di Francesco Bertini
Tutta improntata al carattere partenopeo dell'ambientazione la produzione del Turco in Italia in scena a Treviso. Nel cast s'impone Lorenzo Regazzo, che, dopo aver vestito gli esotici panni eponimi, debutta ora come poeta e deus ex machina della sofisticata commedia.
TREVISO, 1 febbraio 2015 - Il turco in Italia chiude la breve ma intensa stagione lirica del Teatro Comunale “Mario del Monaco” di Treviso. Il titolo è coprodotto con la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, con l’Opéra-Théâtre de Metz Métropole e con la Fondazione Teatri di Piacenza.
L’esecuzione di un’opera rossiniana che ha beneficiato, quant’altre e forse più d’altre, della Rossini renaissance è a tutt’oggi un evento, data la scarsa attenzione dei teatri. Fin dal debutto, il 14 agosto 1814 al Teatro alla Scala, il Turco venne accolto come una sfida, a causa del titolo che sembrava parafrasare, al contrario, quell’Italiana in Algeri da poco rappresentata al Teatro Re, sempre a Milano. La stessa geniale trovata di Felice Romani, agli inizi di una brillante carriera librettistica, di sfruttare la tecnica metateatrale, con risvolti che alcuni definiranno pirandelliani ante litteram, causò qualche smarrimento nel pubblico, abituato più al buffo assoluto che a un poeta posto in scena, a mo’ di deus ex machina, alla ricerca della trama per il proprio dramma. Lo stile comico, maggiormente raffinato rispetto alla produzione rossiniana coeva, colse impreparati gli ascoltatori posti dinanzi alle notevoli novità dell’opera.
L’allestimento approdato nel teatro del capoluogo della Marca è improntato secondo i dettami registici di Federico Bertolani, il disegno luci di Roberto Gritti e la cura di scene, costumi e attrezzeria della Scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Le due giovani ideatrici di scene, Giulia Zucchetta, e costumi, Federica Miani, sono affiancate, come nel Bruschino veneziano, da Poppi Ranchetti, direzione laboratorio scene, Paola Cortelazzo, direzione laboratorio progettazione costumi, e Giovanna Fiorentini, direzione laboratorio costumi. L’idea che muove il team è basata in sostanza sulla napoletanità dell’azione che pervade gli stessi caratteri e ritmi dei personaggi. La veracità delle genti partenopee si intreccia con il temperamento sanguigno del gruppo di zingari e del turco che viene coinvolto nella rutilante voglia di vita del luogo. I pannelli in movimento sullo sfondo, con i termini scritti con chiaro riferimento alle peculiarità della città campana, scorrono freneticamente per dar vita agli spazi scenici dove agiscono la scaltra Fiorilla, donna dalla tempra arguta, il prepotente ma bonaccione Selim, il titubante Geronio e il calcolatore Prosdocimo che regge le fila della vicenda. Proprio a partire dal poeta si snoda il lavoro di Bertolani il quale indaga, più o meno attentamente, le specificità dei vari personaggi, dando una propria lettura agli atteggiamenti cristallizzatisi col tempo su ciascuno di essi. Per quanto tale approfondimento renda gradevole lo spettacolo, rischia inevitabilmente di scivolare nella ripetitività. Anche le trovate ben riuscite, che suscitano risate nel pubblico, vengono riproposte forse eccessivamente, con la conseguenza di far scemare l’approvazione e l’attenzione con l’avanzare della recita.
La considerazione rivolta a Prosdocimo trova pieno sostegno nell’impegno di Lorenzo Regazzo. Il basso veneto è fuoriclasse nei ruoli di questo tipo dove può dare libero sfogo alla propria intuitiva predisposizione attoriale fatta di recitazione (il testo è infarcito con passi estrapolati da Pirandello), spiccata gestualità, camaleontica propensione al rapporto con l’uditorio, ottima capacità di interazione con i colleghi. Perfettamente condivisibile la scelta di dismettere i panni del turco per vestire ora quelli più consoni, soprattutto vocalmente, del poeta. Purtroppo la parte protagonistica eccede le possibilità attuali del basso croato Marko Mimica. L’emissione spoggiata, le frequenti stonature e alcune palesi difficoltà nell’affrontare la scrittura rossiniana penalizzano la bellezza timbrica del cantante il quale, arginando queste problematiche, potrebbe aspirare ad un approccio più efficace con l’opera. La pepata Fiorilla non trova degno riscontro nell’interpretazione di Cinzia Forte. All’artista napoletana sembra sfuggire il brio dell’azione, ambientata nella propria città natale. La presenza scenica appare vagamente artefatta e l’esibita disinvoltura fatica a cogliere nel segno la sottile ironia del ruolo. A tal fine, nemmeno le odierne condizioni vocali giovano alla definizione della donna capricciosa. La Forte manifesta alcune disomogeneità e un certo affaticamento che si ripercuotono tanto sul fraseggio, quanto sull’efficacia dei vari registri: se l’acuto risulta agganciato con circospezione, la zona centro grave non presenta tratti di maggior efficacia. La lunga esperienza viene in soccorso del soprano nel tentativo di dare qualche pennellata personale alla parte. Giulio Mastrototaro è un Don Geronio concitato e talvolta sopra le righe. Benché le sfumature siano carenti, va sottolineata la pulizia del fraseggio e la divertita vena autoironica. Il tenore David Alegret, Don Narciso, ha emissione nasale e volume esiguo ma mostra di saper sfruttare, con accortezza, le possibilità del proprio strumento. I due giovanissimi Cecilia Molinari, Zaida, e Pietro Adaini, Albazar, danno prova di talento considerevole. La prima, in particolare, si impone per timbro brunito e innate potenzialità espressive. Il secondo strappa applausi convinti dopo l’esecuzione ardimentosa, seppur perfettibile, dell’aria "Ah! Sarebbe troppo dolce".
Francesco Omassini, impegnato contemporaneamente con le recite di Il signor Bruschino a Venezia, conferma la sua predisposizione al repertorio rossiniano. La lettura è efficace, tanto per dinamiche quanto per agogiche, benché non manchino taluni scollamenti con il palcoscenico. L’Orchestra città di Ferrara non è indenne da incidenti di percorso ma appare più coesa di talune recenti prove. Discutibile, per attacchi e intonazione, il Coro Lirico Amadeus istruito da Giuliano Fracasso.
I tiepidi consensi palesati durante la recita si sono trasformati, al termine, in un successo caloroso.
Foto Piccinni - Treviso