di Roberta Pedrotti
Amor tiranno
musiche di Cavalli, Merula, Ferrari, Laurenzi, Sacrati, Ceresini, Monteverdi
Carlo Vistoli, controtenore
Sezione Aurea
Filippo Pantieri, cocnertatore, cembalo e organo
Registrazione effettuata al Castello Malatestiano di Fongiano (Forlì-Cesena) il 27-30 dicembre 2020
CD ARCANA A474, 2020
Quando si parla di arte italiana del Seicento, si parla, è inevitabile, del Bernini, si materializzano nella mente le mani di Plutone sulle cosce di Proserpina e il grido disperato di lei, lo slancio di Apollo verso Dafne che esala un muto sospiro mentre già le braccia devengono rami, il languore di Santa Teresa, il morbido giaciglio per l'Ermafrodito Borghese. Quando si parla di Seicento si parla di contrasti, di sensi, di carni, di brame e struggimenti, di passioni violente, slanci, rifiuti, abbandoni, che possono essere scolpiti nel marmo, fissati per sempre in un istante, come espressi nella volatilità inafferrabile della musica. Afferrare l'attimo o inseguirne la fuga eterna, gli dei amanti che incalzano la creatura amata nelle sue continue metamorfosi, la creatura animata si fa materia inanimata, la materia inanimata pare sul punto di un sussulto,di un respiro.
Quando si parla di arte italiana del Seicento, con Bernini bisogna, almeno, evocare Monteverdi, Cavalli, la musica, la musica vocale, il melodramma.
Da Firenze, rapidissima, l'opera arriva a Mantova, a Roma, a Venezia, dove incontra finalmente il pubblico pagante, a Napoli, nonché a Parigi, a Dresda... In questo fermento, Carlo Vistoli e l'ensemble Sezione Aurea puntano l'obiettivo sulla Laguna, e lì, fra ponti e calli, nell'intreccio fantasmagorico di colpi di scena, satira, comicità, intrighi, magie e quanto l'opera veneziana seppe inventare per attrarre spettatori e garantirsi incassi, lo sguardo si concentra sul tema della sofferenza amorosa. Amor tiranno e cuori spezzati. Lì, l'espressione si scopre delicatissima, eppure piena d'ardore, carne viva, sanguinante sul punto di fissarsi per sempre nell'attimo immobile, opera d'arte che sta per sussultare in un sospiro appassionato.
Quell'ammaliante senso d'indefinito, di sospeso, dibattuto fra estremi, si ritrova tutto nel canto di Vistoli, che pure è canto morbidissimo, levigato, omogeneo. Si tratta di uno dei timbri controtenorili più belli del panorama attuale, così ben tornito e vellutato, e tuttavia affascinante per quel senso d'inafferrabile ambiguità fra vero e astratto che lo contraddistingue. La franchezza di un fraseggio sincero, di un'articolazione chiarissima e immediatamente espressiva del testo ci ricorda il realismo che spira nell'arte seicentesca, a teatro su tela o nel marmo, ma nondimeno la nobile eleganza, la padronanza degli strumenti retorici del recitar cantando (ascoltate i diversi trilli e tutte le figurazioni vocali) ci portano in un'altra dimensione estetica e intellettuale. Un punto di contatto e di confine inafferrabile, come Orfeo semidio fra vita e morte, come l'Ermafrodito Borghese maschio e femmina su morbido marmo, come Dafne donna e albero. Questo è il fascino di un repertorio e di un programma che, a dispetto dell'apparente omogeneità di (lamentosi) argomenti, si ascolta con gusto e tutto di un fiato, e per la scelta del pezzi e per l'eccellente interpretazione, capaci entrambi di accendere sempre l'attenzione.
Non si tratta solo di opera, ma troviamo anche arie, canzonette e madrigali autonomi che completano bene un quadro estetico non solo teatrale, permettono di inserire operisti dell'importanza capitale di Benedetto Ferrari, che per carenza di materiali superstiti sarebbe stato escluso in un programma esclusivamente teatrale. Il carattere di ciascun pezzo è sempre sbalzato a dovere, ad ogni modo, per definire sia le contiguità stilistiche e retoriche, sia le debite differenze fra ciò che si iscrive in una rappresentazione e ciò che si consuma in una manciata di minuti.
Tranne che per la Sonata cromatica di Tarquinio Merula, nell'edizione curata da Alan Curtis, trascrizioni, revisioni, arrangiamenti e diminuzioni sono a cura di Simone Laghi, Carlo Vistoli e Filippo Pantieri, cembalo organo e direttore della sempre ben affinata Sezione Aurea, in un'ottica di coerenza interpretativa e di profonda compenetrazione di ogni testo, seguito dal manoscritto all'esecuzione.
Un piccolo appunto si può muovere solo per quel che riguarda i brani dall'Incoronazione di Poppea. Se, infatti, il programma registra scrupolosamente la provenienza delle due scene presentate da due diverse fonti – per le rappresentazioni di Napoli 1651 e di Venezia 1643 – né la lista delle tracce né le altrimenti dotte e scorrevoli note di Jean-François Lattarico fanno cenno alla questione della paternità dell'opera, attribuita qui pacificamente al solo Monteverdi. In secondo luogo, a fronte della bella prova di Vistoli, il soprano Lucia Cortese, chiamato a sostenere la parte di Poppea seppur per poche battute, risulta un po' troppo petulante: certo, il personaggio non sarà dei più simpatici, ma è pur sempre una grande seduttrice, non un'arpia.
Accurata ed elegante la realizzazione grafica e l'impostazione di tutti i contenuti nel libretto, che con il francese e l'inglese non si dimentica di includere anche la lingua madre del recitar cantando, cosa non scontata e assai gradita.