di Roberta Pedrotti
M. Castelnuovo-Tedesco
Musica per violoncello e pianoforte
Enrico Dindo, violoncello
Alessandro Marangoni, pianoforte
registrato nel 2018 a Ivrea
CD Naxos 8.57.3881, 2019
Erich Korngold (1897-1957) e Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968), quasi coetanei, vissero esistenze parallele. Astri nascenti nel panorama europeo, furono costretti per le loro origini ebraiche a emigrare oltreoceano negli anni Trenta, a Hollywood trovarono l'America e influenzarono in maniera indelebile la storia della musica per il cinema, benché entrambi continuassero a scrivere anche per il teatro e le sale da concerto. Fra gli allievi dell'italiano troviamo nomi come Henry Mancini (La pantera rosa, Victor Victoria, Colazione da Tiffany), Elmer Bernstein (The blues Brothers, Ghostbusters), Jerry Goldstein (Il pianeta delle scimmie, Alien), André Previn (solo per il cinema, valgano almeno gli adattamenti di Porgy and Bess, Irma la dolce, My fair Lady), John Williams (Star Wars, Indiana Jones, Superman, Harry Potter, Schindler's List).
Di Korngold, oltre al concerto per violino (tanto accattivante da apparire sfacciatamente hollywoodiano, a dire il vero), capita in verità non troppo raramente, talvolta perfino al di qua delle Alpi, di vedere Die tote Stadt e Violanta (prima italiana giusto lo scorso autunno a Torino). Non molto altro. Di Castelnuovo-Tedesco, invece, sembrano innamorarsi soprattutto gli strumentisti, per esempio i virtuosi della chitarra, cui ha destinato pagine degne di nota anche con orchestra. In questo caso abbiamo pianoforte e violoncello, un duo che hai ispirato a Castelnuovo-Tedesco, prima e dopo la traversata dell'Atlantico, composizioni di diverso respiro, ma di costante qualità, tant'è vero che stupisce la latitanza dai programmi concertistici non meno del fatto che mai, prima d'ora, era stata incisa la Sonatina op. 130 (1946).
Grazie, dunque, a Enrico Dindo e Alessandro Marangoni per il loro tributo a Mario Castelnuovo Tedesco, grazie per l'iniziativa e per l'alto livello del'esecuzione che pone in evidenza le caratteristiche salienti di una scrittura dalla dottrina solidissima. Basta ascoltare la Sonata del 1928 per renderci conto come il trentatreenne compositore padroneggiasse a meraviglia la costruzione formale, l'articolazione e lo sviluppo tematico, il rapporto fra gli strumenti, che rivela sempre un chiarissimo equilibrio ora nel dialogo ora nell'abbandono al canto dell'uno o dell'altro. Perché un tratto fondamentale della musica di Castelnuovo-Tedesco è proprio la vena lirica, quell'ispirazione cantabile che l'archetto di Dindo esplicita con un colore avvolgente, seducente, ma nondimeno duttile nel mettere in evidenza quei guizzi ritmici, quelle improvvise asimmetrie che animano la scrittura, rivelano la modernità di un contemporaneo - giusto undici anni più anziano - di Šostakovič. Sia Dindo sia Marangoni, peraltro, declinano l'idiomaticità dello strumento mettendo ben in evidenza la sofisticata varietà di scrittura riservata a entrambi, con pizzicati e staccati, per esempio, di suggestione chitarristica.
Non solo nel Chant hébraïque op. 53 (1928, trascrizione di un pezzo vocale del 1925) o in Kol nidre Meditation (1941, inedito), si percepisce un richiamo alla tradizione della musica ebraica che Castelnuovo Tedesco aveva trascurato nella prima gioventù e riscoperto proprio a metà degli anni Venti grazie a un brano, guardacaso, con violoncello concertante, Schelomo di Bloch. Il retaggio traspare naturalmente in alcuni moduli strutturali riconoscibili, in andamenti melodici ritmici e armonici, ma soprattutto nello spirito, che combina un abbandono malinconico a una vitalità a tratti ironica, a tratti nervosa, la meditazione e lo slancio repentino, un senso sottile di morte che dà senso alla vita. Una vena sottile, che pervade la scrittura anche quando l'ispirazione e i riferimenti portano altrove, a canti popolari, a modi medievali, sempre inseriti con raffinatissima sapienza in un lirismo dalle mille sfaccettature e immediatamente riconoscibile. Merito fondamentale degli esecutori è, dunque, anche quello di aver saputo rendere, con rotondità di suono e senso del legato, la compattezza del linguaggio, il fluire logico del discorso e la sua varietà interna, nel fraseggio come nel colore, nell'articolazione di ogni elemento.
Non ci resta che sperare di vedere un po' più spesso il nome di Castelnuovo-Tedesco nei programmi dei concerti, tanto più che le schiere dei suoi alfieri si stanno sempre più moltiplicando.