di Luìs Gutierrez
Non convince pienamente la ripresa dell'allestimento del 2004 del capolavoro donizettiano nella capitale messicana. La compagnia di canto, soprattutto, non si mostra pianemente all'altezza e non cancella il ricordo delle recite di undici anni fa, con un Ramon Vargas nel pieno della carriera.
Città del Messico, 19 febbraio 2015 - La produzione era stata presentata da César Piña per la prima volta nel 2004. La scenografia (non accreditata nel programma), consiste nell'imitazione di un teatrino come quelli con i quali in molti giocavamo da bambini nel secolo scorso, con quinte che danno profondità alla scena e permettono di descrivere con ingenuità i luoghi in cui si svolge ogni scena; in due occasioni, una per atto, si è riconosicuto un tocco di virtuosismo nel presentare due quinte addobbate con un effetto di trompe d’oeil che conferiva quasi profondità al proscenio. I costumi d'epoca avrebbero potuto essere quelli originali, poiché accreditati all'INBA (Instituto Nacional de Bellas Artes). Le luci, firmate da Rafael Mendoza, non hanno illuminato (non è un gioco di parole) la parte sinistra della scena; se si fossero usate quinte che ricordassero quelle di chellophane colorato avrebbero ottenuto una maggior coerenza nel progetto dell'allestimento.
L'idea del regista, oggi come undici anni fa, consisteva nel seguire letteralmente l'azione come indicato dal libretto. Disgraziatamente, ha insistito eccesstivamente su una comicità scontata e volgare che assai di rado ha suscitato le risate discrete del pubblico. Il maggior problema è stato che gli interpreti dovevano concentrarsi sulla farsa e non sulla musica meravigliosa composta da Donizetti per questa commedia.
La gran differenza rispetto alle recite di undici anni fa è stata fatta dalla qualità dei cantanti. In particolare Ramón Vargas che ai tempi “era Nemorino” en todos los teatro del mundo. Víctor Hernández non ha potuto offrire più che una performance mediocre. Di fatto ciò che ha salvato “Una furtiva lágrima” questa sera è stato l'assolo del fagotto interpretato splendidamente da David Ball Condit in buca. Il soprano Patricia Santos (Adina), recentemente diplomata all'Estudio de Ópera Bellas Artes, ha proposto una buona prova vocale; come attrice ha invece molta strada ancora da fare. Ho avuto l'impressione che né lei né Hernández abbiano saputo trasmettere al pubblico un'evoluzione dei personaggi che in poche altre opere è altrettanto patente. Il baritono Alberto Barrón si è fatto apprezzare nel cnato e nella recitazione. A proposito, tengo a ricordare che i soldati del suo plotone sono rimasti eccessivamente in scena e che per una qualche arcana ragione uniformi e bandire erano francesi. Probabilmente saranno rimasti così a lungo perché, per qualche motivo, sono proprio loro ad annunicare l'arrivo di Dulcamara, con un trombettista che avrebbe fatto meglio a starsene nascosto nelle quinte data la tremenda mancanza d'intonazione percepita da tutto il pubblico.
Chi è parso il migliore sotto ogni punto di vista è stato il basso Noé Colín come Dulcamara; possiede una grande esperienza internazionale in teatri di ragionevole livello e domina totalmente la parte del ciarlatano. Il mezzosoprano Gabriela Flores, membro dell'Estudio de Ópera de Bellas Artes per il secondo anno, è risultata solo discreta nel suo ruolo secondario, probabilmente perché Giannetta è un soprano. Ho esperienza, dal vivo e in registrazioni, solo di soprani in questa parte e la ragazza è un autentico mezzosoprano, che si spera continuerà il suo percorso in questo registro.
Juan Carlos Lomónaco ha svolto un gran lavoro per condurre in porto solisti, Coro e Orchestra del Teatro de Bellas Artes.