di Luis Gutierrez
Debutto tardivo ma musicalmente superlativo per La donna del lago di Rossini al Met. Il belcanto romantico del Pesarese, pensato per i più grandi artisti del suo tempo, ha rivissuto nella voci di Joyce Didonato, Daniela Barcellona, Juan Diego Florez e John Osborn sotto la direzione di Michele Mariotti.
NEW YORK, 25 febbraio 2015 - La donna del lago ha tardato, inspiegabilmente, quasi duecento anni per debuttare al Met. Rossini la diede per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 24 ottobre 1819, contando su un ensemble magnifico, probabilmente uno dei più spettacolari del tempo, capeggiato dal mezzosoprano Isabella Colbran –che avrebbe sposato quattro anni dopo – con il contralto Rosamunda Benedetta Pisaroni e due poderosi, acclamati tenori: Giovanni David e Andrea Nozzari.
A mio parere, la decisione di Rossini di utilizzare il poema drammatico di Walter Scott The Lady of the Lake (1810), sul quale si basò Andrea Leone Tottola per scrivere il libretto, si deve alla necessità di esplorare il Romanticismo, dilagante a nord delle Alpi e ancora latente in Italia. I sentimenti si apprestano a vincere la battaglia contro la ragione. La natura fa sentire la sua presenza e così come il soprannaturale assume un'importanza fino a quel momento sconosciuta. Tutte queste caratteristiche si possono notare nella Donna del lago, opera in cui la protagonista, Elena (Colbran), è corteggiata dal re di Scozia Giacomo V, sotto il nome di Uberto (David), e dal capo dei ribelli delle montagne Rodrigo Dhu (Nozzari), ma risolverà per il suo primo, vero amore, Malcolm Groeme (contralto, uno degli ultimi ruoli eroici di Rossini affidati, come era stato per Tancredi, a quello che era chiamato "il musico", ovvero un contralto che in qualche modo coglieva l'eredità vocale dei castrati). I sentimenti esacerbati che tutti i protagonisti esibiscono sono degli di qualsiasi opera letteraria del Romanticismo. A eccezione dell'ultima scena, tutta l'opera si svolge in seno alla natura, in particolare attorno al lago sulle cui sponde vive Elena. Il coro dei bardi che chiude il primo atto è caratterizzato da quel che potremmo definire sovrannaturale nell'ambito del XIX secolo.
Rossini sviluppa la drammaturgia musicale dell'opera incrementando l'importanza del coro, che si trasforma in molti casi in un vero personaggio, mantenendo peraltro elevate esigenze per quanto concerne i solisti, tuttavia riduce la centralità delle singole arie. Sono gli anni in cui Rossini compone musica pensata per far brillare le voci senza che i cantanti sentissero la necessità di adattarla alle proprie caratteristiche. Ne sono esempio evidente le due arie di Malcolm e il rondò finale di Elena, “Tanti affetti in tal momento”; bel canto nella sua massima espressione.
La produzione dello scozzese Paul Curran è molto povera, non sfrutta le possibilità offerte dall'esaltazione della natura e non perché questa fosse la sua idea, ma perchè non ne è stato in grado. Ciò probabilmente a causa del fatto che si tratta di una coproduzione del Met con il Festival di Santa Fe, il cui teatro ha caratteristiche assai differenti rispetto alla sala newyorkese, specialmente nel fondale aperto che permette di vedere i monti Sangre de Cristo – così chiamate per il colore di cui le tinge il sole al tramonto, contemporaneamente all'inizio delle recite. Così se là la natura brilla, al Met tutto è stato oscurità, che si è tentato di alleviare con una proiezione sul fondo della scena a cura di Otto. Kevin Knight ha disegnato scene inadeguate, ma ha immaginato costumi coerenti con epoca e rango dei personaggi.
Se la messa in scena è stata mediocre, con la musica è avvenuto l'esatto contrario. Splendore, pirotecnia vocale quando necessaria, precisione, direi quasi perfezione rossiniana.
Joyce DiDonato è oggi il mezzosoprano del momento, non ho dubbi a rigurado. La bellezza del timbro (giudizio soggettivo) si unisce a una esecuzione favolosa della sua parte nella resa della linea melodica ornamentata da Rossini (giudizio oggettivo). Un'elena difficile da dimenticare. Daniela Barcellona come Malcolm ha risolto splendidamente le sue arie con tutte le loro minacciose difficoltà.
Sono pochissimi i teatri in grado di disporre di risorse sufficienti per scritturare due fra i grandi tenori rossiniani del momento. Flórez come Giacomo V ha esibito la sua tipica agilità nel ruolo tenuto a battesimo da David e John Osborn come Rodrigo non ha mancato di vincere ogni asperità della parte di Nozzari. Oren Gradus ha avuto una buona serata come Douglas.
Nondimeno ha brillato la stella fulgente di Michele Mariotti a capo anche di orchestra e coro del Met.
Insomma: Salve Rossini! Salve Joyce! Salve Juan Diego! Salve John! e Salve Michele!