurel che però si tirò indietro per ragioni non chiarite, Tassis Christoyannis canta assai bene, con accorata e sincera espressione e del pari si apprezzano il fiero Hadjar di Boris Pinkhasovich e tutti gli interpreti delle parti di fianco.
Tuttavia, in una pubblicazione come questa del benemerito Palazzetto Bru Zane, l'interesse non si ferma all'ascolto di un'opera rara: è senz'altro questo il cuore del cofanetto, ma potrebbe fermarsi a una curiosità documentaria se non fosse così ben contestualizzata dall'apparato di saggi che integra i cd in un libro vero e proprio e fa del Tribut de Zamora l'occasione per uno spaccato affascinante del teatro musicale francese di fine Ottocento. La genesi dell'opera è ripercorsa nel dettaglio non solo nei documenti relativi alla composizione, ma anche nell'eco mediatica sulla stampa e nella critica, dai primi annunci, alle indiscrezioni dietro le quinte, fino al debutto. Si approfondisce la ricezione iconografica del mondo iberico e dell'arte spagnola a Parigi, ma anche e soprattutto l'apparato di convenzioni spettacolari su cui si regge l'Opéra, senza che il termine convenzione sottintenda un frusto cliché, bensì un codice espressivo e comunicativo condiviso, parte integrante della produzione operistica parigina.
Un testo tutto da leggere, guardare, ascoltare. E, alla fine, sappiamolo: Gabrielle Krauss fece pubblica ammenda, ammise che il suo gesto non conveniva alla professionalità dell'attrice, anche se veniva dal cuore dell'interprete grata al maestro. Anche in questo botta e risposta sulla carta stampata c'è la storia più vera e concreta del melodramma.